Il ritardo italiano su ricerca di base, applicata e innovazione va recuperato indirizzando risorse su infrastrutture che arricchiscano in modo permanente il Paese di competenze e capacità di generarle e aggiornarle senza disperderle in microprogetti o finanziamenti a pioggia, che lascerebbero lavoratori e imprese nella situazione di debolezza strutturale che siamo abituati a vedere ormai da decenni e che si sta aggravando drammaticamente con lo shock pandemico.
Ed è in questo contesto che prende corpo la naturale convoluzione tra il Piano Amaldi originale (raddoppio fondi in ricerca scientifica per arrivare in 6 anni all’1% di investimento rispetto al Pil) e la proposta di Marco Bentivogli di un network a capitale misto, in grado di far emergere il meglio delle competenze e delle tecnologie presenti nel pubblico e nel privato.
L’operazione QuantumItalia, come è stata ribattezzata, mette insieme il Piano Amaldi e la rete InnovAction affinché l’Italia possa fare un “salto quantico” in tutti i settori strategici ad alta intensità di ricerca con la costruzione di un centro nevralgico nazionale per la ricerca applicata e l’innovazione tecnologica, ispirato alle modalità di funzionamento del Fraunhofer tedesco, e possa così essere traghettato tra i Paesi economicamente più avanzati.
Non possiamo più aspettare, e il momento è ora, che il Governo sta definendo l’allocazione delle risorse per il Recovery Fund e, almeno nelle intenzioni, sembra pronto a puntare convintamente sulla ricerca scientifica.
L’impegno del Governo sul Piano Amaldi
Qualche settimana fa, durante lo speciale di SkyTG24 “Progress” dedicato al Piano Amaldi, il ministro dell’Università e della ricerca Gaetano Manfredi, rispondendo a una precisa domanda della conduttrice, ha infatti annunciato l’impegno del Governo per l’aumento degli investimenti in ricerca scientifica. Uno stanziamento di 15 miliardi di euro in 5 anni che ci “allineerebbe” con la Francia ma ancora non sarebbe sufficiente a raggiungere la Germania entro il 2026 che era l’obiettivo originale del Piano Amaldi. Un altro punto fondamentale del Piano Amaldi è la spinta decisa verso la ricerca applicata, oltre che quella di base: questo aspetto ha avuto un impatto preponderante anche nell’attenzione ottenuta, sia da parte dei media che dal pubblico, rispetto a un tema come quello della ricerca scientifica normalmente visto come lontano da questioni pratiche e relegato in ultimissimo piano nel dibattito politico.
Attendiamo che i buoni propositi espressi dal Governo si materializzino finalmente nella Legge di Bilancio. Le bozze che circolano ancora non sembrano destinare gli 1,5 miliardi di euro previsti per il 2021 dal Piano Amaldi in versione originale o il miliardo dell’opzione “francese” proposta dal gruppo di scienziati (tra cui lo stesso Ugo Amaldi) firmatari della lettera al Corriere della Sera. Speriamo quindi che gli stanziamenti aggiuntivi siano inseriti nelle richieste di anticipo relative al Recovery Fund (ben 120 miliardi in tre anni, di cui 34 per il 2021).
La scienza non è un estintore
La ricerca continua a essere vista come un accessorio in uno scenario in cui anche i fondi europei (Erc, European Research Council) verranno incrementati meno del previsto proprio perché parte di essi è confluita nel Recovery Fund. I fondi Erc hanno rappresentato spesso una boccata di ossigeno per i ricercatori italiani anche se purtroppo e non sorprendentemente 2/3 degli italiani vincitori di Erc sceglie di effettuare le proprie attività di ricerca all’estero. Il finanziamento integrale del Piano Amaldi nella sua versione originale che punta a raggiungere in percentuale del Pil gli investimenti tedeschi avrebbe rappresentato una compensazione opportuna anche relativamente alla riduzione dell’accesso ai fondi Erc. Come più volte sottolineato dai maggiori esponenti della comunità scientifica europea, come Jean-Pierre Bourguignon (presidente Erc) e Fabiola Gianotti (Direttrice del CERN), i governi devono smettere di considerare la scienza come un estintore da usare solo quando la casa brucia e poi da rimettere in cantina fino alla prossima emergenza globale.
L’attenzione del mondo politico nel suo complesso per la ricerca scientifica sembra comunque sempre abbastanza disordinata e strumentale. Con il progredire della seconda ondata della pandemia e con novità positive sui vaccini che arrivano a raffica dalla ricerca biomedica (estera, non italiana) si disvela sempre più chiaramente il deficit di cultura scientifica dei decisori politici. Oltre alla difficoltà di portare le istanze del Piano Amaldi all’attenzione del Parlamento, questa discrasia colpisce direttamente il cittadino e la società a causa delle inefficienze nella gestione dell’emergenza pandemica. L’Italia è infatti il terzo paese al mondo per letalità da Covid19.
