E’ stato approvato, in prima lettura, dal Consiglio dei Ministri del 20 gennaio scorso il decreto attuativo di alcune delle deleghe contenute nella riforma Madia, riguardanti la “carta della cittadinanza digitale”.
L’approvazione in prima lettura comporta che siano necessari sia pareri dei competenti ministeri sulla copertura finanziaria delle norme approvate, sia pareri delle competenti Commissioni parlamentari sul merito delle norme e sulla rispondenza alle deleghe.
Ricevuti i pareri, il Governo potrà eventualmente modificare il decreto che sarà poi approvato nella sua versione definitiva e trasmesso al Capo dello Stato per i controlli di competenza in vista della definitiva promulgazione ed entrata in vigore.
Potremo (ragionevolmente) avere il testo del nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale tra circa tre mesi, considerando i tempi che generalmente impiegano le procedure in questione.
In questa fase non si può dunque ancora commentare un nuovo testo, e non si può certo commentare una norma approvata definitivamente.
Testi provvisori in circolazione, annunci del Ministro e le stesse deleghe da attuarsi fanno tuttavia pensare che il testo approvato contenga norme sul “domicilio digitale”.
Vale la pena spiegare di cosa si tratta e come potrebbe essere stato attuato, sulla base (provvisoriamente e senza alcuna garanzia che sia quello effettivo e che, anche se lo è, non subisca variazioni) del testo pubblicato dai principali quotidiani online in questi giorni.
Si tratta dunque di un esercizio, per ora, teorico, in attesa di conferme sul testo.
Scopriamo che, all’art. 3-bis sarebbe stata inserita una norma in base alla quale “Gli iscritti all’Anagrafe nazionale della popolazione residente, di cui all’articolo 62, possono chiedere l’inserimento nell’Anagrafe medesima di un domicilio digitale che costituisce mezzo esclusivo di comunicazione da parte dei soggetti di cui all’articolo 2, comma 2.”.
Se andiamo a vedere chi sono i soggetti in questione, scopriamo che sono “pubbliche amministrazioni” (nel rispetto delle competenze Stato-regioni) nonché “società a controllo pubblico”.
La norma prevede dunque che i soggetti che si dotano di un domicilio digitale possano ricevere comunicazioni da PA e società a controllo pubblico solo in digitale attraverso, appunto, il suddetto domicilio digitale.
Resta da capire cosa accadrebbe alle comunicazioni effettuate con modalità diverse.
Manca una norma che stabilisce che esse non sarebbero opponibili al destinatario, tuttavia da come appare formulata la norma, si potrebbe dire che la “carta” non sarebbe un mezzo di comunicazione consentito e, dunque, sarebbe invalido.
Si realizzerebbe cioè una completa inversione di paradigma: fino ad oggi se arriva al cittadino una richiesta da parte dell’Amministrazione di pagamento tramite una e-mail, essa è invalida… ora ad essere invalida/irregolare sarebbe invece quella cartacea.
Si aprono dunque (ipoteticamente) nuovi scenari, vera e propria attuazione del principio del “digital first” di cui alla delega legislativa.
Certo, sarebbe stato preferibile avere una norma esplicita che chiarisse cosa accade alle comunicazioni cartacee e specificasse l’estensione della norma. Riguarda anche le notifiche processuali (oggi possibili in digitale ma non in tutti i tipi di giudizio)? Una notifica è infatti pur sempre una comunicazione dall’amministrazione (della giustizia) al cittadino.
Ci si potrebbe chiedere se riguarda anche alcuni processi “cartacei” delle partecipate. Un contrassegno di parcheggio della locale municipalizzata, ad esempio, deve arrivare al domicilio digitale ed essere stampato dal cittadino?
Sta di fatto che il testo che circola prevede che tutti i cittadini avranno entro il 2017 un domicilio digitale ed, anzi, che professionisti ed imprese già iscritti all’INI PEC (tutti) avranno subito la conversione della loro PEC in domicilio digitale.
Dunque lo strumento sembra destinato ad avere da subito attuazione pratica (i dettagli in un regolamento di prossima emanazione) e non appare essere una rinnovata edizione della CEC-PAC che fu istituita ma, di fatto, utilizzata da pochissimi.
Aggiungiamo la modifica dell’art. 37 che, sempra nella versione circolante, appare configurare un inedito principio per il quale “Se il documento informatico è conservato per legge da una pubblica amministrazione, cessa l’obbligo di conservazione a carico dei cittadini e delle imprese che possono in ogni momento richiedere accesso”. I cittadini non dovrebbero pertanto più conservare (e la PA non potrebbe, dunque, più esigere) copia dei pagamenti elettronici, certificati, F24, ecc. Nemmeno vi potrebbero più essere procedimenti per cui una PA pretende che il cittadino faccia il traghettatore di ricevute e documenti provenienti da un’altra amministrazione.
Insomma, ad un primissimo giudizio, se il testo è questo, pur non negando che tutto è migliorabile (ma d’altra parte ci sono altri 3 mesi) la rivoluzione sembra esserci ed essere profonda.