Mentre in Italia qualcuno sostiene con convinzione che sia sufficiente cambiare di nuovo nome ad AgID e rinnovarla con l’inserimento di qualche manager internazionale per far andare bene la digitalizzazione, ecco qui un nuovo fiore all’occhiello per la nostra infallibile giustizia digitale.
In un giudizio civile di opposizione avviato da P. Snc nei confronti del Fallimento L. Srl, il Tribunale di Milano, nel suo provvedimento definitivo, ha sostanzialmente condannato a responsabilità aggravata (con condanna al pagamento di 5.000 euro) la parte soccombente (P. Snc) per il semplice fatto di non aver depositato anche la copia di cortesia (cartacea) della comparsa conclusionale, tutto ciò in ossequio alle disposizioni del protocollo vigente in quella sede giudiziaria. Infatti, lo spregiudicato Collega di P. Snc – gravemente reo di rendere faticoso il delicato compito di esaminare le difese da parte del Collegio giudicante – si era permesso arditamente di depositare solo e soltanto in via telematica la sua comparsa contravvenendo così, non a una norma di legge e neppure a un atto regolamentare, ma addirittura a un Protocollo d’Intesa del 26/06/2014 sottoscritto dal Tribunale di Milano e dall’Ordine degli Avvocati di Milano. Sembra una barzelletta o un anticipato pesce d’aprile, ma è quanto invece si legge in questo incredibile provvedimento del Tribunale di Milano del 15 gennaio 2015.
Questo provvedimento rivela in modo palese un certo ostinato e contrario malessere verso il Processo Civile Telematico: i giudici accordano espressamente una preferenza alla carta e anzi ritengono la procedura telematica gravosa per i loro compiti. Tutto questo è in aperto contrasto non solo con le norme e lo spirito del PCT, ma con quanto è previsto nel Codice dell’amministrazione digitale e con quanto oggi annuncia l’intero ordinamento comunitario. Tanto che da fonti attendibili ci è giunta voce di un palese dietro front da parte del giudice delegato del Fallimento F. Srl, il quale avrebbe “autorizzato la rinuncia da parte del fallimento ad avvalersi del capo della sentenza che ha condannato l’opponente al pagamento di euro 5.000”, e ciò perché detta pronuncia sarebbe fondata su un “principio opinabile”. Quindi, la condanna non può che rimanere ormai valida, ma si tenta in extremis di risolvere la situazione cucendoci sopra, maldestramente, una toppa.
In verità, occorrerebbe con coraggio soffiare via questo velo di fuliggine che ancora ipocritamente si respira nel PCT. In questi giorni il Consiglio Nazionale Forense chiede inverosimilmente la disapplicazione di importanti regole tecniche (proprio sul documento informatico!) pur di superare quelli che non possono essere considerati vuoti formalismi, ma precisi adempimenti che rispettano standard internazionali.
Tutto questo senza rendersi conto di ciò che avviene ogni giorno nelle aule di giustizia: con Ordini degli Avvocati che sottoscrivono protocolli d’intesa che appaiono in aperta violazione di precise normative e giudici che non conoscono neppure lontanamente le regole tecniche che presidiano la formazione e conservazione digitale di atti e fascicoli processuali.
C’è ancora tanta strada da percorrere purtroppo. E oggi è davvero difficile riuscire a ridere per quella che appare l’ennesima barzelletta, tutta italiana, sul digitale.