Open data, le vie per farli crescere: Regno Unito, Francia e Austria

Leadership, portale di riferimento e rilevanza dei dati sono i tre cardini per sviluppare il fenomeno Dati Aperti. Le “best practices” arrivano dal Regno Unito. Analizziamole, con Rufus Pollock, fondatore e direttore dell’Open Knowledge Foundation. Interessanti anche i casi di Francia e Austria

Pubblicato il 25 Set 2013

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È il Regno Unito, principale promotore al G8 dello scorso giugno dell’Open Data Charter (qui in italiano), il paese leader sul tema degli Open Data a livello europeo. Tanto come primogenitura quanto come risultati ottenuti. Il suo esempio di successo ci può fornire elementi per capire come sviluppare questo fenomeno anche in Italia. In effetti scopriamo subito che il Regno Unito è avanti proprio grazie a qualcosa che da noi non è partita mai: la collaborazione tra Stato centrale e periferie intorno a questo tema.

Il primato britannito è confermato dal “Quadro di valutazione del PSI (Public Sector Information) europeo”, strumento di “crowdsourcing” per misurare lo stato di Open Data e riutilizzo in tutta l’Unione Europea. Gli Open Data made in UK occupano la prima posizione sia per mole di dati rilasciati, sia nella classifica che aggrega i 7 indicatori adottati dal PSI, tra cui spiccano la pratica del riuso, il formato dei dati, gli eventi e le attività a supporto dell’apertura dei dati.

La Gran Bretagna è stato il primo paese europeo a dotarsi di un portale dedicato ai Dati Aperti: Data.Gov.Uk, a tutt’oggi l’esperienza più completa e interessante del vecchio continente. “L’Open Knowledge Foundation ha lavorato a stretto contatto col Governo britannico per lo sviluppo e l’approvazione di un’agenda sugli Open Data – spiega Rufus Pollock, fondatore e direttore dell’Open Knowledge Foundation (OKF) –. Data.gov.uk, alimentato dal nostro software CKAN, è stato lanciato nel 2010 con 2500 set di dati (oggi sono più di 9mila, nda). Oltre a fornire le infrastrutture necessarie, il ruolo della Fondazione è stato fondamentale per garantire una serie di importanti pubblicazioni di dataset, come quelli legati alla spesa pubblica, rilasciati con grande anticipo sugli altri paesi. In questo modo la Gran Bretagna ha anticipato con successo il potenziale economico e sociale degli Open Data”.

“Solo liberando dati importanti per mercati rilevanti gli Open Data riescono a decollare”, spiega Lorenzo Benussi, già consulente del MIUR per le politiche digitali e d’innovazione. Se non si riesce a dimostrare con esempi concreti il business che ruota attorno ai dati aperti è difficile spiegarne l’importanza e per farlo è necessario possedere dei set di dati economicamente rilevanti. Pubblicare dati aperti non è solo una questione tecnologica dunque, conta anche e soprattutto l’engagement rispetto al pubblico, calcolabile col sistema delle cinque stelle dei linked open data, introdotto da Tim Berners-Lee, incentrato su cinque punti fondamentalI: essere guidati dalla domanda; inserire i dati in un contesto; supportare il dibattito attorno al tema dei dati; sviluppare le capacità, le competenze e le reti necessarie alla gestione dei dati; collaborare sui dati come risorsa comune.

Trasporti, mercato immobiliare, registro delle imprese sono alcuni esempi di dataset appetibili, che in Italia faticano a diventare “Open”. È ancora l’Inghilterra a offrire interessanti “best practices” sul tema. Un esempio illuminante è quello di Open Corporates, startup londinese il cui obiettivo è creare un database di tutte le grandi corporation mondiali e mapparne la struttura. Il progetto di Chris Taggart può rivelarsi uno strumento utilissimo per combattere la corruzione e l’evasione fiscale, due temi caldi per il Bel Paese. Eppure l’Italia non ha certo aderito con entusiasmo all’iniziativa; il monopolio di queste informazioni garantisce infatti a InfoCamere un giro di affari di quasi 2 milioni di euro l’anno.

Altro caso, sempre britannico, è quello dell’Open Data Curation. Il processo di aggiornamento delle leggi in base agli atti rilasciati dal Parlamento veniva svolto fino a poco tempo fa, in forma di oligopolio, da due compagnie, LexisNexis e Wastlaw. Dalla fine del 2012 si è passati ad una forma collaborativa, aprendo l’accesso ai National Archives: si calcola che entro il 2015 il processo di transizione sarà completo, trasformando così quello che per lo Stato era solo un costo, in un investimento.

