Quali passi per rendere smart una città con i big data: casi di studio

Le amministrazioni devono predisporre strumenti per rilevare dati, aggregarli con quelli provenienti da altre strutture pubbliche o private; elaborare questa mole di informazioni per trarre poi altre informazioni utili infine a prendere decisioni consapevoli ed atte a migliorare la vita della cittadinanza. Gli esempi di Memphis e Saragoza

Pubblicato il 09 Feb 2017

Dino Maurizio

presidente Informatici Senza Frontiere onlus

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La smart city, con i relativi big (open) data, sarà ricordata in futuro come momento storico di trasformazione e di caratterizzazione quali furono, ad esempio, la polis greca, disegnata per favorire l’integrazione fra cittadini e vedeva nell’agorà il fulcro d’incontro o la città romana che invece privilegiava con i cardi e i decumani i trasporti ed i servizi? O ancora, potrà essere paragonata alla città medievale che contava sulle mura e il fossato per la difesa della propria identità o alle modifiche apportate da Haussmann alla struttura architettonica di Parigi, anticipatrice della moderna città metropolitana?

Sicuramente l‘iniziativa di Neelie Kroes, Vice Presidente della Commissione Europea e responsabile per l’Agenda Digitale, sugli Open Data, del 12 dicembre 2011, ha aperto la strada ad una nuova forma d’architettura, questa volta digitale, per il futuro delle nostre città, destinata ad influenzare enormemente lo sviluppo economico e la vita stessa di tutti i nostri cittadini.

Rendere infatti fruibili tutti i dati raccolti ed elaborati dalle organizzazioni pubbliche, attraverso i dispositivi fissi e mobili presenti, adesso ed in futuro, nelle nostre città, non solo consentirà la nascita di nuovi servizi, pubblici o privati, gratuiti o meno, ma, con un uso pianificato ed oculato, potrà aumentare il benessere di noi tutti.

Prendiamo ad esempio quanto fatto a Memphis, in Tennessee, Stati Uniti, per la lotta al crimine.

Da quando la polizia ha adottato pratiche di analytics, si chiamano così le elaborazioni fatte con un obiettivo preciso sulle grosse quantità di dati, i crimini si sono ridotti del 24%.

Questo risultato non è stato raggiunto perché nel frattempo è aumentato il numero di poliziotti, ma perché, analizzando dati quali le frequenze dei crimini, i luoghi e gli orari in cui venivano commessi, le variabili quali il tempo atmosferico, i periodi di vacanze o quelli degli eventi estemporanei, è stato possibile anticipare le probabilità di avere un crimine, e quindi prevenire e contrastare la criminalità in modo più efficace.

Altro esempio che riguarda la gestione del traffico in città è quello messo in atto dalla città di Saragoza, dove attraverso decine di sensori si riesce a monitorare in tempo reale la situazione di tutte le strade e si è in grado di dirottare opportunamente il traffico a seconda di situazioni contingenti, quali manifestazioni, incidenti o altro.

Tutto ciò parte dalla rilevazione di milioni di dati che provengono da dispositivi pubblici ma che possono anche arrivare anche da dispositivi privati, come le nostre auto, gli elettrodomestici, gli antifurti delle nostre abitazioni o le telecamere dei negozi; sempreché i proprietari dei dati, quali ad esempio le case automobilistiche o noi stessi, ne consentano la loro diffusione.

Parlando di accessibilità ai dati tocchiamo un punto delicato perché ci sono dei dati personali che a volte non vogliamo rendere pubblici (privacy) o dati che sono patrimonio di aziende e che, se divulgati, potrebbero danneggiare il business di tali aziende (intellectual property).

D’altra parte è indubbio che mettendo assieme, ad esempio, tutti i dati medici, tutti quelli sulle abitudini delle persone e tutti quelli sulle condizioni del contesto ambientale, si potrebbero avere dei servizi di prevenzione e cura utilissimi per i singoli cittadini.

Una città supertecnologica può essere quindi estremamente utile per molti aspetti della vita cittadina; a fronte dei benefici dobbiamo però anche considerarne i costi, perché, se non ci si focalizza su bisogni specifici e se non si attua una corretta gestione, si rischia di essere un esempio di bella tecnologia ma niente di più; e, a tal riguardo ci sono già nel mondo alcune realizzazioni critiche.

Stiamo parlando di pianificare con razionalità e mettere in atto con competenza strumenti tecnologici, quali sensori, attuatori, elaboratori che rilevino i dati dal territorio, dalle auto, dalla popolazione, dalle fabbriche e da tutto ciò che gravita attorno alla città stessa per predisporre servizi utili ai cittadini, così da avere, ad esempio, minor inquinamento, minori costi di riscaldamento, minori malattie, maggior sicurezza, maggior tempo libero, migliori trasporti pubblici. In una estrema sintesi stiamo parlando di investire in iniziative il cui impatto sia misurabile e di cui ci sia l’effettiva necessità.

Non sarà possibile ovviamente partire con mille obiettivi diversi, occorre prima definire dove si intende andare: se si vuole migliorare il traffico o lo smaltimento dei rifiuti, se si intende migliorare la pianificazione territoriale o l’assistenza sanitaria e sociale, e così via.

Una volta stabilito l’ambito di intervento il passo successivo potrebbe essere quello di vedere che cosa si è fatto in altre realtà simili e capire che cosa si potrebbe fare nel caso specifico; nello stesso tempo bisognerà capire quali dati e servizi utili sono già presenti (dati comunali, ISTAT, ASL, Polizia, etc. ) nel territorio.

Si sarà così in grado di definire gli specifici obiettivi realizzativi, si potranno valutare i costi e ipotizzare gli specifici benefici attesi; si dovranno di conseguenza anche identificare i relativi misuratori così da poter controllare infine i reali benefici ottenuti.

Un tale progetto è sicuramente complesso, anche se apparentemente piccolo e limitato, e come tale va gestito in modo professionale. Potrà diventare infatti il modello che servirà da stimolo in un percorso di innovazione e miglioramento.

E’ questa la sfida che le amministrazioni pubbliche dovranno affrontare: predisporre strumenti per rilevare dati, aggregarli con quelli provenienti da altre strutture pubbliche o private, elaborare questa mole di informazioni per trarre poi altre informazioni utili infine a prendere decisioni consapevoli ed atte a migliorare la vita della cittadinanza.

Nello stesso tempo mettere i dati pubblici a disposizione di cittadini, aziende ed enti privati in modo tale che possano essere utilizzati per una varietà di scopi addizionali, dal sociale al business, può creare un circolo virtuoso dove il beneficio finale torna ancora alla popolazione stessa.

Quindi, se vogliamo che le smart cities, con il loro contenuto tecnologico, diventino il modello di riferimento del ventunesimo secolo esse dovranno avere sì una tecnologia d’avanguardia, ma questa dovrà essere accompagnata da amministratori intelligenti e capaci di indirizzarla al servizio dei bisogni reali delle persone che in quella città vivono.

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