nuovo governo

Perché sia (davvero) il Governo della svolta: ecco i tre punti dove innovare

Il futuro del lavoro. La trasformazione digitale dell’economia. La modernizzazione della Pubblica Amministrazione e il rilancio dei servizi pubblici e del welfare. Sono le priorità che il nuovo Governo deve avere al centro, per lo sviluppo dell’Italia. E garantire tutele e diritti sociali a tutti gli italiani

Pubblicato il 06 Giu 2018

Mariano Corso

Presidente P4I e membro del Board Scientifico Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

PNRR

Il tempo della propaganda elettorale e delle facili promesse è finito. Il Paese è sfinito, ma è arrivato – finalmente – il tempo dei fatti. Basta slogan iper-semplificatori, basta critiche strumentali a tutto quanto è stato fatto o a quanto dice l’avversario politico, basta promesse che si sanno irrealizzabili, basta pensare solo a come lucrare consenso per le prossime elezioni. Basta. Ora è il tempo dei fatti

Lavorare pensando alle prossime generazioni

Adesso chi è al governo inizi a lavorare senza alibi, pensando di dover rispondere non solo agli elettori di oggi, ma anche ai cittadini di domani. Adesso chi è all’opposizione inizi a esercitare i propri diritti di rappresentanza politica in parlamento, con responsabilità, vigilando con spirito critico, ma senza demonizzare e strumentalizzare ogni sforzo e senza creare inutili tensioni e veleni nel Paese.

Ognuno, nel suo ruolo ma con un comune senso di responsabilità, dovrà da adesso in avanti sostenere lo sforzo di chi si trova oggi a guidare il Paese in un sentiero stretto. Un sentiero reso oggi ancor più impervio dalla necessità di trovare un difficile bilanciamento tra i vincoli legati all’avere il terzo debito in valore assoluto più alto al mondo (i primi due sono di USA e Giappone, Paesi con economie ben più grandi e forti della nostra), le legittime aspettative create negli elettori e la responsabilità verso le prossime generazioni a cui – anche prendendosi carico di qualche decisione impopolare – bisognerà restituire un Paese in salute.

Il sentiero stretto del ministro dell’economia

Lo sappiamo tutti e le vicende delle ultime settimane lo hanno confermato, la maggior difficoltà riguarda certamente il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Giovanni Tria è persona seria e a lui devono andare non solo la nostra stima e comprensione, ma anche il nostro supporto, perché quel sentiero stretto va percorso con capacità e attenzione, perché andare fuori strada sarebbe comunque peggio, per tutti!

Il governo Conte nasce su un contratto di governo che rappresenta un delicato compromesso tra forze che, in un sistema elettorale pasticciato, non prevedevano di dover governare assieme e che oggi hanno dovuto convergere su un sottoinsieme di priorità – ahimè comunque troppe e parzialmente incoerenti – molte delle quali condivisibili anche da chi non ha votato per quegli schieramenti.

Tre priorità per una “svolta costruttiva”

Nel perseguire queste priorità c’è da auspicare che il governo “del cambiamento” si riveli soprattutto un governo “della svolta costruttiva”, evitando di “buttar via il bambino con l’acqua sporca”, ma avendo il buon senso di correggere o avviare quanto di sbagliato o incompiuto ci lascia la precedente legislatura, senza per questo rinunciare a valorizzare e portare a termine quanto di buono e utile è stato intrapreso in questi anni.

Tre a mio parere sono i grandi temi su cui il Governo, supportato da tutte le migliori energie presenti nel Paese, dovrebbe adesso concentrarsi:

  1. il futuro del lavoro;
  2. lo sviluppo economico e l’accompagnamento della trasformazione digitale dell’economia;
  3. la modernizzazione della Pubblica Amministrazione e il rilancio dei servizi pubblici e del welfare.

Investire in competitività e occupabilità

Le prime due priorità sono inscindibilmente legate ed è senz’altro lodevole che si siano voluti accorpare i due dicasteri del Lavoro e dello Sviluppo Economico: senza una visione congiunta, nessuna di queste due sfide può essere affrontata efficacemente. In Italia abbiamo un sistema del Lavoro malato, che è stato troppo a lungo ostaggio di corporativismo, assenza di visione e contrapposizioni ideologiche sterili. In un mercato che non può che essere quello globale non ci sono scorciatoie o barriere, occorre investire in competitività e occupabilità, modernizzare il lavoro dipendente e dare maggior tutela al lavoro autonomo. Fenomeni come la disoccupazione tecnologica, gli squilibri territoriali e di genere e l’emergere della gig economy (i lavoratori intermediati da piattaforme come Uber o deliveroo ndr), impongono ragionamenti seri su previdenza, fiscalità, salario minimo, politiche attive a sostegno di occupazione e imprenditorialità. Sono temi essenziali che avrebbero dovuto trovare ben altro spazio e metodo scientifico nel confronto tra le forze politiche, ma che non è mai troppo tardi iniziare ad affrontare con senso di responsabilità.

