(dalla puntata 67) Il dottor Annthok Mabiis ha annullato tutte, o quasi, le memorie connesse della galassia col cosiddetto Grande Ictus Mnemonico, dichiarando di averlo fatto per salvare uomini e umanidi dalla noia assoluta, provocata dal conoscere, fin dalla nascita, la propria vita futura in ogni particolare. La Memory Squad 11, protagonista di questa serie, ha ora il difficile incarico di rintracciare e portare davanti al Primo Tutor il dottor Mabiis, per costringerlo a fagli rimettere in connessione almeno le Memore Vitali.
Shaiira, distaccatasi dalla sua Memory Squad 11 è all’inseguimento del dottor Mabiis. Si inoltra in un bosco. Si perde nel buio più assoluto. La Memory Squad 11 si mobilita per rintracciare Shaiira e giunge, dopo aver seguito varie tracce, al bosco. In una radura appare loro un cimitero non più con le tombe ma con i defunti vivi, avatar luminosi, che sono delle In-Memorie.
“Comandante, sembra d’essere in quella commedia, come si chiama…? Quella con l’inferno…” la voce squittiva di memoria rabberciata. La memoria è come la pioggia. Devasta alluvioni. Rifresca goccioline. Asseta deserti. Sferza scrosci.
“Divina, si chiama divina commedia… fu scritta da un toscano, dello stato dell’italia…” spillò Stefano Magli, l’agente di Memoria Antica della squadra.
“Vedi quanta gente importante?!…” gli agenti riconoscevano quei pochi che ricordavano dai musei storici, dismessi perché resi diffusi da più di un secolo. Ogni reperto era tornato al suo posto d’origine. Completato se era una parte di un tutto. Collocato, se era nato in un atelier. In una bottega. In una fonderia. In una soffitta. Avatarizzato attraverso le In-Memorie, se era un personaggio storico. Appoggiati al loro sarcofago i re dialogavano coi visitatori della basilica. Davanti al loro ritratto famoso i duchi intrattenevano i turisti colti. Altri preferivano i boschi come luogo di riposo. Tutti i defunti di cui si avesse memoria stavano lentamente invadendo le galassia con loro avatar In-Memoria..
“Chi sei? Da dove vieni?” L’agente Magli l’aveva riconosciuto. I larici impensieriti. Il loro piegarsi lento.
“Sono di Ledi-Gegaru” l’homo squillava. Vibrava muscoli. Gli occhi irridevano. L’età altezzava.
“Chi sei stato?” L’agente Magli squagliava lo stupore.
“Sono stato adamo… dopo milioni d’anni voi mi chiamate così, adamo… sono fatto di terra, come tutti… anche voi, che ora coprite la terra coi vostri vestiti… e con quella puzza che chiamate profumo…”
“Di che colore sei? Ora sei luminoso… ma tu di che colore eri?”
“D’arcobaleno… ho generato l’arcobaleno… ogni colore possibile!”
“Poetico homo! Ma non hai risposto…”
“Non c’è risposta alla stupidità e alla paura… voi avete ancora terrore dei miei colori…”
L’agente Magli si era perso nella metafora. Annaspava la distanza. Di tempo. Di luogo. L’homo guardava la piccola donna con rispetto. Adorazione. Distante vicinanza. Complicità luminosa. La piccola donna arretrava, alla radice del larice più alto. L’agente Magli la raggiungeva. Si chinava. Coraggiava.
“Chi sei stata?” Magli era in ginocchio. Magli misurava i tre milioni e mezzo d’anni. Magli lacrimava.
“Sono stata eva… prima di homo…” I picchi tacquero.
“Chi sei?”
Le In-Memorie tacquero. Si girarono tutte verso il larice più alto. In alto i diamanti brillavano. Nel buio totale della storia. Le tonalità cambiavano. Gli specchi giocavano. Gli agenti stordivano. Nel silenzio monolitico. Del bosco.
“Sono Lucy.”
(67-continua)