In questi giorni -ancora- in molti si chiedono se le PA siano definitivamente obbligate a formare i loro documenti in modalità esclusivamente digitale[1].
L’equivoco nasce dalla singolare sospensione disposta dall’art. 61 del D.Lgs. 179/2016, il quale, secondo alcuni interpreti, sospenderebbe le regole tecniche sulla formazione dei documenti informatici, di cui al DPCM 13 novembre 2014[2], e quindi anche l’obbligo delle PA di formare l’originale dei propri documenti con mezzi informatici, avallando – di fatto – l’ennesimo alibi per giustificare un ritardo nell’adeguamento alle norme, rinviando così quei processi di digitalizzazione che, invece, le PA avrebbero dovuto avviare da tempo (ricordiamocelo!).
Per ragionare correttamente sulla questione non si può che partire da un’attenta lettura della normativa, iniziando proprio dall’analisi dell’art. 40 del CAD – peraltro oggetto di recentissima revisione ad opera del D.Lgs. 179/2016, il quale prevede, al comma 1, che: «Le pubbliche amministrazioni formano gli originali dei propri documenti, inclusi quelli inerenti ad albi, elenchi e pubblici registri, con mezzi informatici secondo le disposizioni di cui al presente codice e le regole tecniche di cui all’articolo 71»[3].
Al di là dell’evidente perentorietà del tenore letterale della disposizione è possibile notare che – sotto il profilo della tecnica normativa utilizzata nella sua formulazione- il Legislatore (anche quello della riforma del 2016) non ha inteso vincolare l’efficacia di tale obbligo alla vigenza delle regole tecniche del richiamato art. 71, come avviene, invece, nel caso di disposizioni regolamentari attuative, la cui vigenza si ritiene indispensabile per far decorrere la cogenza di un obbligo.
Non si può non considerare, infatti, che anche il Legislatore del 2016 – il medesimo che ha disposto la sospensione in questione[4] – avrebbe potuto precisare la volontà di differire la cogenza dell’obbligo per le PA di formare digitalmente i propri documenti alla vigenza delle regole tecniche di cui all’art. 71, proprio in sede di riforma dell’art. 40, qualora fosse stata questa la ratio legislativa.
In tal senso, depone inequivocabilmente anche la formulazione letterale proprio dell’art. 61 del D.Lgs. 179/2016, il quale – prevedendo entro 4 mesi dall’entrata in vigore della riforma (ormai inutilmente decorsi[5]) l’adozione di un decreto che aggiorni e coordini le regole tecniche di cui all’art. 71 del CAD – precisa espressamente che «le regole tecniche vigenti nelle materie del Codice dell’amministrazione digitale restano efficaci fino all’adozione del decreto di cui al primo periodo». Pertanto fino all’adozione di tale decreto ministeriale resta sospeso solo e soltanto «l’obbligo per le amministrazioni pubbliche di adeguare i propri sistemi di gestione informatica dei documenti, di cui all’articolo 17 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 13 novembre 2014», fatta salva ovviamente la facoltà di adeguarsi.
Quindi, dalla semplice e attenta lettura della norma in questione, si evince con certezza che ad essere sospesa è solo una minima parte delle regole tecniche contenute nel DPCM 13 novembre 2014 (e senz’altro non i principi e gli obblighi basilari contenuti nel CAD). In proposito, è utile chiarire che nel glossario di cui all’Allegato 1 delle stesse regole tecniche, il sistema di gestione informatica dei documenti è definito come “il sistema di cui all’articolo 52 del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445”, nel quale si stabilisce che «il “sistema” deve:
a) garantire la sicurezza e l’integrità del sistema;
b) garantire la corretta e puntuale registrazione di protocollo dei documenti in entrata e in uscita;
c) fornire informazioni sul collegamento esistente tra ciascun documento ricevuto dall’amministrazione e i documenti dalla stessa formati nell’adozione dei provvedimenti finali;
d) consentire il reperimento delle informazioni riguardanti i documenti registrati;
e) consentire, in condizioni di sicurezza, l’accesso alle informazioni del sistema da parte dei soggetti interessati, nel rispetto delle disposizioni in materia di tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali;
f) garantire la corretta organizzazione dei documenti nell’ambito del sistema di classificazione d’archivio adottato»
Quindi, ancora una volta, da un’attenta e sistematica lettura delle disposizioni normative e, in particolare, dei contenuti dell’art. 52 del TUDA, si evince che la sospensione disposta dall’art. 61 del D.Lgs. 179/2016, riguarda unicamente l’obbligo di adeguamento al sistema di gestione informatica dei documenti e non anche l’obbligo di formazione nativa dei documenti informatici, né la predisposizione di copie e duplicati.
