La scadenza del 28 febbraio, imposta alla Pubblica Amministrazione per attivare una serie di processi di trasformazione digitale nei propri servizi, sembra essere l’ennesimo traguardo mancato e questo crea non poco dispiacere in chi tifa per la modernizzazione della PA.
Non si tratta di una scadenza imposta pre-Covid e poi – per forza di cose – disattesa: essa è stata concepita a metà 2020 e confermata nel settembre dello stesso anno dal Parlamento nell’ambito di quel Decreto Semplificazioni che doveva essere una “risposta” al Covid in termini di digitalizzazione.
Il principale obbligo per le Pubbliche Amministrazioni da attuarsi entro il primo marzo quello di utilizzare esclusivamente identità digitali (SPID e CIE) per identificare i cittadini nell’accesso ai propri servizi online, esclusi imprese e professionisti e ciò a pena di severe penalizzazioni retributive per il dirigente responsabile.
Spiace dire che tale obbligo non è stato attuato a oggi che da una parte delle Amministrazioni (intorno al 60%) e che, anche laddove attuazione sia stata data, essa è per lo più stata solo parziale perché solo i principali servizi sono accessibili con ID digitali e non certo tutti i servizi online forniti dall’ente.
A prescindere, quel che ci si chiede è se questo sia il modo giusto di attuare lo switch off, pur più volte invocato da chi scrive.
Perché la trasformazione digitale della PA perde credibilità
Perde credibilità nell’attuazione della trasformazione digitale lo Stato che continua a “imporsi” ed annunciare traguardi ambiziosi e poi, regolarmente, li manca.
Perde ulteriore credibilità la trasformazione digitale imposta dai cittadini se, alla prova dei fatti, essa è poco funzionale e invece di semplificare causa complicazioni: questo può accadere se in luogo di ridisegnare le procedure ci si limita ad aggiungere l’identificazione digitale alle vecchie procedure con cui i cittadini avevano già familiarità e consuetudine.
I problemi di Spid
Se si usa l’identità digitale occorre se ne percepisca il vantaggio e mancano, ad oggi, linee guida per ridisegnare le procedure ed i servizi online per far uso delle nuove risorse a disposizione. Si vedono molti servizi in cui è stata prevista l’identità digitale ma, poi, completata l’identificazione, il cittadino si vede chiedere nuovamente i dati o chiedere di inserire nuove credenziali di identificazione, codici di sblocco, ecc.
Altro problema è quello dell’interferenza tra credenziali SPID e autenticazione proprietaria dei dispositivi: alcune identità SPID fanno affidamento sui sistemi di rilevamento del volto o delle impronte digitali dei principali produttori di smartphone e sulla possibilità di utilizzare una “app” ma, in tal modo, si subordina il funzionamento della SPID al possesso di un account per l’uso di smartphone e dello stesso smartphone. Occorre anche in questo caso accertarsi che vi sia una alternativa possibile e che l’obbligo di SPID non diventi obbligo di smartphone.
Le perplessità sull’app IO
La stessa cosa vale per l’app “IO”: se è vero che l’adeguamento alla stessa comporta un meritorio lavoro di standardizzazione dei dati e dei servizi delle PA per poter comunicare i dati alla “app” è anche vero che non sarebbe affatto complesso prevedere che i medesimi servizi siano accessibili attraverso una piattaforma web, dando al cittadino l’opzione di non dover per forza di cose utilizzare uno smartphone e consentendo di utilizzare per l’accesso tastiere, monitor e dispositivi di input che potrebbero essere più adatti ad alcuni utenti anziani, diversamente abili o, semplicemente, poco propensi all’utilizzo dello smartphone.
Si tratta di una esigenza pratica codificata dal Codice dell’Amministrazione Digitale all’art. 63 comma 1 del CAD che recita “Le pubbliche amministrazioni centrali individuano le modalità di erogazione dei servizi in rete in base a criteri di valutazione di efficacia, economicità e utilità e nel rispetto dei principi di eguaglianza e non discriminazione, tenendo comunque presenti le dimensioni dell’utenza, la frequenza dell’uso e l’eventuale destinazione all’utilizzazione da parte di categorie in situazioni di disagio.”.
Desta inoltre perplessità che la tecnologia di accesso alla PA prevista per Legge (l’app IO) sia qualcosa che sia esclusivamente distribuito tramite servizi privati, cioè tramite le app Store, le quali potrebbero – a livello teorico – in futuro decidere di sospenderne la distribuzione per qualsivoglia motivo. Se si sta pianificando la trasformazione digitale del futuro occorre che il sistema che si va a regolare sia resiliente rispetto a ogni ipotesi.
Sono inoltre ancora troppo pochi i servizi disponibili sull’app “IO” che dovrebbe, nelle intenzioni del Legislatore, divenire l’unica interfaccia tra PA e cittadino: entro il primo marzo dovevano essere avviati i progetti per portarli, ma lo sono stati e tali progetti trasformeranno i servizi senza creare nuova burocrazia digitale?
Conclusioni
Quale sarà inoltre l’atteggiamento dello Stato a fronte di norme che, come si è detto, prevedono sanzioni per chi non ha rispettato il termine del primo marzo? Per quanto è dato capire si tratta di migliaia di amministrazioni. Si sanzioneranno gli enti che, sotto pressione per l’emergenza Covid, non hanno dato priorità alla trasformazione digitale?
La cosa che sembra più sensata pare essere una proroga con rilancio della normativa del Decreto Semplificazioni: si proroghi il termine ma si rafforzino gli obblighi prevedendo linee guida e indirizzi per la trasformazione digitale da attuare, nel segno della vera trasformazione digitale, cercando di raccordare quanto previsto dal Decreto Semplificazioni con la pianificazione in corso per il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e, soprattutto, rendendo credibili gli obblighi che si andranno imponendo.