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Libra e le relazioni (pericolose) col denaro e i big data: tutti i possibili sviluppi

Proviamo a collocare Libra nel percorso storico di evoluzione del denaro, che affonda nella notte dei tempi, fino a immaginare un futuro nel quale il vero denaro, il vero valore universale, sarà rappresentato dai dati

Pubblicato il 08 Lug 2019

Luciano Cimbolini

Dirigente del Ministero economia e finanze

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Dopo quasi dieci anni in cui continuiamo ad affermare che i Big data valgono oro per chi riesce a “governarli” e a trasformarli in valore reale, Libra di Facebook è la dimostrazione che quel valore verrà effettivamente monetizzato trasformandolo in “moneta sonante”.

Anche per questo inquietante motivo, l’House Committee on Financial Services, cioè il comitato della Camera degli Stati Uniti sui servizi finanziari, ha chiesto a Facebook di fermarsi nel processo di sviluppo di Libra, almeno fino alla sua audizione dinanzi all’House Committe stesso che avverrà al più presto.

Nonostante la sua novità, Libra, difatti, non è che un altro tassello nella lunghissima storia di quell’oggetto allo stesso tempo celeberrimo e misterioso che risponde al nome di denaro. La fama del denaro, infatti, è proverbiale, “come la di lui fame”.

Libra nella storia

Il mistero del denaro si può comprendere da una domanda: alzi la mano chi sa definire il denaro, al di là della sua manifestazione fisica e contingente rappresentata dalle monete, dalle banconote, dalle carte di credito o dai bit di una criptomoneta.

Chi sa concettualizzare il denaro nella sua forma giuridica e nella sua dimensione economica e sociale? Si tratta di un debito dello Stato o di una passività della Banca centrale garantita dal sovrano o ancora di un titolo di credito sui generis circolante non rifiutabile per l’estinzione di obbligazioni giuridiche o altro ancora? Se non riuscite a trovare una definizione, state comunque tranquilli. Ci hanno provato, con scarso successo invero, tanti filosofi, economisti, giuristi negli ultimi 2.500 anni. Quindi siete e siamo in buona compagnia, perché non saremo certo noi a risolvere questo rebus.

Proveremo dunque a collocare Libra nel percorso storico di evoluzione del denaro, che affonda nella notte dei tempi. Denaro, infatti, sono stati monili, conchiglie, pelli, sale, capi di bestiame. E poi barre di metallo dal peso garantito, poi ancora metallo coniato, moneta metallica, cambiale, cioè il denaro fiduciario dei mercanti medievali, cartamoneta (biglietto di stato e banconota, che, per inciso, sono due “denari” completamente diversi), carte di credito e di debito. Ed infine, con l’avvento dell’era digitale, arriviamo alle tante criptovalute, di cui il bitcoin rappresenta l’archetipo.

Libra, sarà un enorme successo nonostante i tanti problemi: ecco perché

Libra e libbra

La libbra romana era l’antico peso monetario argenteo, dal quale si dovevano ricavare 240 denari. La libbra, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, continuò ad essere usata come moneta di conto durante tutto l’Alto medioevo, pur non essendo mai stata coniata quale moneta tangibile. Carlo Magno (768-814 d.C.) fece il duplice tentativo di ristabilire un effettivo monopolio pubblico nella coniazione e di costituire un sistema monetario a livello imperiale. La monetazione fu esclusivamente a base 100, con l’emissione di una sola moneta, vale a dire il denarius. Il nuovo denaro carolingio riprendeva il denaro di Costantino, con un’evidente continuità ideale con l’impero romano e con il primo imperatore cristiano. Il sistema monetario era, in realtà, però imperniato sulla lira (libbra), un termine che indicava tanto l’unità di peso quanto l’unità monetaria. La lira però serviva solo come unità di misura, dato che nessun pezzo di una libbra (490 grammi), anche sotto Carlo, venne mai effettivamente coniato.

Lira è poi il nome dato a tante monete “reali”, cioè, effettivamente coniate nella storia: la lira tornese, la lira di stati italiani rinascimentali e preunitari, la lira sterlina, la lira turca, la lira italiana. Il nome scelto è, dunque, molto suggestivo, perché evocativo più che di una moneta storicamente determinata, bensì di un sistema monetario, di una forma (nuova) di amministrazione del denaro.

