Editoriale

PA digitale al bivio, tra rischio paralisi (politica) e speranza di una svolta

La nomina di Attias a commissario all’Agenda digitale è una buona notizia. Ma arriva in un momento di grande confusione. Dove tensioni politiche latenti possono paralizzare per un anno l’attività. Ma la speranza di una “scossa” digitale alla PA resta viva, affidata alle persone più che alle strutture politiche. Ecco perché

Pubblicato il 02 Nov 2018

Alessandro Longo
Alessandro Longo

Direttore agendadigitale.eu

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L’Agenda digitale, o almeno la trasformazione digitale della PA, è in mano a due persone molto competenti. Teresa Alvaro in Agid da agosto e da ieri Luca Attias, neo commissario straordinario all’Agenda Digitale, entrambe figure incardinate nella presidenza del Consiglio (la prima sotto Funzione Pubblica e la seconda diretta emanazione del presidente del Consiglio).

Tutti gli addetti ai lavori a cui potete chiedere concordano sul valore umano, professionale di entrambi. E questa, almeno questa nel caos che ha sempre caratterizzato la politica digitale del nostro Paese, è una buona notizia.

L’asimmetria di potere e mandato

Poi però restano intatte quelle fortissime incognite di cui abbiamo già parlato, sulla governance del digitale. Sul chi-fa-cosa. Incognite che anzi si sono acuite nell’ultimo mese, di pari passo con i conflitti politici in seno al Governo. La ricerca di un chiarimento all’interno di questa struttura di governance – che si è appena chiarita a livello di nomi ma non di poteri – è certo la sfida che terrà impegnate le parti nelle prossime settimane.

La situazione è la seguente. Innanzitutto, è oggettiva un’asimmetria formale.

Da una parte, l’Agid è un’Agenzia che ha compiti ben precisi, assegnati dalle leggi, con responsabilità crescenti. Dall’altra, la struttura commissariale che, come dice lo stesso nome, è “straordinaria”. Ha poteri “straordinari”. Unici – per rilevanza – all’interno della pubblica amministrazione (in teoria, avrebbe il potere di commissariare qualsiasi ente e l’Agenzia stessa; anche se il potere formale e l’opportunità politica reale di farlo sono concetti molto diversi). “Straordinaria” anche l’esistenza dell’Agenzia: pochi sui giornali nei giorni scorsi hanno sottolineato che Attias ha davanti a sé (solo) 11 mesi di lavoro, fino a settembre 2019. L’Alvaro tre anni e comunque dopo di lei l’Agenzia – stanti le attuali norme – continuerà a esistere.

Un’asimmetria di mandato e di poteri, quindi. Questo, sul piano oggettivo. Alle spalle, strisciante, avanza invece una questione politica.

La questione politica di fondo

L’Agid è sotto la ministra della PA Bongiorno, scelta dalla Lega. Negli schemi triti della politica italiana, nel suo solito gioco di pedine, Attias viene considerato “di parte” M5S. Il Movimento aveva premuto più di altri partiti per il prosieguo del lavoro di Diego Piacentini. Che ha indicato lo stesso Attias come successore, avendone apprezzato qualità ed entusiasmo nel lavoro assieme.

Chi conosce bene Attias lo sa che la politica “partitica” non c’entra con i suoi ideali: lui crede nei valori universali dell’innovazione. E sulla carta è difficile immaginare una persona con competenze più complete: non solo è un innovatore di successo, ma ha (dal suo lavoro alla Corte dei Conti) quella profonda conoscenza della pubblica amministrazione che è stata da sempre invece il tallone d’Achille del Team Digitale. Unisce insomma in sé entrambi gli ingredienti necessari e li condisce con instancabile entusiasmo e passione umana per l’innovazione.

Ma questo non basta a scansare il pericolo di paralisi della PA digitale per un anno (almeno). Perché la politica ha una ben nota capacità di inglobale nelle sue logiche anche le migliori competenze (ed entusiasmi).

Resta che il controllo della PA digitale – sui relativi fondi europei e possibili assunzioni – sia finito all’interno degli schemi di un possibile conflitto politico. Non a caso, Piacentini, nell’annunciare via twitter la nomina di Attias, ha voluto specificare “senza colore politico”.