Oltre alla tipologia di dati, riveste grande importanza il processo di liberazione dei dati. È importante creare consapevolezza e partecipazione nella cittadinanza per agevolare lo sviluppo degli Open Data. In questo senso è particolarmente significativa la strategia adottata dalla città di Vienna: l’Open Government “Schiaccianoci”. Il guscio della noce rappresenta gli ostacoli che vengono incontrati durante il processo di apertura dei dati nelle amministrazioni pubbliche e il movimento per l’open government data si occupa di romperlo in quattro fasi: aumentare la trasparenza dei dati; migliorare la partecipazione aperta e la condivisione di idee e conoscenze; favorire la collaborazione tra privati, settore pubblico e cittadini; realizzare inclusione sociale attraverso la trasparenza, partecipazione, la collaborazione e il crowdsourcing. “Particolarmente interessante è il piano comunicativo adottato, tanto verso la comunità che richiede i dati, quanto verso chi i dati li produce – racconta Matteo Brunati, corrispondente italiano per ePSI Platform –. Con Wikitalia abbiamo tradotto i materiali viennesi e li stiamo riutilizzando per il Comune di Matera”. Un caso interessante di riuso, elemento chiave per far crescere gli Open Data.

Tornando al tema cardine del portale di riferimento e della ricchezza dei set contenuti, uno dei problemi comuni a diversi paesi è dovuto a due tipi di resistenza. Quella a pubblicare dati che potrebbero risultare incompleti o sbagliati riguarda anche il Regno Unito. Ma sempre da lì, arriva una possibile risposta, attraverso un’indagine indipendente condotta da Stephan Shakespeare, CEO di YouGov: “L’ideale non dovrebbe essere il nemico del bene”. Ossia, è necessario un approccio a doppio binario: quelli che vengono individuati come “core data” della Pubblica Amministrazione richiedono uno standard di attendibilità elevato, gli altri devono essere rilasciati più rapidamente. In questo modo si può seguire l’ambizione di portare tutti i data set verso la perfezione, ma non ci si lascia rallentare dall’imperfezione.

L’altro ordine di resistenze è legato alle preoccupazioni sull’apertura dei dati da parte della PA. Per affrontare questo genere di barriere (il “guscio della noce” viennese) è particolarmente interessante l’“Open Data Excuse” Bingo, tradotto in italiano da SpaghettiOpendata, che elenca le principali opposizioni all’apertura dei dati e propone una serie di risposte efficaci per superare gli ostacoli.

“Nonostante gli importanti successi ottenuti dalla Gran Bretagna, il recente Open Data Census dell’OKF mostra che gli UK sono stati superati dagli Stati Uniti in tema di ‘apertura’ – sottolinea Rufus Pollock –. Quindi è importante rimboccarsi le maniche e non diventare compiacenti”. La strada per far crescere le potenzialità offerte dai dati aperti è ancora indicata da Stephan Shakespeare, che individua alcuni elementi chiave: sicurezza (i cittadini non devono temere che la loro privacy sia compromessa); investimenti per formare data scientist che sappiano far fruttare i dati; economia mista di dati pubblici e privati; analisi per monitorare il valore reale delle informazioni del settore pubblico.

Ma per poter attuare una vera e vincente politica di apertura dei dati, non si può prescindere da una leadership forte, in grado di guidare il processo. Negli Stati Uniti prima e nel Regno Unito poco dopo, gli Open Data hanno ricevuto una significativa spinta dall’alto: nel primo caso sono stati uno dei temi caldi della campagna di Barak Obama nel 2008, nell’altro su spinta di Tim Berners-Lee e dell’Open Knoweldge Foundation hanno avuto pieno sostegno da Gordon Brown prima e da David Cameron poi. “Quello della leadership è certamente un problema cruciale – spiega Rufus Pollock –. Molto dipende dalla situazione del paese, da quanta autonomia hanno le regioni e dalle ragioni che spingono verso un sistema omogeneo. Sicuramente in UK il ruolo della OKF è stato molto prezioso”.

Altro esempio virtuoso è quello francese di Etalab, che ha il compito di coordinare i servizi dello Stato e delle sue istituzioni per favorire il riutilizzo delle loro informazioni pubbliche. “Si tratta di un organismo molto snello, che in Francia è il motore degli Open Data, svolgendo quel ruolo di spinta e coordinamento che da noi è carente”, commenta Lorenzo Benussi. Etalab si occupa inoltre di amministrare il portale data.gouv.fr e, raccogliendo più di 30 innovatori francesi nella comunità Dataconnexions, incoraggia e sostiene lo sviluppo di progetti innovativi per il riutilizzo dei dati pubblici.

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