Nel white paper si dicono tante cose e tutte interessanti. In primo luogo si dice chiaramente che si vuole creare un sistema di pagamenti mediante una criptomoneta basata su un sistema di blockchain particolare e diverso, non decentralizzato e completamente open come la blockchain del bitcoin.

Bitcoin e anonimato

Il bitcoin, ricordiamolo, è una moneta elettronica creata nel 2009 da un anonimo conosciuto con lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto A differenza della maggior parte delle valute tradizionali, Bitcoin non si basa su un “ente tradizionale centrale”: esso utilizza un database distribuito tra i nodi della rete che tengono traccia delle transazioni, e sfrutta la crittografia per gestire gli aspetti funzionali come la generazione di nuova moneta e l’attribuzione di proprietà dei bitcoin. L’ingrediente qualificante, costruito su sul concetto di file system a spirale, è l’architettura blockchain, letteralmente, ma anche sostanzialmente, catena di blocchi.

La rete Bitcoin consente il possesso ed il trasferimento anonimo delle monete; i dati necessari ad utilizzare i propri bitcoin possono essere salvati su uno o più computer sotto forma di “portafoglio” digitale, o mantenuti presso terze parti che svolgono funzioni simili ad una banca. In ogni caso, i bitcoin possono essere trasferiti attraverso Internet verso chiunque abbia un “indirizzo bitcoin”. La struttura peer-to-peer della rete Bitcoin e la mancanza di un ente centrale, per ora, rende impossibile per qualunque autorità, governativa o meno, di bloccare la rete, sequestrare bitcoin ai legittimi possessori o di svalutarla creando nuova moneta.

Nel 2015, la Commodity Futures Trading Commission (CFTC) ha definito il bitcoin come una merce scambiabile al pari di una materia prima, ovvero una commodity. Per commodity, dal francese commodité, si intende un bene fungibile offerto sul mercato e che avrebbe le medesime caratteristiche indipendentemente da chi lo produce. In italiano potrebbe essere definito “bene indifferenziato”.

Nell’ottobre del 2018, la Corte Distrettuale del Massachusetts, in relazione al caso My Big Coin, ha stabilito che le cryptovalute sono da considerarsi a tutti gli effetti al pari di una commodity e che pertanto la CFTC ha piena competenza ad indagare sulle ICO, in questo modo confermando la competenza sul mercato delle criptovalute in capo alla CFTC e non alla Sec.

Le Initial Coin Offering (ICO), per inciso, sono una forma di finanziamento legata ad uno specifico progetto, utilizzata in genere da startup, per reperire finanziamenti. Con la ICO si propone al pubblico (normalmente tramite un “withepaper”) un progetto che sarà realizzato tramite blockchain con creazione di “token” da cedere, a fronte di un corrispettivo, ai soggetti finanziatori.

Pur comprendendo l’esigenza della CFTC di ottenere strumenti per reprimere comportamenti fraudolenti, ci permettiamo, come vedremo più avanti, di dubitare di questa scelta definitoria delle criptovalute.

La blockchain di Libra, invece, da quanto si può capire, non sarà decentralizzata, ipotizzando un sistema centrale di organizzazione del sistema gestito direttamente dalle società promotrici dell’iniziativa.

Libra e le relazioni (pericolose) con la moneta legale

Libra sarà diretta a quel vasto mondo di soggetti esclusi, per motivi vari, dal sistema finanziario (dei pagamenti), ma che, grazie ad uno smartphone, oggi ha accesso ad Internet e con un potere di spesa. Il soggetto, inoltre, dovrà comunque possedere moneta a corso legale da utilizzare.

L’utilizzatore dovrà “cambiare” moneta a corso legale, cioè quella creata dagli stati quale espressione della loro sovranità, seppur ormai totalmente delegata alle banche centrali, in un equivalente di Libra da conservare in un wallet del sistema, da utilizzare poi per le transazioni all’interno del sistema stesso, cioè fra gli operatori economici ad esso aderenti.

Al momento non è dato ovviamente nemmeno ipotizzare il problema del tasso di cambio tra Libra e monete a corso legale. Questi riferimenti difatti, non si trovano nel White paper.

