Le nuove tecnologie possono rivestire una concreta rilevanza per la sicurezza antisismica dell’Italia. Ma è incredibile quanta poca consapevolezza ancora ci sia al riguardo. Non solo nella cosiddetta opinione pubblica, ma perfino tra policy makers e decisori pubblici, politici e burocratici. Vediamo lo scenario e gli ambiti che possono essere affrontati.
I dati sono noti ed agghiaccianti. L’Italia è il Paese europeo sottoposto al più grave stress geologico ed esposto al maggiore rischio sismico. Anche nella cosiddetta “zona 4”, quella in cui il grado di rischio è minore, il pericolo è comunque significativo. E lo sappiamo per dolorosa esperienza: chi di noi considerava Mirandola e quel pezzo di Emilia area sismicamente delicata?
Pensiamo allora di che rischio si parli quando ci spostiamo nella cosiddetta “zona 1”, quella a rischio maggiore, una diagonale che parte dalla Sicilia, tagliando Messina dopo essere partita da Catania, risale la dorsale appenninica influenzando moltissimi comuni in Campania e Calabria, taglia verso est per stemperarsi in Pianura Padana, ma solo per tornare pericolosissima nel Triveneto e alle pendici del Carso.
Terremoti in Italia, i rischi maggiori
Per dirla brutalmente, tre milioni di Italiani vanno a letto ogni sera forse nemmeno del tutto consapevoli di potersi alzare di notte e trovarsi nel deserto di Accumuli o Amatrice. O peggio, purtroppo, a seconda del grado di vetustà dell’edificio in cui abitano.
Tre milioni di cittadini dislocati in 705 Comuni di 25 Province in 11 Regioni, solo 7 dei quali con carattere urbano in senso europeo (ovvero con più di 50.000 abitanti); un milione di loro abita in 595 Comuni sotto i 5.000 abitanti, ovvero piccolissime strutture amministrative prive di vere professionalità tecniche negli uffici, decente gestione delle funzioni catastali e di assetto territoriale.
Problema drammatico, si dice, ma non problema di innovazione. Questione di muri, dicono i più, di intonaci, di cemento armato senza cemento, di costruzioni fatte a risparmio, perfino, nel Paese del malocchio e della superstizione, fatalità, volere perverso di una leopardiana Natura matrigna che si accanisce contro le genti d’Appenino.
Tecnologia al servizio delle calamità naturali
E invece no. Proprio no. Che l’Italia da decenni viva ricorrenti tragedie sismiche senza maturare una ragionevole cultura della prevenzione è già di per sé fatto grave e nemmeno troppo spiegabile. Che poi addirittura, nei casi non frequentissimi nei quali si applica a programmi più o meno vasti, più o meno strategici, più o meno estemporanei, di messa in sicurezza del patrimonio immobiliare, il Paese lo faccia raccontandosi perversamente di essere negli anni ’70 del ‘900 lascia addirittura sbalorditi.
La verità che sembriamo non voler vedere è che questa fragilità naturale, questo continuo ricatto del terrore ha oggi per chi deve fronteggiarlo un alleato un tempo inesistente, che è proprio la tecnologia. Con buona pace della retorica del “virtuale”, sono tangibili e concretissimi i supporti che le nuove tecnologie offrono oggi per fronteggiare la naturale rischiosità dell’Italia.
I 4 ambiti su cui la tecnologia può intervenire
Ci sono almeno quattro aspetti generali di policy che nel tempo che viviamo possono essere affrontati in maniera totalmente diversa dal passato.
In primo luogo la diagnostica; le tecniche di rilevazione dei dati possono beneficiare oggi di tecnologie combinate tra terra e cielo: sensori a terra e monitoraggio satellitare dall’alto consentono oggi, con investimenti non giganteschi, conoscenza e calcolo delle informazioni un tempo impossibili. E la scienza sta per produrre un ulteriore balzo in avanti: diversi centri di ricerca si stanno avvicinando al risultato, solo pochi anni fa letteralmente impensabile, di avere un monitoraggio dei movimenti e dei mutamenti al suolo senza nemmeno più bisogno dei sensori, in quanto sarà la stessa fibra ottica, che attraverso il piano di banda ultralarga si sta posando in questi anni, a poter fungere da sensore restituendo informazioni precisissime attraverso lo stress che le scosse sismiche anche più piccole e impercettibili le imprimeranno.
