trasparenza

La trasformazione digitale è zoppa senza open data: come invertire la rotta

La trasformazione digitale in Italia è lenta e non sempre trasparente. Serve maggiore attenzione agli open data per favorire il coinvolgimento dei cittadini e generare più fiducia. La Ue ci prova da oltre un decennio, ma il governo italiano ha ancora molto da lavorare su questo

Pubblicato il 26 Lug 2022

Clara Pastorino

The Good Lobby

Fabio Rotondo

The Good Lobby

big data

Oggi, dopo undici anni dalle politiche sulla trasparenza inaugurate dalla Commissione Barroso in Europa e da Barak Obama oltreoceano, si ritorna a parlare di open data come strumento in grado di consentire ai cittadini di conoscere e monitorare le riforme e gli enormi investimenti del Piano Nazionale ripresa e Resilienza. Sulla carta è tutto molto positivo e non c’è dubbio che i dati aperti possano aiutare a combattere la corruzione grazie all’attenzione della cittadinanza.

Ma le cose nel nostro Paese, non sempre vanno secondo i piani: come al solito, l’Italia deve correre per creare un’infrastruttura digitale per gli open data e per formare le pubbliche amministrazioni sulla necessità di rendere pubblici i dati.

Open Data, il nodo della PA: perché è così difficile rilasciare dati pubblici di qualità

Digitalizzazione della PA e open data, se ne parla da oltre un decennio

Il Regolamento 2021/2106 dell’Unione Europea, che contiene le linee guida e gli indicatori comuni su come spendere i fondi del PNRR, obbliga gli Stati Membri ad assegnare nel proprio Piano almeno il 20% delle risorse al digitale. L’UE spinge quindi i governi ad attuare riforme che permettano una rapida digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni e che garantiscano, attraverso la realizzazione un’apposita piattaforma informativa di dati in formato aperto il libero accesso delle informazioni pubbliche ai cittadini.

Questa condizione si inserisce all’interno della direzione politica che la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, sta portando avanti in questi anni: favorire l’innovazione digitale per consentire alle società europee un ampio riutilizzo dei dati del settore pubblico, oltreché dell’informazione sostenuta con fondi pubblici, garantendo così il diritto fondamentale dell’accesso all’informazione come sancito dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

L’idea degli open data come un bene accessibile a tutti però, non è di certo un’idea nuova. Risale infatti al 2011 con la Commissione Barroso e spinta dai venti americani dell’Open Government, le politiche di trasparenza e partecipazione del Presidente Barack Obama. I dati aperti erano stati pensati come risposta alla forte sfiducia dei cittadini nei confronti della politica, alimentata soprattutto dalla crisi economica del 2007-2008.

Il concetto base dell’epoca è che gli open data potessero dare più trasparenza dell’azione amministrativa e quindi favorire il coinvolgimento dei cittadini, che avrebbero cominciato a monitorare le amministrazioni pubbliche, generando più fiducia.

Sul piano dell’implementazione, però, il progetto europeo inizia a scricchiolare, soprattutto in un Paese come l’Italia dove la sfida della digitalizzazione è un passo da giganti. Infatti, il nostro Paese si posiziona al 25esimo posto in Europa per il livello di digitalizzazione (DESI, 2020).

Dati aperti, l’Italia attua la direttiva ue ma ha le idee confuse

La sfida italiana degli open data, una strada in salita e opaca

La strategia di transizione digitale finanziata con i fondi del PNRR è stata inserita nel piano ItaliaDigitale2026, dove tra gli obiettivi si legge appunto la pubblicazione di dati aperti per migliorare il rapporto con i cittadini.  Il primo passo è stato il lancio del portale italiadomani.it che dovrebbe consentire alla popolazione di consultare i progetti, gli obiettivi e lo stanziamento dei fondi del PNRR in maniera semplice e divulgativa. Con qualche difficoltà e ritardo iniziale è stato inserito anche il catalogo open data dove è possibile scaricare in vari formati, ad esempio in Excel, tutti i dati riguardanti il Piano come il quadro finanziario, le gare d’appalto, l’evoluzione dei lavori eccetera.

Gli open data però, per poter essere rappresentativi dello stato dell’arte del Piano, devono essere pubblicati in modo accurato, completo, coerente ed attuale.  Secondo OpenPolis, uno degli attori che ha deciso di occuparsi del monitoraggio sugli avanzamenti del PNRR, ci sono ancora molti dati non disponibili sul portale Italiadomani.it. Ad esempio, mancano i dati sulla quantità di risorse erogate e sul loro riparto territoriale, mancano i dati degli importi suddivisi su base annuale e ancora mancano i dati aggiornati sullo stato di avanzamento delle scadenze. La maggior parte degli open data pubblicati sono datati 31 dicembre 2021. Siamo a luglio e l’importanza del Piano richiederebbe uno strumento di monitoraggio costante e aggiornato.

Conclusioni

Se l’obiettivo era quello di intervenire sulla fiducia dei cittadini, sempre più compromessa come dimostra il record di astensionismo delle elezioni 2021 e 2022, allora la strategia italiana sta fallendo. Pur apprezzando lo sforzo di aver creato, anche se con netto ritardo, il portale italiadomani.it inserendo alcuni opendata, questo non è sufficiente. I cittadini e la società civile devono monitorare in tempo reale l’avanzamento dei progetti del PNRR in modo tale da intervenire in caso di anomalie.

A questo serve la trasparenza, e solo tramite una seria e tempestiva trasparenza si può puntare alla partecipazione e quindi a una crescita della fiducia. Solo attraverso la creazione di un modello veramente orizzontale e trasparente tra istituzioni, privati e cittadini si può prevenire la corruzione e spendere in maniera adeguata i fondi del PNRR. Gli open data, quindi, devono essere aggiornati e riutilizzabili. Il governo italiano ha ancora molto da lavorare su questo.

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