La grande differenza con le altre criptomonete è che la moneta legale acquisita dal sistema Libra sarà investita in asset finanziari con elevato grado di stabilità presenti nei mercati dei capitali. Questo dovrebbe fornire stabilità a Libra, perché a differenza delle altre, non è una criptomoneta solo fiduciaria, ma è garantita da asset reali, per quanto possano ritenersi tali i valori di titoli quotati in questi mercati finanziari. Gli asset acquisiti, oltre a garantire da eccessi di volatilità e soprattutto da inflazione, dovrebbero produrre utili per il gestore del sistema che, però, s’impegna ad utilizzarli soltanto per lo sviluppo del sistema stesso (tutto da vedere e confermare).

In altre parole, il sistema Libra drena denaro legale dal sistema economico, lo trasforma in valore/mezzo di pagamento all’interno del proprio circuito ed impiega il denaro a corso legale acquisito per investimenti extra sistema in asset finanziari ritenuti sicuri.

La grande differenza con altri circuiti informatici dei pagamenti, come ad esempio il noto (in Italia) Satispay, è che mentre questi ultimi sono soltanto un “circuito” nel quale la transazione viene conclusa e pagata in moneta legale (ad esempio euro), nell’ecosistema Libra la transazione viene chiusa, al pari delle altre criptomonete, mediante un pagamento in Libra. Lo scambio, dunque, non è bene/servizio vs euro, ma bene/servizio vs Libra.

Molto interessante, sotto il profilo culturale, è il linguaggio del white paper che usa il termine ecosistema finanziario, precisa che Libra, a differenza della altre criptomonete, non nasce contro il denaro “tradizionale”, ma in collaborazione con il sistema di creazione e gestione dello stesso, ma, al contempo, definisce, in modo tanto antico quanto moderno, il denaro ed il suo sistema di gestione come bene pubblico.

Nicola d’Oresme e il denaro come bene pubblico

Il “We believe that a global currency and financial infrastructure should be designed and governed as a public good” ricorda tanto le tesi di Nicola Oresme, allievo a Parigi di Jean Buridan, studioso di grande spessore in molte discipline, dalla matematica all’astronomia, alla filosofia e alla teologia, è ricordato però soprattutto per il Tractatus de origine, natura, iure et mutacionibus monetarum (“Trattato sull’origine, la natura, il diritto e i cambiamenti della moneta”). Il Trattato voleva affrontare e risolvere le due dispute: era giusto che il sovrano manipolasse lo standard monetario? E se sì, nell’interesse di chi? Le risposte di Oresme erano rivoluzionarie. La Scolastica tradizionale riteneva che il denaro fosse parte del dominio feudale dell’emittente e che l’autorità preposta al conio potesse dunque disporne a piacimento. Poiché il sovrano era proprietario della Zecca, gli unici interessi da considerare erano i suoi. Oresme, in una prospettiva del tutto nuova, sosteneva che il denaro, non fosse proprietà del sovrano, ma dell’intera comunità che lo utilizza. L’uso del denaro si era esteso, difatti, ben oltre il finanziamento delle spese della corona. Le transazioni e la ricchezza private erano in forma monetaria. L’emissione di denaro, per questo, doveva costituire un servizio pubblico.

Naturalmente l’idea di Oresme di pubblico non era democratico in senso moderno. Il suo pubblico, difatti, erano i grandi possidenti feudali del clero e dell’aristocrazia, le cui rendite e i cui risparmi erano appena cambiati da obbligazioni in natura a ricchezze monetarie. Oresme le definiva apertamente “le classi migliori della comunità” ed erano queste a patire più di tutti il peso del signoraggio ridistributivo in favore del sovrano. Era nel loro interesse che il sovrano doveva amministrare con diligenza il proprio denaro. Il sovrano, affermava Oresme, “non è il signore né il proprietario della moneta che ha corso nel suo principato. Poiché il denaro è uno strumento equilibratore per lo scambio della ricchezza naturale […] è dunque proprietà di coloro che possiedono tale ricchezza”.

Libra e i pagamenti nella PA

Molto interessante è l’ipotesi di usare Libra con i servizi di pagamento della pubblica amministrazione, alla stregua di PagoPA.

