OPEN DATA

Open data, come i Comuni possono fare una “PA aperta”

Alcuni Comuni hanno già predisposto interventi di disciplina degli Open Data, mediante regolamenti comunali, deliberazioni di Giunta o atti di indirizzo. Tutti gli enti possono valorizzare il proprio patrimonio informativo, migliorando la democrazia partecipativa e lo sviluppo di imprese specializzate del settore ICT

Pubblicato il 30 Mar 2017

Angelo Alù

studioso di processi di innovazione tecnologica e digitale

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L’intervento normativo realizzato a livello comunale mira a forrmalizzare la rilevanza dell’accesso alla conoscenza delle informazioni. Tutto questo è  ormai qualificabile come bene fondamentale, funzionale ad assicurare la disponibilità e il riutilizzo dei dati pubblici, quali fattori fondamentali per migliorare la trasparenza amministrativa, per promuovere una partecipazione interattiva, consapevole e attiva dei cittadini al processo decisionale delle istituzioni. Oltre che per favorire lo sviluppo di applicazioni innovative finalizzate ad incrementare la qualità dei servizi pubblici erogati alla collettività.

L’adozione di un regolamento comunale in materia di OpenData è diretto a disciplinare le modalità dell’accesso e del riutilizzo dei dati pubblici in possesso del Comune, nel rispetto di quanto previsto dalle norme ivi contenute, costituenti linee guida generali, suscettibili di eventuali ulteriori integrazioni che si rendano necessarie nella concreta disciplina della materia dell’OpenData, anche mediante l’emanazione di appositi provvedimenti di indirizzo politico-amministrativo, nel rispetto della normativa vigente a livello nazionale e transnazionale in materia di OpenData, protezione dei dati personali, diritto d’autore, diritti di proprietà intellettuale, industriale.

La Direttiva 2003/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio costituisce la prima rilevante fonte normativa organica di riferimento volta a regolare il riutilizzo dell’informazione del settore pubblico, ulteriormente implementata dalla Direttiva 2013/37/UE.

L’art. 3, ispirandosi alle disposizioni dello Statuto internazionale degli OpenData (International open data charterhttp://opendatacharter.net/), enuncia il principio generale secondo cui «gli Stati membri provvedono affinché, ove sia permesso il riutilizzo di documenti in possesso degli enti pubblici, questi documenti siano riutilizzabili a fini commerciali o non commerciali conformemente alle condizioni indicate nei capi III e IV. I documenti sono resi disponibili, ove possibile, per via elettronica».

Il Considerando n. 2 della Direttiva afferma espressamente che «L’evoluzione verso la società dell’informazione e della conoscenza incide sulla vita di ogni cittadino della Comunità, consentendogli, tra l’altro, di ottenere nuove vie di accesso alle conoscenze e di acquisizione delle stesse», riconoscendo un ruolo importante ai contenuti digitali, atteso che «La produzione di contenuti ha comportato negli ultimi anni la rapida creazione di posti di lavoro e continua ad agire in questo senso. Nella maggior parte dei casi i posti di lavoro vengono creati nel contesto di piccole imprese emergenti» (Considerando n. 3). A tal fine, «Il settore pubblico raccoglie, produce, riproduce e diffonde un’ampia gamma di informazioni in molti settori di attività, ad esempio informazioni di tipo sociale, economico, geografico, climatico, turistico, informazioni in materia di affari, di brevetti e di istruzione» (considerando n. 4).

Per tale ragione, il legislatore europeo ritiene indispensabile realizzare un quadro normativo uniforme in tutti gli Stati membri, prendendo atto che «Le tradizioni degli enti pubblici in materia di utilizzazione delle informazioni del settore pubblico si sono sviluppate in direzioni molto diverse e di questo occorrerebbe tener conto. Sarebbe opportuno quindi avviare un’armonizzazione minima delle normative e delle prassi nazionali relative al riutilizzo dei documenti del settore pubblico, nei casi in cui le differenze tra dette normative e prassi nazionali o la mancanza di chiarezza ostacolano il buon funzionamento del mercato interno e l’adeguato sviluppo della società dell’informazione nella Comunità» (Considerando n. 7).

«Affinché il riutilizzo dei documenti del settore pubblico avvenga in condizioni eque, adeguate e non discriminatorie, le modalità di tale riutilizzo devono essere soggette ad una disciplina generale. Gli enti pubblici raccolgono, producono, riproducono e diffondono documenti in adempimento dei loro compiti di servizio pubblico. L’uso di tali documenti per altri motivi costituisce riutilizzo. Le politiche degli Stati membri possono spingersi oltre le norme minime stabilite dalla presente direttiva, consentendo un più ampio riutilizzo». (Considerando n. 8).

Molto importante il successivo Considerando n. 9, a tenore del quale «La presente direttiva non prescrive l’obbligo di consentire il riutilizzo di documenti. La decisione di autorizzare o meno il riutilizzo spetta agli Stati membri o all’ente pubblico interessato. La presente direttiva dovrebbe applicarsi ai documenti resi accessibili per il riutilizzo quando gli enti pubblici concedono una licenza in relazione ad informazioni, ovvero vendono, diffondono, scambiano o forniscono le medesime» […] tenuto conto che «a livello comunitario, l’articolo 41 sul diritto ad una buona amministrazione e l’articolo 42 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea riconoscono ad ogni cittadino dell’Unione e ad ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la propria sede sociale in uno Stato membro il diritto di accedere ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione. Gli enti pubblici dovrebbero essere incoraggiati a rendere disponibili per il riutilizzo tutti i documenti in loro possesso. Gli enti pubblici dovrebbero promuovere e incoraggiare il riutilizzo di documenti, compresi i testi ufficiali di carattere legislativo e amministrativo, nei casi in cui gli enti pubblici hanno il diritto di autorizzarne il riutilizzo».
La Direttiva menzionata è stata recepita con il D.lgs. 24 gennaio 2006, n. 36 (più volte modificato), che disciplina le modalità di riutilizzo  dei  documenti contenenti dati pubblici nella disponibilità delle pubbliche amministrazioni e degli organismi di diritto pubblico, attribuendo all’amministrazione o all’organismo interessato la scelta “politica” di predisporre un sistema di regolamentazione della materia in esame.