Ciò significa che le norme relative a formazione dei documenti, copie e duplicati – non solo ovviamente quelle contenute nel CAD, ma anche quelle più specifiche del DPCM 13 novembre 2014 – rimangono attualmente pienamente efficaci e dunque le PA hanno l’obbligo di adeguarvisi senza ulteriori ritardi.
Appare utile soffermarsi non ultimo sul profilo relativo al regime sanzionatorio: le norme in commento, infatti, non prevedono purtroppo alcuna sanzione espressa per il mancato adeguamento[6]. In senso contrario, non risultano idonee a integrare la previsione di una sanzione diretta le norme dell’art. 12 del CAD (che richiama a sua volta le norme sulle performance dei dirigenti disposte dal decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150[7]).
Neppure risulta corretto qualificare come sanzione l’eventuale configurazione dell’illegittimità di un atto amministrativo adottato in violazione di legge (come sostenuto da alcuni), a cui – com’è noto – può eventualmente conseguire l’annullamento dello stesso solo previo ricorso gerarchico o giurisdizionale innanzi al Giudice Amministrativo, trattandosi dunque di un rimedio e non di una sanzione diretta stricto sensu.
Sanzioni più dirette e appropriate in capo alle PA potrebbero senz’altro garantire un adeguamento più sentito e meno sonnecchiante, eliminando quel senso di profondo fastidio (o di quieta rassegnazione) che spesso accompagna l’analisi di queste norme che invece da tempo imporrebbero il pieno passaggio al digitale. Forse è proprio questa l’unica spiegazione plausibile dell’eterna sospensione della digitalizzazione in Italia!
Ci si permette di ricordare accanto a quello dell’art. 40, anche – tra gli altri – il contenuto del comma 1 dell’art. 23ter del CAD: “gli atti formati dalle pubbliche amministrazioni con strumenti informatici, nonché i dati e i documenti informatici detenuti dalle stesse, costituiscono informazione primaria ed originale da cui è possibile effettuare, su diversi o identici tipi di supporto, duplicazioni e copie per gli usi consentiti dalla legge” (e qui peraltro non c’è alcun rinvio espresso a regole tecniche). Occorre inoltre considerare che l’art. 3-bis del CAD prevede che solo eccezionalmente le PA possano predisporre comunicazioni cartacee al cittadino che non dispone di un domicilio digitale, ma sempre partendo da un originale informatico regolarmente inserito in un sistema di conservazione “a norma”, dando quindi per scontato che i documenti amministrativi debbano nascere digitali nella PA[8].
Pertanto, è necessario ribadire chiaramente – e ancora una volta – che, nonostante la parziale sospensione dell’efficacia del DPCM 13 novembre 2014 e, seppur l’ordinamento ancora non preveda un serio sistema sanzionatorio, ad oggi le PA sono obbligate a formare i propri documenti in modalità informatiche e quindi tutte devono, senza se e senza ma:
– formare i propri documenti amministrativi in formato digitale, seguendo scrupolosamente le regole tecniche contenute nel DPCM 13 novembre 2014[9];
– gestire tali documenti attraverso un sistema di protocollo informatico in linea con il DPCM 3 dicembre 2013[10];
– garantire la memoria digitale dell’ente pubblico e quindi assicurare l’autenticità del proprio archivio informatico attraverso la predisposizione di un sistema di conservazione in house o in outsourcing in linea con quanto previsto dal DPCM 3 dicembre 2013[11].
Non ci sono più scuse o alibi che tengano. Si deve procedere così.