Come sappiamo, PagoPa è un sistema di gestione dei pagamenti elettronici messo a punto da AgID (Agenzia per l’Italia Digitale) con l’obiettivo di rendere più semplice, sicuro e trasparente qualsiasi pagamento verso la Pubblica Amministrazione. Consente infatti, di pagare le proprie bollette attraverso canali online, come i siti Web delle Pubbliche Amministrazioni e degli enti aderenti al servizio, ma anche fisicamente in uno dei punti abilitati come ad esempio le ricevitorie di Sisal.

Già oggi è possibile pagare le bollette delle Pubbliche Amministrazioni tramite la banca On Line, gli sportelli ATM, ma anche con strumenti “smart” già largamente diffusi e disponibili sotto forma di App per lo smartphone come PayPal e Satispay.

Visto il grande potenziale di semplicità e diffusione che ha nel suo DNA Libra, che si baserà appunto sulla possibilità di inviare pagamenti direttamente dagli strumenti di messaggistica già in uso e largamente diffusi in tutto il mondo come Whatsapp e Messenger, qualora venga risolto il non facile problema del cambio da valuta legale a criptomoneta, è ipotizzabile “un aggancio” a PagoPa anche di questo immenso patrimonio di contribuenti. La rapidità e la facilità di pagamento di una bolletta potrebbe essere alla portata di tutti, anche di quel pubblico di ultra 60-70enni che oggi ha un accesso non così scontato ai servizi on line e alle App che già sono abilitate oggi al PagoPa ma che per varie ragioni non sono così diffuse ed utilizzate dai contribuenti. Questo, potenzialmente, potrebbe portare maggiori e più rapidi introiti per le casse dello Stato e minori costi per il recupero di mancati o tardivi pagamenti. Queste saranno certamente valutazioni che sarà doveroso fare allargando le possibilità di pagamento “smart” dei bollettini ad un pubblico praticamente completo.

In conclusione: Libra ci piace o no?

L’idea del sistema monetario come bene pubblico, né del sovrano né dei privati, in un mondo in cui tutta la creazione del denaro avviene esclusivamente grazie al circuito banche centrali\mercati finanziari, può apparire veramente rivoluzionaria.

In conclusione dunque, cosa possiamo dire di Libra?

Possiamo dire che è sicuramente una criptovaluta basata su un sistema centralizzato che la distingue dal bitcoin “tradizionale” che basa la sua natura su un sistema di blockchain ma non completamente libero in senso tradizionale. Al pari delle altre criptovalute, più che commodities, appare, in prima battuta, moneta fiduciaria utilizzata in un sistema chiuso, non fruibile al di fuori di esso perché basata sulla reciproca fiducia degli operatori appartenenti al sistema e dunque non estensibile alla generalità degli agenti economici, poiché mancante del requisito della sovranità che solo il potere statuale può attribuire.

Insomma più che oro, assomiglia alla cambiale delle grandi fiere di cambio della Champagne. Gli sviluppi esterni (vedi PagoPa), sono comunque ipotizzabili.

Per questo motivo non sembra, al momento, poter fare concorrenza al denaro statuale, non tanto nelle sue forme contingenti di moneta mezzo di pagamento, riserva di valore ed unità di conto, quanto nella sua essenza consustanziale di unità di misura del valore economico presente e circolante nella società.

Più che alle banche centrali, insomma, Libra pare fare concorrenza al sistema bancario tradizionale, in quel percorso di disintermediazione della gestione delle transazioni monetarie caratteristica dell’era digitale.

Ad ogni modo, l’identificazione, in verità inquietante, tra creatore di una, seppur virtuale e settoriale moneta e detentore pressoché universale dei dati, potrebbe aprirci uno spiraglio di futuro in cui “l’emissione della moneta” e il possesso dei dati, vanno di pari passo oppure nel quale il vero denaro, il vero valore universale, sarà rappresentato dai secondi. Insomma o money and data oppure money versus data.

“Filosoficamente” potremmo definire Libra come “moneta buona, a patto che la valutazione avvenga fingendo di non conoscere chi c’è dietro la creazione di questa moneta virtuale e il potere che hanno i soci fondatori della pseudo banca centrale tecnologica.

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