il piano marshall

L’Agenda Brunetta: la PA al centro della ripresa, il cittadino al centro della PA

La PA deve farsi perno della nuova crescita italiana grazie al Recovery Fund. In uno scenario da dopoguerra, il ministro Brunetta appronta una sorta di “piano Marshall pubblico” che punta a un salto di qualità delle prestazioni, imperniato su nuove competenze e centralità del cittadino e delle imprese

Pubblicato il 18 Mar 2021

Sergio Talamo

Dirigente Formez PA – Coordinatore Gruppo di lavoro per la Riforma della comunicazione pubblica e la Social media policy nazionale

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Il ministro PA Renato Brunetta non vuole fare riforme complessive, “perché non c’è tempo e perché l’ho già fatta”, dice. Ma poi lancia un programma molto più ambizioso di una riforma ordinaria. Prima si richiama a momenti-clou e nomi illustri del Pantheon nazionale, richiamando il patto Ciampi-Giugni del 1993, il Rapporto Giannini del 1979 e il principio di “continuità amministrativa” caro a Sabino Cassese. Poi declina il suo piano: quattro lettere in fila nell’audizione alle Camereaccesso, buone pratiche, capitale umano, digitalizzazione – e un protocollo su innovazione e coesione sociale firmato con i sindacati insieme a Mario Draghi.

Il premier condivide con il suo ministro della PA un denominatore unificante per l’intero percorso del Recovery: la Pubblica Amministrazione al centro della ripresa italiana. È una chiave di lettura che già avevano cercato di adottare le ministre Giulia Bongiorno e Fabiana Dadone, consapevoli che la narrazione sulla PA era quantomeno parziale, visto che è molto più facile lanciare anatemi contro un’entità impalpabile come la “burocrazia” che prendere di petto la riduzione costante di risorse e l’invecchiamento del personale dovuto al blocco del turn over, il contratto scaduto e l’azzeramento della formazione.

Una nuova agenda delle priorità per la PA, i dati da cui partire

Brunetta riparte da lì, per riscrivere una nuova agenda delle priorità.

Assunzioni per una PA più digitale, tutta la (vera) formazione che serve

Questi i principali dati di cui tenere conto, tratti dal Report 2021 del ForumPA:

  • 3,2 milioni di impiegati pubblici (in termini assoluti il 59% in meno di quelli francesi, il 65% di quelli inglese, il 70% di quelli tedeschi);
  • Età media del personale 50,7 anni (che sale di un bel po’ se si escludono le forze dell’ordine)
  • 16,9% dipendenti over 60, over 54 oltre il 45, under 30 il 2,9%;
  • 4 dipendenti su 10 laureati, e investimenti in formazione dimezzati in 10 anni: dai 262 milioni di euro del 2008 ai 154 milioni del 2018: 48 euro per dipendente, 1 giorno di formazione l’anno;
  • In dieci anni 212mila persone in meno, il 6,2% del personale;
  • Nel 2021, per la prima volta, più pensionati ex dipendenti pubblici (3 milioni) che dipendenti pubblici attivi;
  • Turn over solo sulla carta. Dal 2018 ad oggi in pensione 300mila dipendenti pubblici a fronte di circa 112mila nuove assunzioni;
  • Pensionabili ad oggi: 540mila dipendenti hanno già compiuto 62 anni di età (il 16,9% del totale), mentre 198mila hanno maturato 38 anni di anzianità;
  • Procedure concorsi ancora lente e media dei tempi tra emersione del bisogno e effettiva assunzione dei vincitori dei concorsi di oltre 4 anni.

Un piano Marshall per il settore pubblico

Un panorama da dopoguerra cui Brunetta risponde con una sorta di “piano Marshall pubblico” che punta ad un salto di qualità delle prestazioni, imperniato su innesto di nuove competenze e centralità del cittadino e delle imprese. Un disegno che non può fare a meno della coesione sociale. Molti hanno rilevato un netto cambio di linea rispetto alla versione agguerrita del ministro che nel 2008 avviò la guerra ai “fannulloni” a suon di tornelli, rilevazione delle assenze e “faccine” per segnalare il maggiore o minore gradimento da parte degli utenti. È già leggenda il confronto tv domenicale (15 marzo) con un’incredula Lucia Annunziata, che dopo essersi imbattuta nello stile istituzionale e dialogante del Brunetta edizione 2021, arriva a scavalcare a destra il ministro chiedendogli conto, con riferimento ad un articolo sul “Foglio” di Pietro Ichino, del credito accordato ai sindacati: come fai a fidarti di soggetti corporativi e nemici del merito? In realtà, il criterio-guida dei “due Brunetta” è simile, ciò che cambia è lo scenario storico. “Il volto della Repubblica – scandisce Brunetta citando Sergio Mattarella – è quello che si presenta nella vita di tutti i giorni: l’ospedale, il municipio, la scuola, il tribunale, il museo”.

Traduzione: non contano tanto le procedure ma i risultati. Non gli uffici, ma i servizi. Rispetto al 2008, è radicalmente diverso il quadro politico in cui si inserisce un progetto che spazia dalle assunzioni tese e specializzare e ringiovanire l’impiego pubblico alla definitiva digitalizzazione di processi e servizi. È fin troppo ovvio osservare che nel 2008-2010 l’imperativo era risparmiare – e lo si fece tardi e male, con deleteri tagli lineari e soprattutto il blocco del turn over – mentre oggi siamo tenuti a spendere e, prima ancora, a dimostrare di saperlo fare. La vera discontinuità è nell’occasione storica di “invertire” l’agenda: non più lo stato giuridico del personale e la normazione, ma l’efficienza e l’efficacia, “il buon andamento e l’imparzialità”, principi decisivi per l’economia che hanno anche rango costituzionale.

