Complici gli effetti del coronavirus, il nostro Paese, sembra finalmente aver pigiato sull’acceleratore della trasformazione digitale. È anche vero, però, che a causa dei vistosi e innegabili ritardi accumulati, ci troviamo si trova ancora ad un punto embrionale nella realizzazione della cosiddetta “Smart Nation”.
Ciò che risulta evidente, in particolare, è la necessità di un lavoro di coordinamento che porti ad una standardizzazione e ad una semplificazione delle interfacce in grado di favorire l’interazione tra e con gli utenti.
Cittadini-PA: cosa ci ha mostrato l’emergenza
Il lungo periodo di lock down, resosi necessario per contenere la diffusione del contagio da Covid-19, ha involontariamente spinto milioni di italiani alla (ri)scoperta di metodi tecnologici capaci di assicurare continuità alle proprie attività lavorative e didattiche nonché utili a fronteggiare le proprie esigenze personali.
E come un’epifania la fase 1 di gestione dell’emergenza seppur con i limiti del caso ci ha mostrato:
- che si può lavorare (bene) nelle cosiddette modalità agili senza sacrificare necessariamente il Dio della produttività;
- che la dialettica tra cittadino e pubblica amministrazione può essere portata avanti anche ad uffici (parzialmente) vuoti.
Lo stato di necessità, infatti, ha costretto il Governo a bloccare numerose attività non ritenute essenziali e ad attivare di conseguenza straordinarie misure di sostegno al reddito, contestualmente, però, ha spinto a riconsiderare strumenti innovativi e digitali per sopperire alle difficoltà.
Tecnologia che si è rivelata utile a portare avanti le attività pur se sfruttata molto al di sotto delle possibilità.
Solo, infatti, grazie all’elasticità dello smart working (in alcuni casi meglio dire telelavoro), degli strumenti tecnologici e delle piattaforme informatiche si è riusciti, ad esempio, ad attivare e riconoscere le misure di sostegno previste dai provvedimenti del governo, senza affollare gli sportelli, senza (nella gran parte dei casi) irragionevoli ritardi.
E se da un lato la Pubblica Amministrazione ha dovuto affrontare un profondo ripensamento delle modalità di gestione del lavoro, gran parte dei cittadini, dall’altro lato, ha dovuto familiarizzare con modalità informatiche di accesso ai servizi.
I totem della burocrazia caduti sotto il covid
Tra i primi totem della burocrazia a cadere nella fase 1, ad esempio, troviamo il modello SR-163.
Il 10 aprile 2020, infatti, grazie alla collaborazione tra INPS, Poste italiane e le Banche, è stato possibile accantonare l’anacronistico metodo che, per certificare l’identità del titolare di un c/c bancario o postale, carta prepagata e libretto postale con IBAN ai fini dei pagamenti diretti delle prestazioni pensionistiche e non, prevedeva che un cittadino:
- Scaricasse prima e poi compilasse un modulo cartaceo;
- si recasse nel proprio istituto di credito per farsi certificare la veridicità di quanto aveva dichiarato;
- lo riconsegnasse vidimato all’INPS per farsi finalmente accreditare le somme spettanti.
CNS e Spid
Altro segnale positivo di semplificazione è stato l’attivazione del Pin dispositivo per accedere alla piattaforma dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (chi ricorda quanto fosse cervellotica l’attribuzione del PIN dell’INPS inviato per metà attraverso posta ordinaria?), ed estendere le possibilità di login alla propria area riservata ad altri metodi come la Carta Nazionale dei Servizi e l’identità digitale (SPID).
Ed è proprio su quest’ultima che conviene soffermarsi un attimo.
Per gli appassionati di numeri non può passare inosservato che le richieste di attivazione dello SPID, (sicuramente incentivate dalla possibilità di richiedere i vari bonus previsti), hanno pareggiato nei soli mesi di marzo e aprile del 2020 i numeri complessivi del 2019.
L’identità digitale, infatti, è un progetto complesso e ambizioso che travalica il suo essere una sorta di “super password” (o per meglio dire sistema di credenziali) attraverso la quale i cittadini e le imprese possano accedere (autenticandosi) ai servizi messi a disposizione dalle pubbliche amministrazioni e dai privati che aderiscono al circuito.
E su tale progetto lo Stato sembra stia puntando molto.
