Tutti parlano dell’uscita di scena della ricetta medica cartacea, sostituita da quella elettronica. Ma è davvero così? Siamo di fronte a una grande novità? Abbiamo qualche dubbio.
La ricetta dematerializzata è frutto di un percorso iniziato alcuni anni fa. In particolare, l’ultimo provvedimento normativo, che toglie dalla “scena medica nazionale” la ricetta cartacea, è il DPCM 14 novembre 2015, recante la “Definizione delle modalità di attuazione del comma 2 dell’articolo 13 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modifiche, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, in materia di prescrizioni farmaceutiche in formato digitale”, le cui disposizioni sono entrate in vigore dal 1 gennaio 2016. Il DPCM in commento tiene conto, quindi, di una serie di disposizioni pregresse, ovvero:
– l’art. 50 del decreto legge 30 n. 269/2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 326/2003, e successive modifiche (Sistema Tessera Sanitaria) e, in particolare, il comma 5bis, concernente il collegamento telematico in rete dei medici prescrittori del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e la ricetta dematerializzata;
– il DPCM 26 marzo 2008, attuativo del comma 5bis del citato art. 50;
– il decreto 2 novembre 2011 del Ragioniere Generale dello Stato del Ministero dell’economia e delle finanze, di concerto con il Capo del Dipartimento della qualità del Ministero della salute, recante norme in materia di “Dematerializzazione della ricetta medica cartacea, di cui all’art. 11, comma 16, del decreto-legge n. 78 del 2010 (Progetto Tessera Sanitaria)” e, in particolare, l’art. 1, il quale prevede l’avvio della sostituzione della ricetta cartacea con la ricetta dematerializzata generata dal medico prescrittore;
– l’art. 13 del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, e successive modifiche, e, in particolare, il comma 2, il quale stabilisce la validità su tutto il territorio nazionale delle prescrizioni farmaceutiche generate in formato elettronico.
Quest’ultima norma, relativa alla dematerializzazione della ricetta cartacea, dispone espressamente che “al fine di migliorare i servizi ai cittadini e rafforzare gli interventi in tema di monitoraggio della spesa del settore sanitario” si intende accelerare “la sostituzione delle prescrizioni mediche di farmaceutica e specialistica a carico del SSN in formato cartaceo con le prescrizioni in formato elettronico, generate secondo le modalità di cui al decreto del Ministero dell’economia e delle finanze in data 2 novembre 2011”. Inoltre, la norma in questione aveva fissato il tempo entro cui ogni Regione sarebbe stata tenuta a effettuare la graduale sostituzione delle prescrizioni in formato cartaceo con le equivalenti in formato elettronico, “in percentuali che, in ogni caso, non sarebbero dovute essere inferiori al 60% nel 2013, all’80% nel 2014 e al 90% nel 2015” e aveva statuito, anche, che “dal 1° gennaio 2014, le prescrizioni farmaceutiche generate in formato elettronico sarebbero state valide su tutto il territorio nazionale”.
Ma, come ogni novità potenzialmente utile per il Paese, anche la ricetta dematerializzata ha trovato degli ostacoli che hanno comportato uno stop, almeno fino a ieri.
Ora, quindi, sarà possibile compilare una ricetta “telematica” (uguale a quella cartacea) direttamente nel sistema informatico, e sarà rilasciato un numero di ricetta elettronica (NRE) a cui sarà associato il codice fiscale del paziente. Il sistema, poi, automaticamente, aggiungerà anche eventuali esenzioni.
Tuttavia, non si può dire che ad oggi sia stata abolita definitivamente la carta, in quanto la ricetta elettronica ha preso solo parzialmente il posto di quella cartacea.
Come stabilito dall’art. 4 del DPCM 14 novembre 2015, inoltre, per un periodo transitorio e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2017, le modalità di dispensazione dei medicinali prescritti su ricetta farmaceutica dematerializzata non si applicano:
a) a tutti i farmaci con piano terapeutico AIFA;
b) a tutti i farmaci distribuiti attraverso modalità diverse dal regime convenzionale.
Sono, dunque, escluse dalla nuova modalità di prescrizione alcune classi di farmaci, come ad esempio le sostanze stupefacenti o psicotrope, e le prescrizioni per erogazione diretta in continuità assistenziale, le quali continueranno a essere prescritte tramite il formato cartaceo già in uso.
In più, per ora, il medico rilascerà al paziente un promemoria cartaceo da consegnare al farmacista, che permetterà di recuperare la prescrizione in caso di malfunzionamenti del sistema o assenza di linea Internet.
Se da un lato non si può che sperare che le ricette digitalizzate siano un ulteriore passo in avanti nel processo di digitalizzazione, dall’altro, però, ci sono dei profili di incertezza che fanno sorgere dei dubbi. Infatti, un rischio potrebbe essere quello legato all’inesistenza, attualmente, di un sicuro processo di conservazione a norma per le nuove prescrizioni telematiche, dal momento che non sono state date precise disposizioni sulle regole in base alle quali procedere alla conservazione delle ricette, né sul soggetto preposto alla stessa.
Tutto ciò nonostante il Codice dell’Amministrazione digitale, agli articoli 43 e 44 imponga rispettivamente: la conservazione permanente in modalità digitale dei documenti informatici di cui è prescritta la conservazione per legge o regolamento (da effettuarsi in modo da garantire il rispetto delle regole tecniche stabilite ai sensi dell’art. 71 dello stesso CAD e delle misure di sicurezza previste dagli articoli da 31 a 36 del Codice Privacy (D.Lgs. n. 196/2003) e dal disciplinare tecnico di cui all’Allegato B dello stesso.
Ad oggi, invece, chi sta conservando le nostre prescrizioni mediche? E con quali modalità?
La nostra mentalità, basata sulla carta, fa fatica a lasciare definitivamente il passo a una completa digitalizzazione, a un cambio di abitudini e punti di vista che non deve assolutamente comportare un rischio aggiuntivo per i nostri documenti.
Inoltre, voler digitalizzare un Paese, e le stesse abitudini dei suoi cittadini, non è un processo facile; c’è bisogno sì di tempo, ma anche e soprattutto di chiarezza normativa. Quella chiarezza che ad oggi, in Italia, manca e che non consente un rapido sviluppo verso l’innovazione.