Rendere la PA non sono disponibile ma davvero fruibile a cittadini e imprese: riuscire in questa impresa, fin qui sempre sostanzialmente fallita, grazie all’intelligenza artificiale, significa valorizzare il ruolo dell’IA come elemento razionalizzatore delle molte applicazioni ICT che già operano con diversi gradi di successo nelle diverse PA centrali e locali.
PA digitale: tutti i tasselli che devono andare a posto nel 2022
Molte applicazioni ICT sono state progettate, sviluppate, acquistate anche a caro prezzo, in diversi casi anche più volte, e mai usate per molto tempo e non sono neppure note a chi ne abbia teoricamente la responsabilità e disponibilità: l’IA potrebbe, in primo luogo, operare una sorta di censimento per portarle alla luce.
In secondo luogo, potrebbe realizzare forte economia di scala, riducendo drasticamente la loro diaspora geografica e frammentazione applicativa.
Il contesto è pertinente per le tecnologie IA: si tratta di dispiegare tutta la loro potenza come motori di ricerca, capaci di “scavare” fra i big data, i volumi di dati non processabili in tempi ragionevoli il diverso grado di veridicità, velocità di trasmissione in rete e valore.
Quale intelligenza artificiale per la PA
Da almeno tre decenni, l’Italia impiega risorse pubbliche per semplificare l’interazione cittadino/impresa con la Pubblica Amministrazione (PA), coinvolta a diverso titolo nell’intermediazione di quasi la metà del PIL italiano.
Non si può dire che il legislatore e l’esecutivo siano stati distratti o parsimoniosi: AIPA, CNIPA, Digit PA e AgID sono lì a testimonianza.
Ma l’impatto in termini di reale fruibilità rispetto a tutti gli sforzi profusi? Certamente è drammaticamente basso, a dispetto dell’evoluzione tecnologica che ha reso più semplici e a basso costo molte cose su larghissima scala: basti solo citare che, nel mondo, la maggioranza delle persone è dotate di uno smartphone, mentre un largo numero non è titolare di IBAN.
Tutti i settori, ma la PA in particolare, esprimono una fortissima domanda di fruibilità misurata come efficacia, efficienza e facilità d’uso di applicazioni ICT e ripongono grandi aspettative nell’avvento delle tecnologie di intelligenza artificiale (IA), percepite quasi come dotate di un potere immenso e quasi miracolistico.
Un’aspettativa anche indotta, per ovvie ragioni, dalla comunità scientifica di riferimento, dall’industria ICT alla ricerca di un salto di qualità nel ritorno economico e, non ultimi, dai media, che evocano scenari fantascientifici un po’ come avviene per la robotica, specie se umanoide.
Riflettere su effettiva natura e portata di impatto della tecnologia IA con riferimento alle applicazioni di ogni giorno può evitare pericolose “bolle”, speculative in ogni senso e, soprattutto, connotate da un terribile effetto di rigetto (effetto boomerang) che finisce per gettare via, come comunemente si dice, “il bambino con l’acqua sporca”: un’eventualità che è possibile scongiurare, come avvenuto con altre tecnologie ICT (cui IA appartiene).
In Italia, anche per via del PNRR lato ricerca MUR, i “Soloni nazionali” dell’IA si interrogano sugli “aspetti fondazionali” di questa disciplina e corrispondenti tecnologie.
D’altra parte, a livello internazionale, viene ormai riconosciuta come mediaticamente fuorviante la denominazione stessa di intelligenza artificiale, per l’evidente goffo tentativo di accostamento con l’intelligenza delle specie viventi e, in particolare, con quella della persona umana. Nulla di più lontano dalle conoscenze neuroscientifiche.
Peraltro, tale suggestione finisce invece per oscurare la vera potenza innovativa dell’intelligenza artificiale: quella di operare in modo ottimo e perfino superiore a quello della persona umana nell’ambito di processi proceduralizzati in modo ben definito e condiviso, nei settori più disparati. IA è un’arma potente allo stato delle cose, però limitatamente per fare ciò che le appartiene a livello ontologico.
Coloro che studiano gli aspetti fondazionali di IA dovrebbero in modo trasparente dichiarare questo aspetto erga omnes, naturalmente, nel contempo, cercando di prevedere percorsi evolutivi futuri, tuttavia impossibili senza tale chiarimento preliminare sul punto di partenza, quale vera e propria conditio sine qua non.
Identificate le condizioni al contorno, appare non più differibile l’iniezione progressiva delle tecnologie della IA riguardo l’operatività reale in tanti settori, dei quali lo scenario della PA, stante la sua pervasività nella maggior parte delle attività che vedono coinvolti cittadini e imprese.
IA nella PA: ecco come applicarla
Ma in concreto, come l’IA potrebbe essere applicata nella Pubblica Amministrazione? Le due figure a seguire, redatte dall’autore di questo articolo nel 2012 da Presidente di DigitPA in un rapporto al Governo italiano, offrono uno schema operativo oggi facilmente percorribile.
Figura 1 (si osservi il riquadro in giallo) è riferita a quelle applicazioni ICT che sono il cuore tecnologico (denominato servizio) che rendono possibile la resa al cittadino o impresa di una prestazione corrispondente a una delle missioni fra quelle previste per legge per una certa PA, nel caso essa sia capace di renderla da sola.
Tuttavia, la maggior parte delle prestazioni per cittadino o impresa, richiede l’interazione tra una pluralità di PA: basti pensare al caso di richiesta di una licenza edilizia, che coinvolge certamente il Comune di appartenenza del richiedente, i Vigili del Fuoco, la ASL competente per territorio e così via.
La Figura 2 (si osservi sempre il riquadro in giallo) mette in luce il come una appropriata applicazione di IA potrebbe mettere in comune tutte le applicazioni esistenti nelle diverse PA, dopo averle censito in modo ragionato, in una sorta di indice-puntatore intelligente.
Un processo che porterebbe ad un evidente efficientamento del sistema nel suo complesso, fra più PA, indirizzando “intelligentemente” di volta in volta quelle ottime ai fini di realizzare una prestazione veramente fruibile per il richiedente, riducendo drasticamente i tempi di attesa per le interazioni fra le diverse PA coinvolte e realizzando nel contempo forte economia di scala.
Questo è ciò che realisticamente oggi l’intelligenza artificiale può e dovrebbe fare per la PA, dimostrando il suo valore.
Con riferimento al settore della Giustizia Amministrativa, per esempio, di certo IA non può arrivare a sostituirsi alla sapienza, appropriatezza e completezza formale che conduce a concepire e scrivere parti di motivazioni di sentenze del Consiglio di Stato del tipo: “Il profilo temporale ha una valenza sostanziale perché concorre a delineare il requisito richiesto e il suo ambito di rilevanza”, dotate di un’estetica logica e linguistica quasi perfetta.
Pretendere ciò è fuorviante e dannoso per IA, a fronte invece della sua grande potenzialità della quale si è cercato di dare rappresentazione grafica in Figura 1 e Figura 2, che possono essere il contesto di riferimento concreto affinché l’IA renda davvero fruibili le tante applicazioni della Pubblica Amministrazione.