La confusione della politica sulle direttrici del Piano Amaldi
La strategia della ricerca italiana rispetto alle quattro direttrici previste dal Piano Amaldi è confusa. Risorse umane, progetti, infrastrutture e, soprattutto, trasferimento tecnologico verso le imprese private rappresentano una condizione critica per rendere il sistema industriale del Paese competitivo sul mercato globale. Ricordiamo che al momento la capacità brevettuale sui mercati EU e USA delle imprese italiane è circa 15 volte inferiore rispetto a quelle tedesche. Un dato le cui conseguenze sono immediatamente interpretabili da chiunque e che facilmente smonta l’illusione monetarista di ottenere aumenti di competitività con fantomatiche uscite dall’euro e svalutazioni, che tra l’altro innescherebbero immediatamente l’applicazione di dazi a nostro sfavore.
Il progetto QuantumItalia
In questo contesto, la costruzione di un circuito come QuantumItalia è necessaria per trasportarci tra i paesi economicamente più avanzati, che vantano crescite sostenute del 2-3% del PIL, consentendo a università ed enti di ricerca pubblici di rendere accessibili alle industrie, oltre alle competenze, infrastrutture e attrezzature: per esempio per effettuare pilot run, studi di fattibilità e essere coinvolte nelle attività di innovation park e distretti industriali fornendo sedi e supporto per industrie e start-up.
Un quadro normativo chiaro, che regoli compensi e conflitti di interesse, dovrebbe consentire ai ricercatori pubblici di collaborare ai progetti di ricerca privati e viceversa. In particolare, il coordinamento effettuato dal network Quantum Italia consentirebbe di sedimentare nei centri e nei territori le competenze dell’innovazione, abbassare le soglie di accesso per le Pmi alla Ricerca & Sviluppo e diffondere competenze a tutti i lavoratori coinvolti in questi processi.
L’integrazione tra ricerca pubblica e privata implica, però, cambiamenti su tutti i fronti: dalla scuola, all’università, agli enti di ricerca pubblici fino ad arrivare alle imprese. Ognuno deve fare la sua parte superando dogmi e sclerotizzazioni. Ad esempio, gli enti di ricerca pubblici devono essere messi in condizione di operare sul mercato e, ove possibile, dovrebbero essere trasformati in fondazioni di diritto privato o consorzi e sviluppare un dipartimento dedicato al trasferimento tecnologico afferente al coordinamento per la ricerca applicata. Anche la legislazione sui brevetti dovrebbe essere resa più efficiente garantendo all’autore una giusta frazione dei proventi ma intestando il brevetto all’ente di appartenenza in modo da massimizzare i vantaggi per il suo sfruttamento per la comunità. Il settore privato potrà essere aiutato inizialmente con sgravi fiscali, per esempio la decontribuzione dell’assunzione a tempo indeterminato di dottorati o la defiscalizzazione delle spese per investimenti in ricerca per le Pmi.
I settori strategici in cui concentrare gli sforzi
L’operazione Quantum Italia mira a rafforzare le due gambe del sistema della ricerca italiana, pubblica e privata, in modo da poter competere ad armi pari con le economie avanzate e in particolare con il nord Europa e porre le condizioni per uno sviluppo economico consistente, meno soggetto a effetti recessivi e shock economici come quello che stiamo attraversando. La massimizzazione dei vantaggi competitivi indotti dal trasferimento tecnologico verso le imprese deve procedere concretamente con l’identificazione di settori di esecuzione strategici dove pubblico e privato concentrino gli sforzi in termini di investimenti, risorse umane e infrastrutture. L’elenco è lungo ma possiamo citare alcuni campi di particolare rilievo: supercalcolatori, intelligenza artificiale, computer quantistici, robotica, sensori, agricoltura smart, tecnologie per trasporti, sicurezza idro-geologica e patrimonio artistico, scienze della vita, approvvigionamento e stoccaggio energetico, cyber-sicurezza, crittografia, identità digitale, e-Government.
Per esempio, la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione e, spingendo lo sguardo oltre, l’e-Government e l’Identità Digitale dei cittadini, la protezione dei dati personali e sanitari, richiedono la creazione di veri centri di ricerca per lo sviluppo delle competenze e delle tecnologie necessarie, mentre per adesso si ascoltano solo parole d’ordine vuote come digitalizzazione.
Conclusioni
Al momento l’allocazione delle richieste per il Recovery Fund non è ancora stata definita. La speranza è che il Governo e il Paese escano da questo stato di torpore e si decida di iniettare risorse cospicue in istruzione, ricerca (di base e applicata) e innovazione. L’Italia si avvia a diventare un paese vecchio e lo shock pandemico sta anticipando il collasso demografico. Le nuove generazioni dovranno essere messe in grado di competere a livello globale con professioni ad altissimo valore aggiunto da svolgere con alta produttività altrimenti il nostro welfare rischierà l’implosione in quanto andranno fronteggiati anche i costi sociali di una popolazione anziana bisognosa di assistenza sanitaria. Solo un Paese in grado di creare ricchezza oltre che ridistribuirla potrà essere in grado di garantire una vita dignitosa ai suoi giovani come ai suoi anziani.