In questi giorni in cui si sta procedendo alla formazione del nuovo governo, l’auspicio è che finalmente si preveda quanto (anche su questa testata) si sostiene da diversi anni da parte di “addetti ai lavori”: l’istituzione nell’ambito della squadra di governo di una figura che possa fare da riferimento e coordinamento sulle politiche per l’innovazione e la trasformazione digitale. Una figura che quindi possa assicurare che su una materia per sua essenza trasversale e infrastrutturale come la trasformazione digitale non si rimanga nelle secche delle politiche settoriali e nelle azioni a silos. Una figura che abbia l’autorità di comporre le diverse esigenze di settore e determinare le priorità e le linee comuni di sviluppo. Una figura che possa indirizzare politicamente il programma operativo trasversale, da poco affidato al neonato dipartimento per la trasformazione digitale e, attraverso questo dipartimento, anche l’operatività di AgID e della società in-house alla quale sono stati assegnati i progetti PagoPa, la Piattaforma Digitale Nazionale dei Dati, l’applicazione IO, ben instradati dal Team per la Trasformazione Digitale. Quindi, una figura interna alla Presidenza del Consiglio dei Ministri (PCM), espressione diretta del Presidente.
Il ruolo di coordinamento e la trasversalità nel governo
Il suggerimento è che si vada nella direzione della nomina di un sottosegretario della Presidenza del Consiglio dedicato ai temi del digitale. Questa dimensione è la più adeguata per un compito trasversale e abilitante verso tutti i settori e le competenze dei diversi ministeri, mentre un ministro ad hoc rischierebbe da un lato di accentuare la percezione di settorializzazione e di nicchia tecnica che ancora si attribuisce al digitale, dall’altro di rendere molto difficile il ruolo di coordinamento verso ministeri di peso come MISE, MIUR ma anche verso il MEF, che svolge un ruolo fondamentale nello sdoganamento settoriale della trasformazione digitale, con un’articolazione del budget che riconosca nei fatti e nei conti la trasversalità e il coordinamento, attraverso direttrici comuni di evoluzione dei servizi, di investimenti pubblico-privati, di trasformazione dei processi interni alle PA. Coordinare le politiche sul digitale dalla PCM significa farsi carico della definizione di un modello organico di sviluppo che tenga insieme cittadinanza attiva, amministrazione aperta, modello di sviluppo economico, politica di procurement pubblico, politica industriale, modello del lavoro, sviluppo del territorio. Un modello, in altri termini, che definisca le politiche dell’innovazione tecnologica nel contesto globale ottimamente rappresentato dai 17 Goal dell’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile (Agenda 2030) definita dall’ONU.
Le ragioni strategiche e operative per la scelta
La presenza di un sottosegretario della Presidenza del Consiglio dedicato a questi temi è necessaria oggi per più ragioni di tipo strategico e operativo, che in questo periodo diventano essenziali e non più trascurabili.
Dal punto di vista strategico tra le principali ragioni possiamo distillarne due esemplari:
siamo nella fase di predisposizione della nuova programmazione Europea 2021-2027, che richiederà anche una rivisitazione profonda dell’attuale strategia per la crescita digitale, sulla base certamente del piano triennale ICT della PA, ma soprattutto con la definizione di una visione organica che tenga insieme le diverse componenti, dalla trasformazione della PA alle direttrici di sviluppo economico alle competenze di base e specialistiche. Il documento attuale 2014-2020 manca di visione organica, include definizioni di programmi non più in linea con gli sviluppi in corso (Italia login, smart city, …) e trascura settori e temi oggi di primaria importanza (Intelligenza Artificiale, IoT,…). La nuova strategia non può che nascere da un lavoro di coordinamento governativo da parte della PCM, integrando le politiche settoriali in un modello organico, come prima accennato. In questo senso, ad esempio, la strategia dovrà correlare esplicitamente lo sviluppo dei percorsi scolastici e le esigenze dello sviluppo economico per disporre di professionalità con competenze digitali (e in generale, tecnologiche e scientifiche) adeguate, ma anche per affrontare l’aspetto essenziale della formazione permanente degli adulti;
il tema delle competenze digitali è centrale ed è anche quello rispetto al quale maggiore è il ritardo italiano, assumendo le dimensioni di una vera e propria emergenza, per i suoi elevati impatti a livello sociale ed economico. Senza una strategia organica e, quindi, senza un coordinamento strategico che abbia questa missione, nessun risultato efficace è pensabile.
