Stiamo vivendo la trasformazione di concetti come “cittadinanza politica”, “proprietà”, “privacy”, “moneta” e “luogo”: sono tutti inglobati nella cosiddetta “trasformazione culturale” in un asse spazio-tempo che ha superato il pre-digitale e che possiamo definire come cartesiano (sperando che Cartesio ci perdoni per l’impudenza).
Il digitale non è arrivato adesso, è arrivato dieci anni fa, ma questa trasformazione è stata più veloce del dibattito sugli impatti dell’era computazionale della sfera pubblica. Ci sono, pertanto, grandi aspettative per quella che viene chiamata “l’Agenda Digitale Europea” senza aver compreso quali sono le opportunità e i rischi connessi alla gestione dell’innovazione.
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Innovare non è inventare
La stessa parola “innovazione” è spesso usata a sproposito. La prima associazione che viene fatta è quella legata alle grandi invenzioni come la stampa, la lampadina, la macchina da scrivere, i computer, gli smartphone. In realtà, innovare non è inventare. Sono due parole diverse. Innovare significa prendere i semi positivi dell’invenzione e trasformarli in prodotti, servizi e sistemi riconosciuti da tutti. In Italia quello che manca è proprio il tema dell’adozione. Per molti anni abbiamo finanziato la ricerca immaginando che produrre scoperte o invenzioni fosse l’unica cosa utile (indubbiamente necessaria per aumentare il bagaglio di conoscenze scientifiche). Ma finanziare l’innovazione è una cosa molto diversa. Per innovare dobbiamo costantemente domandarci quale sia la definizione di successo di un’iniziativa, immaginare se esiste un impatto tangibile, nelle mani delle persone, degli investimenti fatti.
Già nel 1995, quando pubblicò “Essere digitali”, Nicholas Negroponte poneva l’attenzione sul cambio di paradigma che il digitale avrebbe portato nelle nostre vite. La relazione tra digitalizzazione e uomo credo sia abbastanza circolare: le tecnologie modellano gli esseri umani e noi diamo forma alle tecnologie. Ed è per questo che ha assunto rilevanza la gestione dell’innovazione, compresa la formalizzazione della figura di innovation manager. Fino a poco tempo fa l’innovazione nelle aziende consisteva in un dipartimento separato di ricerca e sviluppo interno. Adesso, invece, le organizzazioni, i colossi del web ma anche le aziende tradizionali dispongono di una governance strutturata, finalizzata a creare un vantaggio competitivo. In che modo? Migliorando i processi del business as usual (transformation) e sperimentando nuove value proposition (business innovation). Alcune organizzazioni di successo hanno spostato parte della propria mission proprio sulla gestione dei processi di innovazione.
Dalla nostra piccola finestra sul mondo delle imprese, nello scorso anno e mezzo abbiamo visto che molte aziende, per sopravvivere, hanno subìto un drastico cambiamento che gli è stato, in qualche modo, imposto: andare oltre lo spazio fisico come canale di vendita. Una necessità più che una scelta ragionata. Questa necessità ha causato una forte paura, visto che molte esperienze di retail erano strettamente legate allo spazio. E soprattutto un’innovazione mancata, cioè la pura riproduzione della singola esperienza immaginando un tool, uno strumento, che ne potesse essere il veicolo. L’errore è stato quello di tradurre e non ripensare quello che si sta offrendo.
Digitalizzare per abbassare le barriere sociali
Il PNRR, che mette al centro delle sue missioni Digitalizzazione e Innovazione, Rivoluzione verde e Transizione ecologica, Istruzione e Ricerca, Coesione e Inclusione, così come la Salute, ruota attorno ad assi che, di fatto, sono intrecciati. Nel momento in cui digitalizzo, non solo all’interno delle aziende private, ma anche nella Pubblica Amministrazione, sto includendo, sto abbassando un po’ di barriere sociali, motivo per cui progettare con le persone e per le persone, deve essere un obiettivo prioritario. Le infrastrutture e i servizi non devono essere il fine, ma il mezzo da plasmare sulle esigenze delle persone.
Un esempio concreto potrebbe essere la realizzazione di un unico touchpoint in cui tutti i cittadini possano orientarsi non tanto sulla base dei processi amministrativi o dei dipartimenti, ma sulle proprie esigenze e sui momenti della vita che stanno attraversando. La trasformazione deve passare attraverso la semplificazione e la razionalizzazione dei servizi e deve mettere al centro i bisogni delle persone, non quelli delle organizzazioni pubbliche. A oggi, uno degli errori più frequenti che riscontriamo è il cosiddetto “self-design”, ovvero quella progettazione che tiene conto solo delle esigenze dei committenti che vogliono ridisegnare qualcosa.
Direzione connected services
La nuova direzione da intraprendere è, invece, quella dei connected services. Una volta abilitato a una piattaforma come pagoPA o Spid, il cittadino deve poter usare le stesse informazioni inserite per altri servizi. A livello strutturale, è possibile attuare alcune accortezze: i contenuti devono essere posti in modo che i cittadini li possano trovare facilmente, con una pluralità di descrittori che aggreghino informazioni in maniera diversa per persone diverse; il piano di governance deve avere delle linee guida chiare per tutti gli attori coinvolti nella gestione dei servizi online; infine, la collaborazione delle figure istituzionali coinvolte è fondamentale per facilitare il percorso immaginato.
Lo sforzo richiesto alle organizzazioni pubbliche, così come per le imprese, è duplice: semplificare, rendere accessibili e personalizzabili i servizi esistenti e re-immaginare quali servizi siano necessari a un nuovo concetto di cittadinanza. C’è una serie di ambiti in cui il PNRR potrebbe essere un boost, con l’idea di investire sulla digitalizzazione, sulla transizione ecologica e sull’inclusione sociale.
Il design è partecipazione
Motivo di preoccupazione può essere la service innovation: i fondi destinati alla governance pubblica devono essere utilizzati per un processo scalabile che parta dalla base dei comportamenti delle persone, dalle loro ragioni profonde ed esperienze, per arrivare poi a fare innovazione reale. Il design è partecipazione, ogni atto di progettazione è una presa di decisione sulla vita degli altri. Molte Pubbliche Amministrazioni sono efficaci quando devono comunicare, non altrettanto quando devono immaginare: l’unica strada per la sfera pubblica è il design partecipativo o co-design, dove per semplificare devo conoscere e toccare con mano la realtà a cui mi sto rivolgendo.
Infatti, la partecipazione attiva del cittadino permette di comprendere dall’inizio le problematiche e le soluzioni che emergeranno dall’utilizzo di quel prodotto o servizio, e consentirà di dedicare risorse a progetti che siano realmente fruttuosi. Solo così le risorse del PNRR destinate alle Pubbliche Amministrazioni potranno contribuire a un benessere collettivo che tenga conto delle reali necessità del Paese.