Molte sono le amministrazioni pubbliche attualmente coinvolte nei processi di valorizzazione del patrimonio informativo, tuttavia il mercato non sembra ancora aver colto del tutto la grande opportunità del riutilizzo libero e gratuito dei dati pubblici anche per finalità commerciali.
Perché le aziende sembrano ancora così poco interessate a sfruttare i potenziali benefici degli Open Data?
Eppure la Commissione europea già da tempo ha individuato nel potenziamento del mercato unico digitale il volano strategico per lo sviluppo dell’economia nei Paesi dell’Unione, e una delle azioni principali dell’Agenda digitale europea identifica come obiettivo stabilito per gli Stati membri anche l’apertura dei dati pubblici finalizzata al loro riutilizzo.
Sul punto, le disposizioni della Direttiva sull’informazione del settore pubblico (PSI) – la cui prima versione fu adottata nel 2003, recentemente modificata dalla Direttiva 2013/37/UE – contengono attualmente alcuni principi basilari dell’Open Data. E questo perché ci si è resi conto che i dati in possesso degli enti pubblici costituiscono un ampio bacino di risorse relativo a informazioni diversificate, in grado di favorire l’economia della conoscenza e lo sviluppo di nuovi servizi basati su modi innovativi di combinare tali informazioni tra loro, al fine di utilizzarle – anche a scopo commerciale – per stimolare la crescita economica.
Il riutilizzo dei dati pubblici, dunque, potrebbe generare nuove opportunità di business e di lavoro, nonché ampliare le possibilità di scelta dei consumatori.
Un maggiore sfruttamento degli Open Data è strettamente correlato alla creazione di nuovi servizi e di nuove applicazioni basate sull’uso, sull’aggregazione e sulla combinazione di tali dati resi disponibili da enti pubblici e pubbliche amministrazioni. Tantissimi, infatti, sono gli ambiti in cui possono svilupparsi analisi di mercato, strategie commerciali innovative, ma anche nuovi prodotti e servizi basati sul riutilizzo delle informazioni prodotte nel settore pubblico (si pensi, ad esempio, alle informazioni geografiche, economiche, statistiche, culturali, meteorologiche relative ad attività finanziarie, commerciali o turistiche).
In tal senso, una maggiore consapevolezza delle potenzialità di sfruttamento, anche per finalità commerciali, degli Open Data potrebbe risultare estremamente utile alle aziende per la messa a punto di nuove strategie già dalla fase di analisi dei dataset che sono messi a disposizione dalle amministrazioni pubbliche, anche eventualmente per la produzione di nuovi dataset attraverso un’organizzazione e razionalizzazione di quelli già esistenti (per creare i c.d. “dati mashup”, riferiti allo sviluppo di dataset complessi, prodotti a sostegno di processi comunicativi, sociali o economici).
Per altro verso, l’attenzione agli Open Data risulta imprescindibile in tutte le aziende ICT che intendano offrire i loro servizi alle amministrazioni pubbliche e agli enti partecipati, in quanto l’art. 52 del CAD (D.Lgs. n. 82/2005, Codice dell’Amministrazione digitale), al comma 3, introduce una disposizione in base alla quale si stabilisce che nei capitolati e negli schemi di contratto per i servizi ICT che prevedano la raccolta e la gestione dei dati pubblici, le pubbliche amministrazioni debbano predisporre “clausole idonee a consentire l’accesso telematico e il riutilizzo, da parte di persone fisiche e giuridiche, di tali dati, dei metadati, degli schemi delle strutture di dati e delle relative banche dati”, ossia – in estrema sintesi – la gestione di dati secondo il paradigma Open Data.
In effetti, a ben guardare, emerge come si sia voluto fare riferimento a un ampio spettro di forniture che comportino la realizzazione non solo di prodotti e/o servizi che abbiano direttamente come oggetto la gestione di dati pubblici, ma anche di quelli che indirettamente producano dati pubblici, che dovranno essere, appunto, dati di tipo aperto.
I dati di tipo aperto, per essere tali, ai sensi del comma 3 dell’art. 68 del CAD, devono presentare tre caratteristiche essenziali (anche secondo quanto precisato nelle Linee guida sul patrimonio informativo pubblico emanate dall’AgID):
– la disponibilità del dato, nel senso che ci si riferisce esclusivamente a dati pubblici conoscibili da chiunque (escludendo, quindi, i dati a conoscibilità limitata e i dati personali), ai quali è associata una tipologia di licenza che consente il loro libero uso;
– l’accessibilità del dato, in riferimento al formato di tipo aperto in cui il dato deve essere reso disponibile (tramite formati aperti, interoperabili e machine-readable) e alla presenza dei metadati (con un legame forte dato-metadato e un livello di dettaglio, ossia di granularità della descrizione relativa al singolo dato);
– la gratuità del dato o la sua disponibilità a costi marginali (salvo in casi specifici che AgID dovrà eventualmente definire).
In definitiva, le licenze, le condizioni e le caratteristiche in cui i dataset sono messi a disposizione dalle pubbliche amministrazioni per il riutilizzo commerciale – o non commerciale – hanno un effetto sul potenziale sfruttamento degli stessi, in relazione soprattutto al possibile incremento della concorrenza e della competitività nel mercato.
Pertanto, è fondamentale che le imprese operanti nel mercato nazionale possano godere delle stesse opportunità offerte nel resto dell’Unione europea circa la qualità del patrimonio informativo pubblico reso disponibile in modalità Open Data.