Non è un caso, infatti, che Il 26 marzo 2020 l’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) ha emanato le “Linee guida contenenti le Regole Tecniche per la sottoscrizione elettronica di documenti ai sensi dell’art. 20 del CAD”, all’interno delle quali si pongono le basi perché si possano sottoscrivere atti e contratti attraverso l’uso di SPID riconoscendo al sistema lo stesso valore della firma autografa, firma digitale, firma elettronica qualificata o firma elettronica avanzata ma con una maggiore versatilità nonché semplicità d’uso (nessun token, password o software aggiuntivo da utilizzare).
Sistema che meriterebbe, quindi, non di sovrapporsi ma di sostituire proprio quei dispositivi di firma digitale, che, complice la “fase 1”, hanno cominciato a diffondersi anche tra i privati cittadini.
Perfezionare o disdire un contratto di affitto, attivare o disattivare una fornitura, concordare una prestazione di servizi firmando tutta la documentazione senza necessità di spostamenti e con tutte le garanzie di autenticità, integrità e non ripudio previste dal CAD, potrebbe costituire un buon modo di riprendere le attività durante la fase 2 senza esasperare gli spostamenti, riducendo gli oneri di natura burocratica e facilitando la dematerializzazione documentale. È innegabile, però, che per questioni di diffusione, sarebbe molto più facile compiere queste operazioni attraverso il già diffuso SPID che, tra le altre cose, risolve una serie di problemi riguardanti la protezione dei dati e la gestione degli archivi.
Comporre la frammentazione: l’app IO
A onor del vero, poi, uno dei maggiori limiti di questo sistema attuale è proprio la frammentazione; orientarsi, infatti, tra tutti questi strumenti (alcuni assolutamente ridondanti) non è affatto semplice e richiede capacità di memorizzare credenziali e pin, avere a portata di mano dispositivi, token e applicazioni varie nonché una buona propensione informatica che al momento rende ostico utilizzarle per una fetta anche consistente della popolazione.
Non bisogna, però, dimenticare gli sforzi che lo Stato sta attuando in tale direzione.
Con questa chiave di lettura dobbiamo interpretare il lancio (forse ancora prematuro) dell’App “IO”.
L’obiettivo dell’applicazione (sviluppata secondo i canoni “lean” delle imprese digitali) è la comunicazione proattiva degli enti pubblici nei confronti dei cittadini.
Attraverso di essa, ogni utente, autenticandosi (questa volta sono privilegiati gli strumenti SPID e carta d’identità elettronica – CIE), potrà chiedere e conservare in maniera centralizzata documenti e certificati, accettare ed effettuare pagamenti, ricevere comunicazioni, messaggi e promemoria in maniera semplice attraverso le notifiche “push” ricevute sul proprio smartphone.
L’interesse verso questo strumento innovativo è abbastanza alto infatti, a meno di un mese dal suo rilascio ufficiale sul Play ed Apple Store, nonostante l’App sia ancora molto acerba e solo alcune PA vi abbiano aderito, si sono registrate decine di migliaia di download.
I limiti del nuovo approccio
Se dovessimo analizzare quali sono i limiti di questo nuovo approccio, non potremmo fare a meno di considerare la carenza di organicità di un progetto che comunque richiederebbe a monte l’integrazione dei database e dei servizi delle pubbliche amministrazioni oltre che un abbondante numero di download.
Senza una strategia comune e una “vision” chiara da perseguire, a mio avviso, non si potrà sperare di raggiungere l’obiettivo della digitalizzazione del paese.
Al netto di ogni task force ed esperto interpellato, firme digitali, carte nazionali dei servizi, carte d’identità elettroniche, spid e così via, sono troppe strade da inseguire per un risultato finale che presuppone di semplificare, standardizzare e coordinare gli sforzi in cambio dell’immenso contributo che la digitalizzazione potrebbe portare all’intero sistema paese.
Non ha, infatti, alcun senso moltiplicare le possibilità di accesso ai sistemi se essi non comunicano tra di loro; e se la Pubblica amministrazione è tuttavia frammentata e agisce come moltitudine di sistemi isolati e autoreferenziali, difficilmente si potranno completare i processi iniziati.
Ed è per questo, a mio avviso, che la “fase 2” dovrebbe puntare sull’integrazione dei database e dei sistemi di autenticazione. Una reductio ad unum capace di eliminare il superfluo riunificando tutto ciò che negli anni si è sovrapposto.