L’utilizzo predittivo di tutte queste informazioni, poi, troverà nell’intelligenza artificiale, nel machine learning e nel calcolo dei big data strumenti ancora una volta inimmaginabili solo pochi anni fa, per tentare di fronteggiare ciò che tuttora è praticamente impossibile da pronosticare. Ma che certamente, almeno a livello di misure precauzionali, non lo resterà ancora a lungo.
Vi è poi un secondo aspetto messo in evidenza dal Rapporto al Governo della Commissione di esperti nominata dopo il terribile sciame sismico del 2016-2017: l’altissima mortalità che osserviamo in Italia a fronte di scosse anche non di grossissima portata è dovuta a una diffusa sottovalutazione del rischio reale, da una inconsapevolezza dei cittadini, da uno scarto netto tra pericolo reale e pericolo percepito, e in una conseguente inazione dei proprietari degli edifici, del sistema delle costruzioni nel suo complesso.
Anche da questo punto di vista, nella “società dell’informazione” che si va costruendo (con tutti i limiti che vedono l’Italia ancora molto indietro secondo l’indice DESI) diverrà sempre più semplice e gestibile una diffusione capillare delle conoscenze, una presa di coscienza che porti, senza inutili allarmismi e isterie collettive, alla diffusione di una seria cultura della prevenzione che minimizzi il rischio dato dalla natura. E ancora una volta parliamo di qualcosa che l’immateriale rende possibile, con limitati investimenti, già oggi, non chissà quando.
Back office dei Comuni: dov’è l’innovazione?
Venendo al terzo aspetto dell’innovazione che può contribuire a un efficace contrasto al rischio sismico, è evidente quanto una seria informatizzazione dei back office catastali dei Comuni, connessi “a due vie” alla banca dati del Catasto nazionale, possa contribuire a individuare rischi, priorità di intervento, proficuità degli investimenti, rapidità ed efficacia di uno sforzo collettivo di resilienza antisismica.
Negli 8.000 Comuni Italiani, e segnatamente nei quasi 6.000 Comuni sotto i 5.000 abitanti, questa modernizzazione dei back end è inesistente, né dal centro si notano sforzi per far fare a questa cruciale funzione territoriale il salto di qualità che la tecnologia già oggi, anzi già da anni, rende possibile e anche poco costosa.
Esistono comunità di innovazione procedurale e tecnologica delle pubbliche amministrazioni territoriali che hanno sviluppato, ed oggi fanno crescere in logica cooperativa, sistemi integrati di gestione dei dati tributari e catastali che sono aperti, open source, in distribuzione gratuita e sviluppo condiviso: ne è un esempio la comunità di pratica del GIT, nata attorno ad ANCI Lombardia e ad Umbria Digitale ai tempi del Programma Elisa del Dipartimento Affari regionali della Presidenza del Consiglio dei Ministri (anno 2006!). Ma né quello stesso Dipartimento, né il PON Governance dei Fondi Strutturali Europei, né l’AGID hanno mai ritenuto di mettere uno sforzo di diffusione di questi strumenti, tanto utili rispetto a un problema tragico come quello in argomento, al centro delle loro policy.
Quarto ed ultimo elemento, di certo più tangibile, è legato alla modernizzazione che le nuove tecnologie, da tempo applicate alle scienze cosiddette “dure”, consentono in termini di materiali, di tecniche, perfino di modalità di gestione delle procedure: basti pensare all’utilizzo estensivo, in tutta Europa, del cosiddetto BIM (building information modeling), che, inopinatamente, le ultime Linee guida sulle costruzioni, emanate dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici nel 2018, nemmeno nominano.
Insomma, a voler far traguardare alla modernità anche le più hard tra le funzioni pubbliche, come quelle della resilienza antisismica, ce n’è più che abbastanza, e non da oggi. Che non si faccia, è il segno di una allergia al digitale e all’innovazione che è la vera palla al piede del Paese, che del Paese pare essere l’unico vero lessico comune di troppe classi dirigenti “estrattive” (per citare Daron Acemoğlu).
Usiamo la loro stessa retorica stantia, parliamo la loro lingua e diciamoglielo una buona volta: “Virtuale sarà lei”.