Peraltro, anche il Codice dell’Amministrazione, emanato con D.lg 7 marzo 2005, n. 82, dopo aver sancito all’art. 2 che «Lo Stato, le Regioni e le autonomie locali assicurano la disponibilità, la  gestione,  l’accesso, la  trasmissione, la conservazione e la  fruibilità dell’informazione in modalità digitale e si organizzano ed agiscono a tale fine utilizzando con  le   modalità più  appropriate  (e   nel modo più adeguato al soddisfacimento degli interessi degli  utenti) le tecnologie dell’informazione e della comunicazione», nel successivo art. 50 (“Disponibilità dei dati delle pubbliche amministrazioni”) precisa che «I dati delle pubbliche amministrazioni sono formati, raccolti, conservati, resi disponibili e accessibili con l’uso delle tecnologie dell’informazione e della  comunicazione che ne consentano la fruizione e riutilizzazione, alle condizioni fissate dall’ordinamento, da parte delle altre  pubbliche  amministrazioni  e dai privati; restano salvi i  limiti  alla  conoscibilità dei  dati previsti dalle leggi e  dai  regolamenti,  le  norme  in  materia  di protezione  dei  dati  personali  ed il rispetto della normativa comunitaria in materia di riutilizzo delle informazioni del settore pubblico» (comma 1). «Al fine di rendere possibile l’utilizzo in via telematica dei dati di una pubblica amministrazione da parte dei sistemi informatici di altre amministrazioni  l’amministrazione   titolare  dei   dati predispone, gestisce  ed  eroga  i  servizi  informatici  allo  scopo necessari,  secondo  le  regole  tecniche  del  sistema  pubblico  di connettività di cui al presente Codice» (comma 3).

In tale prospettiva, l’art. 52 (“Accesso telematico e riutilizzo dei dati delle pubbliche amministrazioni”) precisa che «L’Agenzia per l’Italia digitale promuove le politiche  di valorizzazione del patrimonio informativo pubblico nazionale e  attua le disposizioni di cui al capo V del presente Codice», mediante l’emanazione periodica di Linee Guida, «che  individuano  gli  standard   tecnici,   compresa   la determinazione delle ontologie dei servizi e dei dati, le procedure e le modalità di attuazione delle disposizioni del Capo V del presente Codice, con l’obiettivo di rendere  il  processo  omogeneo  a  livello nazionale, efficiente ed efficace. Le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 2, comma 2, del presente Codice si uniformano alle suddette linee guida».

In base alle Linee Guida Nazionali per la valorizzazione del Patrimonio Pubblico Informativo – Anno 2016, pubblicate dall’AgID in attuazione di quanto previsto dal CAD, viene descritta una situazione generale tendenzialmente negativa, dal momento che «nonostante gli sforzi profusi negli scorsi anni a livello centrale come a livello locale, i risultati della valorizzazione del patrimonio informativo pubblico siano ancora troppo spesso confinati a iniziative virtuose isolate di alcune amministrazioni».

In tale prospettiva, l’AgID sottolinea espressamente la rilevanza specifica di un intervento di regolamentazione in materia di OpenData, evidenziando che «Alla luce delle succitate disposizioni, le amministrazioni terranno conto delle differenze specifiche tra Open Data, Trasparenza e Condivisione dei dati tra pubbliche amministrazioni per finalità istituzionali. Queste tre azioni mirano a soddisfare esigenze diverse e anche se su alcuni aspetti convergono, fanno sempre riferimento a obiettivi specifici senza mai veramente confluire in un “corpus” organico».

In ambito locale, alcuni Comuni hanno già predisposto interventi di disciplina degli Open Data, mediante regolamenti comunali, deliberazioni di Giunta o atti di indirizzo, con i quali hanno formalizzato la volontà dell’amministrazione di garantire la trasparenza della propria azione e la finalità di utilizzare gli Open Data come strumento di rilancio dell’economia digitale, della trasparenza e dello sviluppo locale.

Tali proposte di regolamentazione, accompagnate dalla preventiva richiesta del solo parere tecnico e contabile, devono uniformarsi ai principi e alle linee d’azione delle linee guida AGID, nonché alla strategia in materia di dati aperti definita nel piano triennale per l’ICT nella pubblica amministrazione, previsto dalle disposizioni di cui all’art.1, comma 513 e seguenti della legge 28 dicembre 2015, n.208 (Legge di stabilità 2016).

In conclusione, nel rispetto del quadro normativo vigente, con il Regolamento da adottare in materia di OpenData, un Comune è in grado di realizzare un modello di PA aperta, in grado di valorizzare il proprio patrimonio informativo, migliorando la democrazia partecipativa e lo sviluppo di imprese specializzate del settore ICT, al fine di promuovere sostenibilità economica e benessere sociale.

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