Quasi una excusatio non petita, certo indizio rivelatore di un problema. Diego vuole evitare che lo sviluppo digitale dell’Italia finisca paralizzato in uno scontro “all’italiana” tra Guelfi e Ghibellini.

Qualche avvisaglia è emersa allo scoperto, forse per la prima volta, in un battibecco a distanza nel corso dell’ultimo evento di EY a Capri (ottobre). Dove Diego ha criticato l’inadeguatezza di Agid e ha consigliato al Governo di spogliarla di molte responsabilità, per focalizzarla su aspetti più tecnici; e la ministra Bongiorno ha invece replicato di pensare e volere – al contrario – un’Agid “più forte”.

Il rapporto di Piacentini al Governo

Il che si tradurrebbe nell’ambizione di gestire pienamente i grandi progetti di trasformazione digitale. Proprio l’opposto di quanto si legge nel rapporto di fine mandato consegnato da Diego al Governo e pubblicato ieri. Dove si definisce l’Agenzia incapace di gestire quei progetti e si ipotizza invece la nascita di nuove strutture, politiche e societarie, a questo scopo.

Già, il succo del problema è proprio questo: anche i progetti che sono più maturi, PagoPa e Anpr in quest’ordine, hanno bisogno di un cambio di passo per affermarsi davvero. Richiedono una maturità organizzativa maggiore, in termini di risorse umane ed economiche dedicate (scrive Diego). Così, un’idea è affidare la gestione di PagoPa a una società del MEF, dove potrebbero confluire persone del Team Digitale. Lo scrive Piacentini e non abbiamo dubbi che il Team Digitale, anche sotto la nuova guida, sia dello stesso avviso (idem alcuni esperti e addetti ai lavori che si occupano a vario titolo di PA digitale, a quanto ho potuto sentire).

A cosa possiamo aspirare nel 2019

L’obiettivo minimo di questi undici mesi è ultimare i progetti già avviati, anche con sanzioni per le PA inadempienti – ipotizza Piacentini – dopo dicembre 2019. Si noti che Spid, Anpr e PagoPa diventerebbero obbligatori (dopo varie proroghe) da gennaio, ma è evidente che l’obiettivo non sarà centrato. Non a dicembre e probabilmente nemmeno nel corso dell’anno prossimo. Lo rivelano  – oltre ai numeri ancora molto parziali dei servizi PA attivi – il bisogno di Piacentini di evocare “sanzioni” e le stesse parole della ministra, che ha di recente annunciato il completamento di Anpr entro il 2020.

Ci sarebbe poi da dare coerenza maggiore al tutto, per poter davvero cominciare a cambiare la vita del cittadino. Questa l’idea dietro Io.Italia, arricchita dal domicilio digitale, e che pure è opportuno diventi realtà nel 2019.

Chissà invece quando vedremo fatti i progetti più arretrati, che richiedono grandi interventi strutturali, come la razionalizzazione dei datacenter (poli strategici nazionali).

E questo solo per fermarsi alla PA o meglio alla sua superficie. Non mi sembra che ci sia ora, nelle parti in gioco, nemmeno un’ambizione possibile di ricondurre allo stesso insieme strategico la Sanità o la Scuola (che pure PA sono). Per non parlare del piano banda ultra larga, di Industry 4.0 o della cyber security nazionale (che pure tasselli fondamentali sono, di uno stesso disegno di Agenda digitale per un Paese che si voglia dire maturo).

Per una strategia coerente servirebbe una struttura dedicata al digitale all’interno del Governo, trasversale, dotata di giusti poteri e risorse (come chiesto dallo stesso Piacentini e in coro da tutti quelli che fanno l’innovazione in Italia). Ma sembra che ancora non sia venuto il momento, in Italia, per un tale commitment sull’innovazione.

Sullo sfondo, ci si può consolare che il digitale sia finito (finalmente) al centro di un conflitto politico (forse ancora solo latente, si spera). Significa che la partita ha assunto rilevanza maggiore, agli occhi di chi governa. Magra consolazione, se ne risulterà una paralisi o anche solo un rallentamento dell’azione. Non disperiamo: è ancora possibile si raggiunga un chiarimento. Per il bene comune del Paese.

Speranza che ora è riposta più nelle persone, che nelle strutture politiche a cui si riferiscono.

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