C’è un possibile equivoco che aleggia quando si affronta il tema dell’amministrazione digitale, della cosiddetta “PA digitale”. Ed è che si tratti essenzialmente di rendere più efficiente la macchina amministrativa, magari di rivederne i processi di produzione e, soprattutto, di portare sul web la fruizione dei servizi.
Credo, invece, che l’obiettivo della “PA digitale” debba essere molto più ambizioso. Mi sembra che, semplificando, si debba intendere come PA digitale il risultato del cambiamento della PA, in termini di cultura, competenze, processi, servizi, grazie allo sfruttamento pieno delle opportunità offerte dalle tecnologie digitali allo stato dell’arte.
Un cambiamento realizzato con l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi verso i cittadini, le imprese, e tale da massimizzare in modo equilibrato efficienza ed efficacia delle amministrazioni pubbliche. Un cambiamento necessariamente graduale e basato su una strategia ampia di sviluppo del Sistema Paese. Su un’Agenda Digitale Italiana, che ancora non c’è.
Ecco, una PA digitale di questo tipo, frutto di una trasformazione profonda, può rappresentare verso le imprese un motore di cambiamento da più punti di vista:
· come cliente evoluto, capace di richiedere e pretendere servizi ICT di qualità e con requisiti sfidanti per soluzioni innovative che possono rappresentare referenza e punto di riferimento a livello internazionale. Capacità che si esprime sia nella promozione di innovazione e di messa in rete delle migliori esperienze, sia nell’attenzione a processi di procurement pre-commerciale, nella realizzazione del modello dei living labs, nella spinta organica verso un modello che privilegia le proposte di qualità, l’integrazione tra i progetti di innovazione, e si basa su valutazioni economiche globali (su tutti i costi dei servizi interessati);
· come regolatore illuminato, che semplificando le proprie procedure e riorganizzando i propri processi permette alle imprese una riduzione consistente del peso economico della burocrazia e anzi consente di vedere la PA come supporto allo sviluppo delle imprese. In questo senso l’attuazione della PA digitale richiede un modello di sviluppo basato sull’organizzazione per processi e progetti, sulla responsabilizzazione decentrata e allo stesso tempo sulla contrapposizione forte ai fenomeni di corruzione;
· come stimolatore di servizi per il mercato, ad esempio attraverso la disponibilità pubblica di open data e open service, con livelli di apertura e quindi di utilizzo sempre più elevati, come prezioso produttore e curatore di beni comuni utili alla proposizione di offerte e soluzioni innovative, oltre che attrattore di investimenti esteri. Andando oltre, con un’attenzione a non rimanere nel ruolo di chi rende disponibili i dati, ma anzi di chi favorisce il loro utilizzo, attraverso regole tecniche, norme, piattaforme che mettano in condizione anche piccoli operatori di proporre nuovi servizi innovativi;
· come acceleratore del cambiamento culturale necessario, nell’ambito del digitale, sia verso i cittadini sia verso le stesse imprese, grazie ad un passo innovativo nella transizione dei servizi verso il digitale, anche forzando il cambiamento con drastici ma pianificati “switch-off”, allo stesso tempo curando l’alfabetizzazione digitale e lo sviluppo della cultura digitale a livello di cittadini e imprese. In questo modo costruendo le condizioni per la richiesta e l’utilizzo dei servizi digitali, oltre che del commercio elettronico, per un maggior utilizzo e una maggiore consapevolezza della rete, oggi uno dei principali ostacoli allo sviluppo di una nuova competitività italiana. Una carenza di alfabetizzazione digitale che oggi impedisce di fatto ogni progresso significativo sul fronte dei servizi online. Non è un caso che, secondo le rilevazioni sugli indicatori dell’Agenda Digitale Europea, solo il 19% della popolazione italiana usa servizi di e-government (la media europea è del 44%) e solo l’8% utilizzi servizi in cui si richiede la compilazione di moduli (la media europea è del 22%).
Una PA digitale, un’amministrazione in grado di effettuare un’evoluzione su tutti questi fronti può produrre cambiamenti significativi su tutta la società italiana.
Innovare significa però, cambiare, nel profondo, i comportamenti e le dinamiche umane. Non è frutto di improvvisazione né di fenomeni spontanei e automatici. È necessario riorganizzare i processi e cambiare le strutture in modo coerente, basarsi su una programmazione degli interventi, avviare una organica gestione del cambiamento senza sottovalutare le condizioni necessarie e i supporti utili per l’effettiva realizzazione. Altrimenti il rischio è che qualsiasi iniziativa di innovazione si riveli inefficace, fermandosi allo stadio di definizione o non vada oltre le soglie della sperimentazione.
Occorre, pertanto, una strategia globale. Se si rimane alla digitalizzazione dell’esistente, alla trasposizione su web delle attuali procedure, nulla di questo potrà realisticamente accadere. Il ragionamento per compartimenti stagni è una delle cause della crisi italiana, e non solo. Per questo è da cambiare il modello.