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[1] Il presente articolo deve considerarsi come un naturale completamento delle riflessioni scritte con Francesca Cafiero qui, su Agendadigitale.eu (“La PA continua a produrre carta, ma non ha più alibi: ecco perché”), dalla lettura delle quali è scaturito un certo dibattito da parte di chi ancora si chiede (incredibilmente) se le PA siano obbligate a formare i loro documenti come originali informatici, motivando tale dubbio sulla base di una presunta (e in verità mai avvenuta) sospensione degli obblighi del Codice dell’amministrazione digitale contenuta nel l’art. 61 del D. Lgs. 179/2016 (Modifiche ed integrazioni al Codice dell’amministrazione digitale, di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, ai sensi dell’articolo 1 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche – GU n. 214 del 13-9-2016).
[2] Contenente le “Regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici nonché di formazione e conservazione dei documenti informatici delle pubbliche amministrazioni ai sensi degli articoli 20, 22, 23 -bis , 23 -ter , 40, comma 1, 41, e 71, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005”.
[3] Peraltro la novella legislativa ha eliminato tutti i commi successivi dell’art. 40 nei quali si rinviava ad un futuro regolamento la definizione dei documenti che potessero ancora nascere in formato cartaceo. Con l’abrogazione di questa possibilità, la ratio legislativa ci sembra essere lapalissiana: per il legislatore tutti i documenti amministrativi devono nascere, vanno gestiti e conservati in modalità digitali.
[4] Sospensione peraltro intervenuta quando l’obbligo di adeguamento alle regole contenute nel DPCM 13 novembre 2014 era già abbondantemente in atto da più di un mese, come ribadito in precedenti articoli.
[5] Ci si chiede effettivamente come mai, tra i tanti slogan in materia di Agenda Digitale e il tanto sbandierato entusiasmo verso il “digital first”, questa prevista scadenza per la riforma delle regole tecniche non sia stata rispettata e anzi ci si interroga se ci sia qualche Commissione o qualche “Team di trasformazione digitale” (usando i termini più di moda in questi giorni) che se ne stia occupando.
[6] E ciò nonostante fosse espressamente previsto nell’art. 1 della legge delega del 7 agosto 2015 n. 124 (art. 1 Carta della cittadinanza digitale) che nella prevista modifica del Codice fossero inserite specifiche sanzioni in capo alle PA in caso di violazione delle sue disposizioni.
[7] La cui scarsa efficacia era stata peraltro già riconosciuta dallo stesso Legislatore della riforma del 2016, che nella Legge delega 124/2015, aveva previsto la riforma del regime sanzionatorio sia nella lettera a) dell’art. 1 -con specifico riferimento all’erogazione dei servizi on line da parte delle PA-, sia all’art. 11 – più in generale – in relazione alla responsabilità dei dirigenti
[8] Art. 3-bis CAD
[…] 4bis. In assenza del domicilio digitale di cui ai commi 1 e 2, le amministrazioni possono predisporre le comunicazioni ai cittadini come documenti informatici sottoscritti con firma digitale o firma elettronica qualificata o avanzata, da conservare nei propri archivi, ed inviare ai cittadini stessi, per posta ordinaria o raccomandata A.R., copia analogica di tali documenti sottoscritti con firma autografa, sostituita a mezzo stampa predisposta secondo le disposizioni di cui all’articolo 3 del decreto legislativo 12 dicembre 1993, n. 39.
4ter. Le disposizioni di cui al precedente comma soddisfano a tutti gli effetti di legge gli obblighi di conservazione e di esibizione dei documenti previsti dalla legislazione vigente laddove la copia analogica inviata alla persona fisica contenga una dicitura che specifichi che il documento informatico, da cui la copia è tratta, è stato predisposto e conservato presso l’amministrazione in conformità alle regole tecniche di cui all’articolo 71.
[9] Al più può considerarsi sospeso solo l’obbligo di fascicolazione informatica che comunque si consiglia fermamente di avviare per garantire quei principi fondamentali di collegamento archivistico che sono in grado di preservare nel tempo la memoria digitale dell’ente.
[10] Contenente le “Regole tecniche per il protocollo informatico ai sensi degli articoli 40 -bis, 41, 47, 57 -bis e 71, del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005”.
[11] “Regole tecniche in materia di sistema di conservazione ai sensi degli articoli 20, commi 3 e 5 -bis, 23 -ter , comma 4, 43,commi 1 e 3, 44 , 44 -bis e 71, comma 1, del Codice dell’amministrazione digitale di cui al decreto legislativo n. 82 del 2005”.