Quello che c’è da fare in materia di innovazione digitale sembra chiaro a tutti. Ogni Regione, o quasi, ha inserito nei propri programmi strategici iniziative in materia di Agenda Digitale. E gli ambiti considerati sono più o meno comuni a tutti: infrastrutture IT di base e banda larga, scuola digitale, eHealth, servizi digitali ai cittadini e all’imprese eccetera.
Ma come perseguire queste priorità di innovazione, in un contesto in cui le risorse scarseggiano?
Progetti e Ricerche condotte all’interno degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano dicono che sono tre le leve principali da utilizzare:
1. Accedere ai Finanziamenti Europei: ci si riferisce principalmente a due tipologie di fondi, quelli a gestione diretta – erogati direttamente dalla Commissione Europea agli utilizzatori finali attraverso la partecipazione a bandi (rientrano in questa categoria i programmi Horizon 2020, Creative Europe, Health for Growth, Active Assisted Living Programme, ecc.) – e quelli a gestione indiretta (o fondi strutturali) – gestiti dagli Stati membri che, sulla base dei programmi operativi e attraverso le loro PA Centrali e Locali (in Italia soprattutto le Regioni), ne dispongono l’assegnazione ai beneficiari finali. Le cifre potenzialmente in gioco per fare innovazione digitale sono enormi, anche se con profonde differenze tra Regione e Regione: stime dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano parlano di circa 9 miliardi di € disponibili per realizzare progetti volti allo sviluppo dell’Agenda Digitale nell’orizzonte 2014-2020, con le Regioni in Obiettivo Convergenza che avranno accesso a una quantità maggiore di risorse rispetto a quelle disponibili per le altre, che dovranno quindi privilegiare l’utilizzo di risorse proprie.
2. Utilizzare strumenti di Procurement innovativo: in affiancamento alle procedure di acquisto più tradizionali e alle piattaforme telematiche di acquisto già oggi abbastanza diffuse (MEPA, accordi quadro, Sistema Dinamico di Acquisizione della PA, ecc.), è possibile fare ricorso a strumenti innovativi per “acquistare innovazione”. Il riferimento è agli strumenti che verranno abilitati dalle nuove Direttive EU (Partenariati per l’Innovazione, Nuovo Dialogo Competitivo, Procedure Competitiva con Negoziazione), piuttosto che ai meccanismi già presenti di:
a. Pre-Commercial Procurement: appalti finalizzati alla conclusione di contratti di R&D i cui risultati non sono riservati in esclusiva alla PA e che possono riguardare solo le fasi precedenti alla commercializzazione di un determinato prodotto (sostanzialmente, dall’ideazione ai primi test di sperimentazione); prevedono la condivisione di rischi e benefici tra committente pubblico e imprese.
b. Dialoghi competitivi: procedure flessibili nelle quali la stazione appaltante, in caso di appalti particolarmente complessi, avvia un dialogo con i candidati al fine di elaborare una o più soluzioni atte a soddisfare le sue necessità e sulla base delle quali i candidati saranno invitati a presentare le loro offerte.
c. Dialoghi tecnici: prima dell’avvio di una procedura di aggiudicazione di un appalto, le amministrazioni aggiudicatrici possono, avvalendosi di tali procedure, sollecitare o accettare consulenze utili alla preparazione del capitolato d’oneri a condizione che non venga ostacolata in alcun modo la concorrenza.
Tutti questi strumenti, al momento, sono scarsamente utilizzati, nonostante i grandi benefici che le PA potrebbero trarne, in termini di efficienza dei processi di acquisto e di efficacia dei rapporti con i fornitori. Un dato esemplificativo è quello riferito alle procedure di dialogo competitivo utilizzate dal 2012 ad oggi: in Italia si contano solo 5 procedure, contro le 102 della Germania, le 920 dell’Inghilterra e le oltre 1.200 della Francia.
3. Fare sistema: quanto sopra riportato non può funzionare se non si ragiona a livello sistemico, da un lato spingendo la creazione e il ricorso a Partnership Pubblico-Private (PPP), dall’altro promuovendo accordi tra Regioni e con l’AgID finalizzati a:
a. superare la logica del mero riuso applicativo, passando dal “comprare innovazione digitale” a co-progettarla e co-realizzarla;
b. fornire servizi condivisi a livello inter-regionale;
c. sviluppare accordi su determinati ambiti applicativi, come ad esempio il Protocollo di intesa tra Regioni e AgID per l’attuazione del piano “Crescita Digitale” che ha riguardato Emilia Romagna, Lazio, Marche, Toscana e Umbria;
Grazie a questi tre fattori è possibile pensare di raccogliere i fondi ed instaurare i corretti meccanismi in grado di consentire al nostro Paese di realizzare le azioni in programma e mettere davvero a terra le iniziative i cantiere. In caso contrario, il rischio è che il salto di qualità portato dall’innovazione digitale rimanga solo sulla carta, come uno dei tanti desideri non soddisfatti.