L’Italia è tra i paesi “trend setter” in Europa in fatto di politiche e cultura open data.
Dal rapporto annuale della Commissione Europea “Open Data maturity in Europe” [1] emergono indicatori positivi ma anche alcuni punti da migliorare per ridurre la distanza con i Paesi più evoluti.
Sulla base dei dati del rapporto della Commissione Europea, giunto alla quarta edizione (2015-2018), esaminiamo allora i punti di forza e le barriere da superare.
La maturità degli open data in Europa
Il rapporto Ue analizza e mette a confronto tutti gli stati membri (chiamati EU28) rispetto alle azioni messe in campo sugli Open Data.
Il livello di maturità è misurato rispetto a quattro dimensioni.
- “Policy”, le politiche favoriscono il coordinamento a livello locale e regionale per lo sviluppo delle azioni di ogni stato membro.
- “Portal”, i portali vengono valutati in base alle caratteristiche che abilitano l’interazione tra fornitori di dati e utilizzatori.
- “Quality” e “Impact”, la qualità dei dati è considerato valore aggiunto che favorisce il riuso e rafforza l’impatto originato dai dati sull’intero sistema (stato).
Figura 1 Livello di maturità complessivo degli stati membri europei (EU28)
Il valore globale di maturità in Europa vale 65 punti come riportato nella Figura 1. Tiene conto delle performance dei singoli stati membri rispetto alle quattro dimensioni. Nella successiva Figura 2 si evidenzia una Europa a diverse velocità fra tutti gli EU28. Per questo motivo è nata la classificazione degli stati nelle quattro categorie: Beginners, Followers, Fast-trackers e Trend-setters.
Figura 2 Livello di maturità dei singoli stati membri
Italia tra i trend setter per politiche e cultura open data
L’Italia rientra nel gruppo trainante dei “Trend-setters”, in altre parole gli Stati che hanno un livello avanzato di politiche per gli Open Data. I “Trend-setters” si distinguono per caratteristiche avanzate; i portali forniscono numerose funzionalità; i dati sono di ottima qualità; esiste grande interazione fra ecosistemi che favoriscono il riuso dei dati e ne amplificano l’impatto.
L’Italia è anche un esempio per lo sviluppo della cultura Open. Al portale istituzionale dati.gov.it viene riconosciuto un notevole lavoro con oltre 10 seminari online gratuiti organizzati nel 2018, a cui hanno partecipato oltre 2500 persone. Si registrano importanti iniziative non solo a livello centrale. Il comune di Milano ha creato corsi a distanza per il personale di altre amministrazioni pubbliche. Il comune di Genova ha fatto formazione a funzionari e manager. La regione Sardegna ha sviluppato un progetto aperto a pubbliche amministrazioni, cittadini, associazioni, scuole, università e aziende private per una maggiore comprensione degli Open Data e incoraggiare lo sviluppo di servizi innovativi e il riuso dei dati.
La posizione dell’Italia nella classifica europea è cresciuta nel quadriennio 2015-2018 (Figura 3). Il traguardo raggiunto nel 2018 arriva in seguito all’ottavo posto del 2017. Nel 2016 si è registrata una controtendenza rispetto al 2015, passando dal tredicesimo al diciannovesimo posto.
Figura 3 Il valore di maturità per l’Italia è cresciuto nel quadriennio 2015-2018
I valori calcolati per le quattro dimensioni “Policy”, “Portal”, “Quality” e “Impact” tengono conto di alcuni indicatori, riportati per l’Italia in Figura 4.
Il valore di quasi tutti gli indicatori è superiore alla media degli EU28, fatta eccezione di quello “Economic” per la dimensione “Impact” (31% pari merito), “DCAT-AP compliance” per “Quality” (71% pari merito) e “Portal features” per “Portal” (60% contro 64%).
I punti deboli dell’Italia
Dunque, si nota un affanno dell’Italia proprio sul tema dei portali. Vale la pena ricordare che i portali istituzionali sono elemento fondamentale per la veicolazione dei dati. Un’attenta analisi degli stessi portali consente di misurare le forze messe in campo e quantificare la dimensione dei dati pubblicati.
Per capire l’impegno di tutte le istituzioni occorre andare oltre il rapporto “Open Data maturity in Europe”. Da una ricerca condotta dall’autore fra il 2018 e il 2019 (tuttora in corso) su un ampio ventaglio di siti istituzionali, si scopre che in Italia i principali portali Open Data pubblicati da regioni, province, comuni capoluoghi di regione e altri soggetti sono 70. E’ superfluo ricordare il portale principale dati.gov.it, ma è doveroso farlo. Di questi, 20 appartengono alle regioni. I comuni capoluoghi di regione contribuiscono con 30 portali. I restanti appartengono ad alcune province e altri soggetti (Città metropolitane, INPS, MIUR, ecc.). Quindi, la distribuzione è concentrata prevalentemente sulle istituzioni di dimensioni maggiori.
Occorre pertanto riflettere sulle ragioni che spingono o costringono ad esempio i piccoli comuni a trascurare il tema Open Data. Questo dato lascerebbe pensare che il contributo maggiore arrivi dai soggetti più ricchi (es. Regioni). Invece, studiando la dimensione dei dati pubblicati si osserva un altro comportamento. Alcune regioni (Trentino Alto Adige, Toscana, Emilia Romagna, Sardegna) sono in cima alla classifica per numero di dati pubblicati, ma competono bene anche i comuni (Lecce, Milano, Bolzano, Matera) e altri soggetti come ad esempio INPS.
Figura 4 Valore di tutti gli indicatori per l’Italia nel 2018
Dal rapporto della Commissione Europea emerge, dunque, un buon livello per l’Italia. Tuttavia, lo stesso rapporto mostra alcune debolezze che, se opportunamente affrontate, possono contribuire a ridurre la distanza tra l’Italia e i ”Trend-setters” più evoluti. Le barriere da superare sono collegate agli investimenti per un piano nazionale strutturato e capillare. Mancano azioni efficaci da parte dei decisori che talvolta non conoscono tutti gli aspetti degli Open Data. Non esiste ancora la figura di “data manager” istituzionalmente riconosciuta. Infine, riconoscere il valore della risorsa informazione può avere impatto positivo sulla condivisione della conoscenza.
Le immagini sono estratte dal rapporto pubblicato a questo indirizzo e dalle infografiche pubblicate qui.