CRESCITA DIGITALE

Luci e ombre del Piano Crescita Digitale

Le luci di una strategia ambiziosa e ampia dove diventa cardine l’iniziativa Italia Login, innovativa e di grande respiro, le ombre di aree non trattate come quella dell’innovazione delle Pmi, ancora alla ricerca di una strategia organica. E la necessità di rafforzare il tema chiave delle competenze digitali

Pubblicato il 03 Apr 2015

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La pubblicazione della versione definitiva del documento “Strategia per la Crescita Digitale 2014-2020” consente una valutazione più ampia di quella già effettuata prima della consultazione pubblica, riprendendo e puntualizzando quelle riflessioni, tornando sulle luci e sulle ombre del Piano per la Crescita Digitale.

Le luci

Il Piano Crescita Digitale ha il pregio di inserire delle innovazioni importanti (prima fra tutte l’iniziativa Italia Login) all’interno di un quadro ampio di interventi, soprattutto in ambito di Pubblica Amministrazione, e di farlo con un linguaggio per quanto possibile attento alla comunicazione anche ai non addetti ai lavori. Altri elementi da sottolineare sono gli obiettivi dichiarati (tra cui il “switch-off” come scelta strategica per forzare la digitalizzazione della PA) oltre che l’identificazione di alcuni punti chiave per il rinnovamento della PA. Non solo, si riprendono tutte le iniziative in corso per la PA digitale correlandole tra loro logicamente, e in parte anche temporalmente, includendo oltre che le azioni definite “Infrastrutturali” (come SPID, Fatturazione Elettronica, ANPR) anche le azioni su alcuni settori sociali ed economici, come Sanità, Giustizia, Scuola, Turismo, Agricoltura (definite “Piattaforme abilitanti”).

Molto positiva l’inclusione questi due ultimi settori nella versione definitiva del Piano degli interventi, soprattutto per la loro importanza “connotante” a livello economico, mentre la Sanità e la Giustizia, anche dalle descrizioni delle attività in corso e pianificate, appaiono chiaramente più avanti e con una cadenza di azioni molto ben definite e programmate. Alcuni risultati sono già visibili e le prospettive sembrano corroborate dalla presenza delle condizioni necessarie per il raggiungimento degli obiettivi, soprattutto se i finanziamenti previsti corrispondono al fabbisogno realistico delle iniziative.

L’innovazione di Italia Login, inclusa tra i “Programmi di accelerazione” è però certamente la chiave di un cambiamento nel percorso verso la PA digitale. Nelle conclusioni del documento l’iniziativa Italia Login viene definita “asse cardine della strategia”. Italia Login, infatti, definisce un nuovo modo di concepire il rapporto tra amministrazione, cittadini e imprese trasformando profondamente la logica dei servizi. Italia Login è l’evoluzione generazionale dei vecchi progetti di “portale del cittadino”, non una finestra ma una piattaforma di accesso, con un cambio di visione radicale: Italia Login, infatti, “vuole essere la casa online del cittadino e dell’impresa italiana. Un’unica piattaforma che sostituisca l’eterogeneità dell’offerta attuale e sappia integrare i piani verticali avviati (sanità, scuola, giustizia, ecc.) in un’unica piattaforma di accesso”. Da questo punto di vista Italia Login si propone di plasmare e trasformare l’intera logica dei servizi pubblici digitali e, infatti, l’investimento previsto fino al 2020 è importante (750 milioni), dando l’esplicito messaggio che si tratta di un’operazione profonda e non di superficie. Non solo. La sua presenza consente di dare una prospettiva organica e chiara a diversi altri progetti, primi fra tutti quelli relativi al Sistema Pubblico di Gestione dell’Identità Digitale (SPID) e l’Anagrafe della Popolazione Residente (ANPR), ma anche gli sviluppi in tema di cloud computing e, naturalmente correlati, quelli finalizzati al consolidamento dei CED della PA.

Da sottolineare sul tema Italia Login anche le iniziative delle “Piattaforme Internet Corner”, che correlano la definizione di una piattaforma di supporto ai cittadini non ancora alfabetizzati digitalmente con il supporto svolto da parte di facilitatori digitali all’interno di spazi fisici pubblici (punti di accesso pubblici assistiti), connettendosi così all’iniziativa per le Competenze Digitali. Ottimo esempio di sinergia.

Le ombre

Il Piano sconta la limitazione di base di essere nato come documento di accompagnamento all’Accordo di Partenariato con la Commissione Europea. In questo senso, come subito puntualizzato da Paolo Coppola (PD), questo documento non rappresenta l’intera Agenda Digitale italiana, non includendone tutte le linee di intervento, e risulta quasi esclusivamente focalizzato sulla Pubblica Amministrazione.

Se ci astraiamo dal contesto specifico dell’Accordo di Partneriato, ed effettuiamo anche qualche considerazione comparativa rispetto alle Agende Digitali di altri Paesi europei, non possiamo che auspicare l’integrazione nel Piano di tutte le aree qui non trattate o non affrontate in modo esauriente, così da definire un luogo unico per l’Agenda Digitale.

