Quello delle competenze è da tempo considerato tema decisivo per realizzare quel processo di modernizzazione divenuto oramai il mantra del cambiamento del sistema Paese: è obiettivo strategico di vari documenti programmatici di governo, è oggetto di iniziative formative – più o meno creative – ad ogni livello, continua ad essere argomento caldo in convegni, workshop e conferenze tenuti in ogni dove.
Eppure, l’obiettivo formazione dei dipendenti pubblici continua ad essere “il Problema” della complessa macchina amministrativa e ci troviamo ancora qui a ribadire la necessità ed urgenza di porre la giusta attenzione alle soft skills dei dipendenti.
Competenze dei dipendenti pubblici, le “colpe” dei dirigenti
In maniera ormai ossessiva si chiede anzitutto ai dirigenti/manager pubblici di lasciare la propria comfort zone, mettere in discussione assunti ritenuti immodificabili, tracciare il percorso di formule organizzative più adeguate al nuovo mondo pubblico digitale, adattare i percorsi formativi (anche) dei propri dipendenti.
La realtà è che, nella PA, il dirigente – di norma poco propenso a ripensare sé stesso e il proprio lavorare – è generalmente scettico verso qualsiasi azione di riqualificazione dei propri collaboratori, relegando la formazione a strumento di riproduzione del lavorare per adempimenti e per evitar(gli) le sanzioni, anziché considerarla fulcro del cambiamento di sistema.
Chi nella pubblica amministrazione ha voglia di cambiare si scontra spesso con simili barriere e puntualmente ne rimane incagliato: se l’essere professionisti dell’adempimento premia, la voglia di mettersi in discussione si assopisce e il gioco della contaminazione tra colleghi risulta perdente.
Un contesto che porta a valutare l’esigenza di percorrere nuove strade, abbandonare il tradizionale impianto formativo, dimenticare la circolazione interna della conoscenza e coinvolgere soggetti che possano far crescere la propensione all’innovazione in chi lavora sul campo – a prescindere dal mansionario – affinché una nuova consapevolezza divenga la costante di ogni pubblica amministrazione.
Contaminazione pubblico-privato, l’esempio di Palermo
Ne è esempio il Comune di Palermo che, con l’entusiasmo di pochi pubblici dipendenti e il contagio di community locali, ha prodotto al suo interno una reale consapevolezza del valore dei dati aperti, sia per il cittadino che per l’ente stesso.
L’esperienza è – senz’ombra di dubbio – un ottimo esempio di contaminazione pubblico-privato: un processo nato dal basso e in maniera sporadica, ma che negli anni si è consolidato in vero e proprio progetto collaborativo e partecipato. È così che nel contesto palermitano ha preso vita un nuovo modo di concepire il lavorare nell’ente, dove cultura digitale e soft skills si acquisiscono in un perpetrarsi di “contagi” personali e si traducono in qualità e innovatività di prodotto (Linee Guida, pubblicazione e messa online del portale dei dati aperti, informazioni georeferenziate); un contagio sempre in crescita, che si estende da Sud a Nord, attraverso reciproca collaborazione e supporto di colleghi ed esperti di territori diversi.
FVG, perché l’open data fatica a decollare
Il lavoro sui dati aperti non è una novità nemmeno per il Friuli Venezia Giulia: fin dal 2013 vantiamo una normativa regionale innovativa, un portale territoriale-punto di accesso e di raccolta di dati pubblici aperti, un’Agenda Digitale Regionale che punta sulla formazione permanente nelle materie ICT per la PA.
Abbiamo quindi le “carte in regola”, ma l’open data fatica ancora a decollare.
Se l’impianto giuridico è stato realizzato, il motore della macchina pubblica non ha, ahimè, ricevuto una particolare attenzione né è stato alimentato da una giusta dose di benzina: al processo di pubblicazione di dati aperti manca ancora una solida base – culturale e di competenze digitali – che impedisce, ora, anche alle neonate Unioni Territoriali Intercomunali di coglierne le opportunità.
Al Centro di Competenza Sistemi Informatici, Comunicazione e Trasparenza ANCI FVG poniamo una continua attenzione ai temi dell’innovazione e del cambiamento della PA con uno sguardo rivolto alla realtà regionale e con l’obiettivo di valutare nuove strade da intraprendere per consolidare nel pubblico dipendente nuove modalità di lavoro, nuova consapevolezza, entusiasmo e passione “del fare”. Così, se nel 2017 il percorso formativo #OpendataFVG ha visto l’avvio in modalità sperimentale e laboratoriale, nel 2018 tale percorso viene rimodulato ed ampliato con momenti di “contaminazione”.
Seguiamo per questo con interesse le strade intraprese da altre realtà del territorio nazionale, nella convinzione che alla Pubblica amministrazione servano momenti di interscambio con il mondo esterno, capaci di contrastare il suo sistema interno bloccante e fornire agli enti la forza del “saper fare” attraverso il supporto a quei dipendenti pubblici che vogliano mettersi in gioco su tematiche innovative, a partire dall’apertura dei dati del proprio ente.
Cambiare schema per cogliere le opportunità dei dati, una proposta
In tale ottica l’apertura dei dati diviene presupposto di un nuovo paradigma basato su un diverso schema organizzativo che abbandoni la filosofia dell’orticello per cogliere le opportunità che i dati aperti offrono all’ente e alla società.
Un obiettivo a cui tutti dovrebbero guardare e che richiede una vera e propria chiamata a raccolta, creando occasioni di contaminazione territoriale: università e studenti, pubblici dipendenti e manager, istituzioni, aziende, hacker e professionisti.
Una proposta? Un hackathon costruito sui dati degli enti e a misura di pubblico dipendente.
Forse così gli enti locali riusciranno a fare dell’open government data l’elemento fondante un nuovo stile lavorativo che riveda i processi, ragioni in ottica di interoperabilità, si basi sulla facile reperibilità delle informazioni, sulla divulgazione della conoscenza e sulle buone prassi operative.