Ogni intervento dovrà essere teso a questi obiettivi: far funzionare il sistema. Quindi, per fare alcuni esempi: mirare le assunzioni a figure tecniche native digitali, attinte anche dagli ordini professionali con un portale unico del lavoro pubblico; disboscare la giungla legislativa, con particolare attenzione ai reati indefiniti che agevolano la “fuga dalla firma” denunciata da Draghi; l’interoperabilità delle banche dati e la cittadinanza digitale (riconoscimento dell’identità di cittadini e imprese, tracciabilità e verifica da remoto delle pratiche); accompagnamento degli utenti e presa in carico del problema fino all’esito finale.

Su quest’ultimo punto, Brunetta pensa a rilanciare in versione digitale Linea Amica, servizio di successo da lui ideato nel 2009 e gestito dal Formez. Sul digitale, del resto, anche se l’Italia arranca nelle ultime posizioni dell’indice DESI, qualcosa inizia davvero a muoversi: 97 milioni di transazioni sulla piattaforma PagoPA, con un tasso di crescita annuo del 93%, oltre 16 milioni di Spid – le identità digitali trainate dal Cashback – con circa 10 milioni di cittadini che hanno scaricato l’app IO. La diffusione di profili social e delle chat come canali di contatto con i cittadini è ormai molto capillare, e – dicono dati dell’Osservatorio Digitale (realizzato dall’associazione PAsocial e dall’Istituto Piepoli) – il gradimento dei cittadini verso le informazioni ottenute via social e chat supera l’80 per cento.

Il senso del patto con i sindacati

Per questa scommessa, Renato Brunetta richiama spesso la sua cultura liberalsocialista (fu allievo di Gianni De Michelis e fra i realizzatori dell’accordo di San Valentino del 1985). Quindi sottolinea che solo per questa via lo Stato tenderà davvero la mano alle categorie deboli, ​quelle che non possono garantirsi i servizi essenziali pagandoli sul mercato. Ed è un’azione che può fare solo lo Stato, la casa di tutti, la “casa di vetro”, per dirla con un altro socialista come Filippo Turati. Solo che l’edificio non starà in piedi senza una forte iniezione di responsabilità. È questo il “do ut des” dell’accordo con i sindacati che non risulta chiaro a personalità come Ichino e Cassese. I contratti e un nuovo protagonismo concertativo in cambio della collaborazione a una stagione dove la premialità e la contrattazione integrativa siano legate a risultati misurabili, e dove i famosi “fannulloni” siano sanzionati o, dove possibile, accompagnati alla porta della pensione. Non sarà certo facile, ma – dice il Brunetta 2021 per ribadire di non sentirsi così lontano da quello 2008 – oggi come allora abbiamo l’Europa alle costole. Se non sappiamo spiegare “come” useremo i soldi, e convincere che lo sapremo fare, “quei soldi semplicemente non li avremo”.

Della riforma Brunetta del 2008, del resto, restano validi i principi ma non le ricadute effettive. Parti qualificanti sono rimaste inapplicate, ad esempio in materia di trasparenza effettivamente utile al cittadino e di performance misurabile e misurata, anche se la legislazione successiva ha introdotto nel 2016 la “trasparenza totale” e nel 2017 la performance “partecipata” dai cittadini. In tale quadro va letto l’impegno a operare il cambio di passo in termini di: a) velocità del servizio prestato: b) calibrazione sulle specifiche esigenze del cittadino e dell’impresa; c) rilevazione della soddisfazione del cliente rispetto a degli Standard di servizio indicati preventivamente.

Insomma, dalla PA dell’adempimento si procede verso una “PA mister Wolf”, cioè che sviluppa un’attitudine problem-solver, e si fa giudicare dagli utenti per migliorare le sue prestazioni (“PA Tripadvisor”). “E’ la nostra qualità della vita”, sintetizza Brunetta davanti ai suoi colleghi parlamentari.

Il ruolo della comunicazione digitale

Prossimo appuntamento, dopo le dichiarazioni programmatiche e l’accordo sindacale, il decreto PNRR di aprile, in cui ci saranno norme-chiave relative alla PA. Nel frattempo, molti altri passaggi. Ad esempio sulla comunicazione, che è una delle chiavi di tutto il processo. Il 17 marzo Brunetta ha partecipato ad un summit Ocse la cui cornice era l’Open government, che proprio lui lanciò come orizzonte dell’amministrazione italiana. Da allora sono stati fatti molti passi avanti, con l’Italia che ha raggiunto un ruolo centrale nella costruzione europea di best practices in tema di trasparenza, accountability e partecipazione civica. All’appuntamento Ocse, Brunetta è stato chiamato anche per il riconoscimento all’Italia di aver avviato un processo di riforma della comunicazione pubblica (la legge di settore è ferma al 2000, un’era addirittura pre-digitale) e di uso consapevole e professionale dei social media.

E’ infatti attivo al Ministero PA un Gruppo di lavoro, istituito dalla ministra Dadone, composto dalle associazioni del giornalismo, della comunicazione e del digitale, da università, regioni, comuni e realtà civiche, che nel giugno 2020 ha prodotto un documento di indirizzo per la riforma della legge 150 (la cd “legge 151”), e che continua ad operare per la definizione di una Social media policy nazionale. Le parole di Brunetta in sede Ocse sono state molto eloquenti: “La comunicazione ha un ruolo essenziale: è l’essenza stessa dei servizi che fornisce la pubblica amministrazione.  Di questo farò il centro del mio mandato”. Un impegno che ha seguito l’elogio del segretario OCSE Angel Gurria: “La riforma in corso in Italia è un ottimo esempio di uso strategico dei social media”.

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