Tra le principali aree da integrare, risaltano quelle relative a temi come

  • ricerca e università (identificato come uno degli assi strategici nella prima definizione di Agenda Digitale da parte del governo Monti);
  • innovazione sul fronte fiscale (come la precompilazione della dichiarazione dei redditi);
  • innovazione delle imprese, dalla cybersecurity (trattata qui solo per la parte relativa alla PA) agli interventi per favorire l’innovazione delle pmi e/o di alcuni settori industriali (come i trasporti);
  • open government (c’è un capitolo “open data” ma mancano interventi sulle aree della partecipazione e della collaborazione, che sono previsti, sul breve termine, nel Piano di Open Government predisposto nell’ambito dell’iniziativa OGP a cui partecipa l’Italia);
  • attività in ambito internazionale, in particolar modo europeo e mediterraneo, in termini di iniziative a livello di policy, programmi e progetti, oltre che di correlazione e scambio di esperienze e di raccordo con gli altri Paesi

L’assenza di misure strategiche per l’innovazione delle imprese (soprattutto PMI) emerge con evidenza soprattutto perché nell’analisi SWOT contenuta nel Piano (purtroppo non commentata e poco correlata con il resto del documento) tra i punti di debolezza compare “Carenza di innovazione nelle PMI” (gli altri sono relativi agli investimenti – che sono necessari in dimensioni ingenti e non sono coordinati in modo organico – alle competenze digitali nella popolazione e nelle imprese e alla carenza di infrastrutture di connettività ultra-veloce).

Valutando adeguata questa analisi, infatti, ci si potrebbe aspettare una definizione degli interventi mirata anche al superamento di tutti i punti di debolezza. A parte il tema della connettività, invece, affrontato nel Piano Banda Ultralarga, si riscontra una risposta generalmente non molto decisa, con iniziative positivamente in atto (vedi il protocollo d’intesa tra le Regioni del Centro e l’AgID per il coordinamento sull’Agenda Digitale o la Coalizione Nazionale per le Competenze Digitali), ma ancora non sufficientemente definite e sviluppate rispetto all’urgenza di superamento delle debolezze riscontrate.

Restando nell’ambito in cui si muove la strategia, alcune riflessioni sono forse utili per miglioramenti da attuare per una versione operativa del Piano:

  • dal punto di vista della presentazione degli interventi, una descrizione del quadro di insieme, anche in termini di disegno di una roadmap che, identificando le milestone principali del percorso, e i target intermedi e finali che ci si prefigge di raggiungere, permetta di evidenziare la correlazione anche temporale con il piano nazionale per la banda ultralarga. Soprattutto perché il successo della strategia sulla banda dipende strettamente dall’evoluzione della domanda di connettività, legata a sua volta alla qualità e all’attrattività dei servizi e al livello di competenze digitali della PA, dei cittadini e delle imprese;
  • in modo simile a quanto previsto per la strategia per la banda ultralarga, l’individuazione degli obiettivi che si intendono raggiungere in relazione (ma non solo) all’Agenda Digitale Europea, con la definizione di un cruscotto di indicatori;
  • una maggiore enfasi sulla cultura digitale anche in fase di definizione degli interventi, e non solo nell’analisi e nelle premesse strategiche, guardando ad esempio al tema dell’inclusione digitale e alla natura profonda del problema delle insufficienti competenze digitali, in Italia strettamente connesso all’analfabetismo funzionale. La sfida ambiziosa dal punto di vista sociale è di coinvolgere i cittadini e i non “addetti ai lavori”, facendo uscire il digitale dalla nicchia in cui è ancora nel nostro Paese, un problema da non trascurare e che spinge a ritenere tra le priorità il tema delle competenze digitali. Per questa ragione può essere utile rivedere la scelta di considerare lo sviluppo della cultura digitale come acceleratore e non come precondizione indispensabile. E anche, dato il ritardo consistente dell’Italia su questo fronte, potrebbe essere più adeguata un maggiore previsione di risorse e una loro distribuzione che privilegi i primi anni del settennio 2014-2020;
  • un segnale forte sull’importanza dell’introduzione dei nuovi modelli di lavoro (smartworking, coworking) che diventano parte importante della trasformazione della cultura organizzativa sia nel settore pubblico sia in quello privato, oltre che influire profondamente sulla definizione stessa del problema della mobilità;
  • una chiara indicazione di approccio per la realizzazione dei servizi di e-government con il contributo di cittadini e imprese nel processo di progettazione, anche valorizzando e migliorando le esperienze di co-progettazione di servizi già realizzate nei territori, come i living labs.

Sul fronte economico, in modo specifico, diventa sempre più fondamentale la realizzazione di un piano industriale che indirizzi le priorità sui settori economici e quindi consenta anche focalizzazioni strategiche per gli investimenti e la costruzione territorialmente omogenea di ecosistemi di innovazione.

Il Piano costituisce pertanto un passo significativo e importante, ma non ancora sufficiente, che richiede maggior coraggio nelle scelte implementative e nella governance, che necessita d’altra parte del lavoro collaborativo e propositivo di tutti gli attori pubblici e privati, per una trasformazione profonda del sistema socio-economico italiano, possibile soltanto partendo dalla convinzione che il cambiamento culturale è necessario e tutti ne siamo coinvolti.

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