Un paio di settimane fa è stato siglato un protocollo d’intesa tra la Corte dei Conti e Luca Attias, il Commissario straordinario per l’Attuazione dell’Agenda digitale, e il suo team ma, nel trambusto della politica di fine anno, la cosa è passata un po’ sotto silenzio. Ha invece un significato importante e apre un nuovo orizzonte di speranza per l’infinito e spesso frustrante impegno per la digitalizzazione del Moloch della pubblica amministrazione italiana.
Il protocollo Corte dei Conti-Team Digitale
Il protocollo impegna la Corte dei Conti e il Team digitale a collaborare per l’attuazione dell’Agenda digitale, e fin qui nulla di straordinario: di convenzioni e protocolli, così come di buone intenzioni, sono lastricate le vie dell’inferno. Ma qui qualcosa di diverso c’è sin dalle premesse che, nel ricordarci che il compito costituzionale della Corte dei Conti è di essere garante imparziale della corretta gestione delle risorse collettive, sotto il profilo dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità, aggiunge un punto nuovo e non banale, che in sintesi afferma che la Corte deve necessariamente occuparsi della digitalizzazione della PA perché questa è indispensabile per l’economicità, l’efficienza e l’efficacia dell’azione pubblica. Insomma la Corte può e deve verificare anche se la mancata digitalizzazione di processi o servizi possa configurarsi come un vulnus alla corretta gestione delle risorse collettive e per farlo si fa aiutare dal Team digitale che ha in merito la massima expetise del Paese.
Ma c’è di più il Team e la Corte si impegnano con questo documento anche ad elaborare insieme metriche di misurazione della performance delle amministrazioni pubbliche nella realizzazione di progetti di informatizzazione e di innovazione tecnologica. E’ un punto essenziale perché proprio la mancata individuazione di indicatori di performance, che fossero garantiti e condivisi, è stato l’ostacolo maggiore all’applicazione di uno degli articoli della “riforma Brunetta” meno conosciuti e meno attuati, l’art. 27 che indica che una quota fino al 30 per cento dei risparmi sui costi di funzionamento derivanti da processi di ristrutturazione, riorganizzazione e innovazione all’interno delle pubbliche amministrazioni è destinata a premiare il personale direttamente e proficuamente coinvolto. Premio che viene ribadito dall’art. 15 comma 2.ter del nuovo Codice dell’Amministrazione Digitale che lo lega esplicitamente alla capacità delle amministrazioni di risparmiare attraverso la transizione al digitale.
Insomma per la PA non solo è obbligatorio perseguire l’economicità e la corretta gestione attraverso la trasformazione digitale, ma essa ha anche il compito di riconoscere l’eccellenza dove c’è e di premiarla anche con un incentivo economico.
Il protocollo va poi ad esplicitare alcuni aspetti delle linee di azione richieste dal Piano Triennale ICT della PA, tra gli altri: l’adesione alle piattaforme digitali abilitanti (quali l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente, PagoPA, SPID, Carta di Identità Elettronica, Domicilio Digitale, il punto di accesso di cui all’art. 64-bis del CAD, la piattaforma di analisi dei dati di cui all’art. 50-ter del CAD), l’interoperabilità e la condivisione dei dati per l’implementazione di processi digitali integrati, la pubblicazione dei dati aperti, l’acquisto di software secondo le prescrizioni delle linee guida di riuso e open source, l’implementazione delle misure minime di sicurezza informatica, la nomina del Responsabile per la Transizione Digitale.
Insomma tutti i punti salienti del Piano triennale saranno riesaminati nell’ottica della Corte dei Conti, ossia della buona gestione dei soldi dei contribuenti. Ma c’è un punto ulteriore di grande interesse: il protocollo guarderà con “particolare attenzione” anche ai risparmi di spesa conseguibili mediante l’eliminazione di iniziative locali che costituiscano sovrapposizione rispetto a quelle disponibili a livello nazionale.
Insomma le amministrazioni dovranno stare molto attente a non reinventare ogni volta l’acqua calda o a non indire bandi per datacenter “privati” da tenersi sotto la sedia perché oltre che infrangere il Codice dell’Amministrazione Digitale, cosa che spesso ahimè non produce sanzioni, potranno cadere sotto l’attenzione non certo benevola della magistratura contabile con rischi seri di essere accusati di danno erariale.
In sintesi quindi questo protocollo, nato a fine di un 2018 non certo esaltante per l’innovazione, promette di essere uno strumento efficace per accelerare la digitalizzazione, ma ci fa anche e ancor di più ben sperare in una nuova stagione in cui il “non fare” potrebbe essere almeno altrettanto pericoloso per la nostra burocrazia difensiva dell’abbracciare con coraggio l’innovazione.