Ecco, ci risiamo. Un nuovo Governo sta per nascere. Sarà finalmente l’ora in cui vedremo un Ministro per la Trasformazione Digitale?
Da anni la comunità di coloro che si occupano dei temi del digitale in Italia si chiede quando la politica si accorgerà dell’importanza del tema e ne trarrà le dovute conseguenze.
A parole sono sempre tutti d’accordo. Il digitale è fondamentale, pervasivo, un’occasione di benessere e crescita. Sempre a parole tutti sono consapevoli del ritardo del nostro Paese, pur con le dovute eccellenze a macchia di leopardo. Quando, però, occorre scegliere e decidere le priorità, per il digitale non c’è mai tempo.
Perché l’Italia ha bisogno di un ministro alla trasformazione digitale
Eppure l’Italia ne ha un disperato bisogno. La trasformazione digitale che dobbiamo affrontare è culturale e sistemica. È Politica nel senso profondo della parola, perché riguarda, cito da Treccani, “l’arte del governo, l’esercizio dei pubblici poteri, l’amministrazione dello stato e, in genere, la vita pubblica”. Chi crede sia una faccenda relativa solo agli acquisti di hardware e software non ha capito nulla. In Germania, ad esempio, l’hanno capito bene e prima di noi, come purtroppo accade spesso, e Angela Merkel ha al suo finaco Dorothee Bär, Ministro per la digitalizzazione.
Negli anni abbiamo provato con un’Agenzia, con deleghe sparse tra Ministeri, con Commissari Straordinari, con un Team dedicato. Sicuramente abbiamo fatto molti passi avanti, ma non basta. Il DESI, l’indice che la Commissione Europea utilizza per misurare il livello di adeguatezza dei vari paesi rispetto alla sfida che la trasformazione digitale pone, ci relega sempre agli ultimi posti della classifica. Miglioriamo noi, ma non abbastanza da recuperare il gap.
Abbiamo bisogno di un salto di qualità. Dobbiamo fare in modo che la trasformazione digitale entri nel Consiglio dei Ministri e nel dibattito pubblico con un suo rappresentante ad hoc, con una struttura e con risorse dedicate, per coordinare e dare impulso alle mille azioni che vanno portate avanti in collaborazione con tutti i ministeri.
Più di cinque anni fa pensavo che “non avessimo tempo sufficiente”, ma devo ammettere che mi sbagliavo. Se avessimo iniziato quella volta il processo che portava alla creazione di un Ministero per la trasformazione digitale, ora saremmo in una condizione migliore. D’altra parte i tempi del cambiamento a Roma sono geologici: la proposta di modifica del regolamento della Camera dei Deputati con l’istituzione della Commissione Permanente per l’Agenda Digitale e l’Innovazione tecnologica che feci nel settembre 2013 raccogliendo le firme di più di 260 colleghi e la cui necessità venne ribadita nella relazione finale della Commissione d’inchiesta sulla digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, rimane ancora inascoltata, a sei anni di distanza, nonostante sia stata ripresentata anche in questa legislatura dai nuovi membri dell’intergruppo innovazione.
Perché ci sono le condizioni giuste
Credo che ora ci siano le condizioni per avere finalmente il Ministro per la trasformazione digitale: cinque anni non sono passati inutilmente e anche i politici più “distratti” hanno percepito la pressione della trasformazione digitale nella nostra società. Molti, purtroppo, temono il cambiamento, sapendo di non essere in grado di gestirlo e non volendo fare spazio ad altri, ma la spinta è sempre maggiore e sta per travolgere il mondo del “si è sempre fatto così” e del “sono altre le cose importanti”. Il lavoro dei Commissari e del Team per la trasformazione digitale è stato importante e la creazione di una struttura apposita all’interno della Presidenza del Consiglio dei Ministri è un passo avanti da tenere in considerazione.
Abbiamo bisogno di un grande investimento sulle competenze, che significa assunzioni di funzionari e dirigenti e formazione del personale della Pubblica Amministrazione (nella prossima legge di bilancio riusciremo, finalmente, a trovare qualche milione di euro, lo 0,001% del bilancio, da dedicare a questo?), ma anche formazione professionale nell’ottica di Industria 4.0 e rinnovamento della didattica così come era stato previsto dal piano scuola digitale.
Quello che arriva potrebbe essere un Governo 4.0 in cui Big Data, IoT, 5G, IA smettano di essere sigle per gli addetti ai lavori e diventino strumenti a supporto della buona Politica.
I grandi progetti trasversali di digitalizzazione dello Stato non devono subire battute d’arresto: il Cloud della PA e la razionalizzazione dei Data Center, i pagamenti digitali e il nuovo assetto di PagoPA, la diffusione di SPID e il domicilio digitale, l’ANPR e l’app io.italia.it per la semplificazione dei servizi online della Pubblica Amministrazione, giusto per citarne alcuni che tra risparmi ed efficientamento possono dare un grande contributo allo sviluppo del nostro Paese.
Per non parlare poi del DAF, il grande progetto della Piattaforma Digitale Nazionale Dati previsto dall’articolo 50-ter del Codice dell’Amministrazione Digitale, che agevola l’agognata interoperabilità delle banche dati e quindi aumenta la possibilità di automatizzare parti consistenti dei procedimenti amministrativi oltre a fornire la “benzina” per gli algoritmi di intelligenza artificiale a supporto dell’amministrazione, o del “motore di ricerca dei documenti della PA” previsto dall’articolo 40-ter con cui, finalmente, avremo un modo semplice per trovare tutti i nostri documenti e le nostre istanze.
Oppure, ancora, l’estensione della dichiarazione fiscale precompilata e online, le fatture e i corrispettivi elettronici, con la “lotteria degli scontrini”, il nuovo sistema informativo dell’agricoltura, i processi telematici. Potrei andare avanti per pagine intere, ma credo che il senso sia chiaro: molto è stato fatto, negli anni, con fatica e determinazione, ma abbiamo ancora moltissimo da fare.
Spero proprio che almeno questa volta non si perda l’occasione.