Dal punto di vista operativo una delle ragioni di una delega politica specifica sull’innovazione è data dalla novità del neonato dipartimento per la trasformazione digitale, che deve fungere da coordinamento e “pannello di controllo” dell’attuazione della strategia integrata e organica nazionale sull’innovazione del Paese con il digitale (e che deve avere un chiaro, unico e autorevole riferimento governativo).
Un dipartimento che deve avere anche il connotato della multidisciplinarietà, necessario per essere in grado di coordinare e supportare in modo efficace progetti di trasformazione profonda, “progetti Paese”, come quello necessario per lo sviluppo della cultura digitale nazionale, agendo così sulle diverse aree di intervento della società, dalla scuola alle imprese, dal settore pubblico alla popolazione. Con un approccio che non c’è ancora e che bisogna costruire.
Per una (nuova) governance
Un suggerimento che avevo indicato un po’ di mesi fa con Luca Gastaldi era di prevedere un livello strategico e di coordinamento dei processi strategici per l’innovazione digitale italiana che assumesse come condizione di base la trasversalità di azione, oltre che la naturale pervasività del digitale, prevedendo un ruolo politico “forte” di regia, al livello del Presidente del Consiglio (o di un sottosegretario dedicato).
Il sottosegretario della PCM all’innovazione potrebbe finalmente porre mano anche alla sistematizzazione della governance sull’innovazione, partendo dal livello strategico, con due tipi di interlocuzioni permanenti (nella forma di coordinamenti, consigli, comitati, commissioni), come suggerito tempo fa anche su questa testata:
una istituzionale, con ministri e rappresentanti delle Regioni e degli Enti Locali, per favorire l’integrazione delle politiche territoriali sull’innovazione, anche nell’ottica di elaborazione della programmazione 2021-2027, oltre che di attuazione dei piani già attivi;
una multi-stakeholder (una sorta di “consulta permanente per l’innovazione”, che aveva fatto capolino timidamente anche in una delle versioni del CAD), in grado di portare a livello strategico i contributi della società civile, del mondo delle imprese, che coinvolga pertanto tutti gli esponenti del sistema dell’innovazione digitale nella progettazione strategica delle politiche e nella condivisione delle iniziative, anche con una declinazione per temi e per singoli territori.
E dopo questo livello strategico, si potrebbe mettere mano al livello operativo, razionalizzando e riarticolando le attuali competenze tra i diversi soggetti, in cui sono presenti ridondanze, eredità del passato, non completo sfruttamento delle capacità e delle potenzialità (pensiamo ad esempio alle in-house ICT), puntando a un riordino che renda fattibile e sostenibile l’attuazione della trasformazione digitale su tutto il territorio nazionale.
Auspici
La fotografia della situazione nazionale sul digitale che viene fatta annualmente da diversi organismi internazionali (dalla Commissione Europea, dall’OCSE, ..) continua a evidenziare un rilevante ritardo dell’Italia sull’approccio al digitale, con aree di particolare criticità per quanto riguarda le competenze, lo sviluppo delle PMI, l’utilizzo dei servizi digitali pubblici. La presa d’atto necessaria è che senza un riferimento governativo dedicato alle politiche per il digitale, l’Italia non ha la possibilità di vedere i risultati nei tempi e con l’efficacia necessaria. Progetti anche ottimi ma settoriali hanno capacità di impatto limitata. La strategia per l’Intelligenza Artificiale attualmente in consultazione (e nata in ambito MISE) lo evidenzia pienamente: gli obiettivi e gli interventi proposti richiedono azioni integrate di più ministeri e soggetti pubblici e privati.
Non c’è più tempo e c’è invece necessità di ottimizzare gli sforzi e le risorse per l’azione nazionale sul fronte della trasformazione digitale, connettendo e coniugando le strategie in tema di industria 4.0, ricerca, cittadinanza, competenze digitali, sviluppo ICT delle PA, banda ultralarga, smart city, e facendo sì che queste connessioni siano attive anche ai diversi livelli territoriali, con la creazione puntuale di ecosistemi di innovazione.
Alcune dichiarazioni di questi giorni riportano che nelle ipotesi di composizione del governo il presidente Conte stia prevedendo anche la delega specifica all’innovazione. L’auspicio è che, anche osservando gli effetti positivi che sta avendo in Germania la nomina di Dorethee Bar all’interno della Cancelleria come delegata alle Politiche Digitali, questa previsione diventi realtà con una nomina che privilegi competenze ed esperienze in ambito digitale di coordinamento e integrazione su più settori e tra iniziative pubbliche, civiche, private.