Occorre in particolare da subito affrontare lo skill mismatch, lo spiazzamento di competenze e professionalità dovuto a un’imprenditorialità debole e a un sistema educativo inadeguato che – schiavo dell’interesse di chi insegna e non di chi dovrebbe apprendere – non forma le nuove professionalità né apporta a quelle attuali le giuste competenze per affrontare il futuro.

Modernizzare la PA e il sistema di welfare

Al vice premier Luigi Di Maio, che coraggiosamente ha voluto assumersi la responsabilità del nuovo dicastero, devono andare il nostro incoraggiamento ed un appello: farsi aiutare, copiare da chi, anche all’estero, sta ottenendo risultati significativi e non buttare al vento gli sforzi fatti negli ultimi anni. Non portare avanti i percorsi innescati da programmi quali Industria 4.0, Jobs Act, Smart Working, Buona Scuola, sarebbe un enorme spreco e andrebbe a compromettere anche i fragili risultati sin qui raggiunti.

Ma lavoro e sviluppo economico nel nostro Paese non si otterranno senza porre mano seriamente ad una modernizzazione della Pubblica Amministrazione e del sistema di welfare. Occorre smetterla con la retorica dei “furbetti del cartellino” e del “Pubblico = Corrotto + Inefficiente”. La Pubblica Amministrazione in Italia non è quell’ipertrofico ricettacolo di corrotti e fannulloni che in tanti hanno interesse a dipingere. Dopo anni di soffocamento, tagli lineari e blocchi del turnover, la PA italiana non è affatto sovradimensionata, quanto piuttosto anziana, sotto pagata, mal attrezzata e, in molti casi purtroppo, sfiduciata. Occorre tornare a investire nella PA in tecnologia e formazione, ma anche in managerialità e merito. Anche in questo caso non bisogna dissipare, ma anzi dare seguito e accelerare, quanto di buono fatto negli scorsi anni su Agenda Digitale e Riforma della PA. Occorre assolutamente abbandonare il pregiudizio e la presunzione di corruzione che generano lentezze e adempimenti che finiscono per non colpire affatto i corrotti, ma per avvantaggiare burocrati e pigri e, paradossalmente, colpire proprio gli onesti e coloro che avrebbero voglia di impegnarsi, di assumersi responsabilità e di seguire regole semplici e trasparenti.

Occorre recidere il legame malsano tra politica e amministrazione: i dirigenti apicali delle Amministrazioni devono rispondere dei risultati e non essere nominati per appartenenza e fedeltà politica in uno spoil system che mortifica la managerialità e impedisce di investire sul futuro. Bisogna investire in particolare in servizi pubblici essenziali come Salute, Scuola e Giustizia che rappresentano “infrastrutture” di competitività e civiltà essenziali senza la cui modernizzazione non si potrà dare vero impulso al lavoro e allo sviluppo economico e sociale.

Un particolare sforzo dovrà riguardare la creazione di servizi e condizioni di welfare a sostegno delle famiglie e della natalità. In sei anni 115 mila neomamme sono state costrette a uscire dal mercato del lavoro per l’impossibilità di conciliare la propria carriera con la cura di un figlio.

Incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro

Secondo il Fondo Monetario Internazionale l’Italia perde ogni anno il 15% del proprio Pil (240 miliardi) perché non riesce a incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Parallelamente sono innumerevoli in Italia le donne che, per le stesse pressioni, si trovano costrette a rinunciare alla maternità. Ed è così che mentre la disoccupazione femminile resta altissima, una delle natalità più basse al mondo pone serie minacce alla sostenibilità del nostro stato sociale. Creare condizioni per le quali essere madri non pregiudichi la possibilità di restare sul mercato del lavoro e fare carriera non è solo un fatto etico, ma una vera e propria emergenza economica e sociale per il nostro Paese.

L’innovazione ed in particolare quella digitale dovranno essere la leva fondamentale su cui agire per ottenere questi risultati. Innovazione digitale che, dopo il deludente silenzio della campagna elettorale, trova finalmente spazio nel discorso programmatico di Conte al Senato. Certo sono ancora promesse ed auspici, ma almeno ci lasciano sperare che nel nuovo Governo le politiche per il digitale trovino una guida politica unitaria ed autorevole!

Ciò che importa comunque è che il tempo della propaganda elettorale e delle facili promesse sia finito, e che sia iniziato finalmente il tempo dei fatti. Ad attenderlo c’è un Italia positiva, che non vede l’ora di mettere da parte veleni e pregiudizi per rimettersi in moto e dimostrare che il Paese è diverso e migliore di come dall’estero, o dalla stessa classe politica italiana, lo si vuole immaginare e rappresentare.

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