Quando la sopravvivenza entra in campo, l’essere umano si evolve: anche l’‘homo pubblica amministrazione”. Spiace per chi non è pronto, ma è ora di cambiare, alla velocità della luce.
Firme digitali, identità digitali, servizi online, dematerializzazione, devono diventare la normalità.
Vediamo come possiamo farlo già oggi, con strumenti che abbiamo a disposizione.
I passi avanti nel cammino verso la digitalizzazione
Negli ultimi anni, la presenza del Team Digitale ha permesso di dare uno scossone all’annosa arretratezza digitale della PA, migliorando alcuni aspetti come la “silosizzazione” (ogni PAC fa da sé come fosse un mondo a parte, così fanno i vari livelli della distribuzione della PA ovvero PAC, Regioni, Province, Comuni) e la visione per function point (il “ho fatto”, “ho annunciato”, molto diverso dal “funziona”, “ha impatto”).
La creazione del Ministero dell’Innovazione e Digitalizzazione ha dato un ulteriore impulso, istituzionalizzando un gruppo di lavoro fin qui “emergenziale”.
Ora la pandemia dà un’ulteriore spinta, e grazie al distanziamento sociale obbligatorio ci permette di pensare a come possiamo rendere digitale l’interazione (input/output o IO, e non lo dico per caso), verso il cittadino.
Comunicare con pubblica amministrazione
Come posso comunicare alla PA in maniera digitale?
La prima modalità è utilizzare l’email o la pec (per chi ce l’ha). Ogni PA sul proprio sito ha dei riferimenti di pec o di email a cui scrivere per ricevere richieste e informazioni. La Pa a sua volta può rispondere via PEC o via email.
Si tratta di un meccanismo molto semplice, alla portata di tutti, ma con alcuni limiti. Scrivere via email non certifica in nessun modo l’identità del mittente, nemmeno scrivere via pec. Sono quindi modalità utili per richieste generiche e/o informative o per richieste o invio di informazione associate già a pratiche aperte.
Un altro metodo può essere quello di chiamare telefonicamente facendosi dare un numero di pratica, un po’ antico come metodo ma volendo altrettanto efficace, l’importante è ridurre al minimo la necessità di andare in luoghi pubblici.
Una terza modalità è accedere a servizi che prevedano un sistema di ticketing (ce ne sono pochi nella pa e non ho mai capito perché, sarebbe così efficace e bello per il cittadino quando fa una richiesta ricevere una bella email con un numero di pratica con cui tracciare lo stato della pratica stessa …) e inserire la richiesta. Spesso i sistemi di ticketing o pseudo ticketing (laddove esistono) esistenti nella PA, prevedono un’autenticazione prima con CIE o SPID, e qui alziamo il livello perché arriviamo all’autenticazione e identificazione del cittadino.
Identificazione con Spid
Se non ho SPID come faccio? Il coronavirus ha permesso un’evoluzione anche in questo. Prima la modalità era tipicamente andare a piedi in posta (parliamo di Poste solo perché è l’IdP che copre oltre 80% degli SPID), fare una serie di operazioni, quindi veniva rilasciata l’identità SPID.
Altra alternativa (es. Sielte) era quella di fare la pratica online mediante identificazione con la CIE.
Ma oggi se non ho la CIE ed è meglio che non vada in posta come faccio?
Al di là delle varie diatribe sul rilasciare SPID con la CIE, di fare una identità unica nuova, di fondere SPID in CIE o CIE in SPID, credo la soluzione più efficace per questo periodo l’abbia trovata Lepida permettendo l’identificazione del cittadino da remoto. Il cittadino può infatti fare spid prendendo appuntamento e venendo identificato direttamente mediante webcam, un metodo che utilizzano anche le case automobilistiche tedesche per dare servizi di connessione dei veicoli alla loro rete di controllo. Questo servizio è disponibile per tutta Italia, e complimenti a Lepida per averlo attuato dal 23 marzo.
Quindi SPID è fattibile da remoto, senza muoversi da casa. Grazie Lepida.
Al momento le identità digitali SPID in Italia sono sopra i 5 milioni, per cui siamo a un 10% quasi della popolazione. Del resto con il metodo Lepida anche oggi si può fare SPID e non ci sono ostacoli. Ma c’è uno strumento molto più diffuso che ha avuto un salto tecnologico notevole negli ultimi giorni, anche se più difficile da ottenere per motivi “fisici”.
La carta d’identità elettronica
La carta di identità elettronica è in possesso di oltre 15 milioni di cittadini, e mentre SPID è richiesto su volontà del cittadino stesso, la CIE viene rilasciata comunque al cittadino, che lo voglia o no. Anche la CIE è uno strumento di identificazione oltre che d’autenticazione, ma ci riserva anche un’altra sorpresa.
La CIE ha il “difetto” che non può essere fatta da remoto, perché servono le impronte digitali e alcune firme “con la biro” che devono essere prese sul posto.
(Un piccolo consiglio ai comuni che rilasciano la CIE: una bella prolunga USB e potete tenere il rilevatore di impronte a diversi metri di distanza.)
È inoltre anche poco utilizzata per l’autenticazione ai servizi online della PA, perché fino a qualche giorno fa aveva un vincolo stringente per l’utilizzo: un lettore di smartcard NFC. Ma ecco che il coronavirus “aiuta” a realizzare una spinta importante: oggi si può utilizzare la CIE per l’autenticazione e l’identificazione senza lettore, ma mediante un’app, denominata CIEId, che permette con un OTP di autenticarsi senza problemi ai siti della PA che lo permettono.
Quindi fino ad ora abbiamo visto 3 modalità di comunicazione (o di autenticazione, identificazione, firma!) che può usare il cittadino: email/pec, SPID, CIE. Ognuna con pro e contro, ma tutte interessanti e le ultime due che hanno subito accelerazioni non indifferenti nell’ultimo periodo.
Ed ora?
Ci sono ancora tre punti importanti da analizzare.
Cosa fare se serve una firma
E qui veniamo a uno dei nodi più scottanti per panorama PA. Per SPID sono uscite nel mese di marzo (un altro elemento che spiega come il momento sia disruptive) le linee guida per la firma con SPID: devo dire non magari il meglio che si poteva fare, ma ne parlo in questo articolo in caso si volessero recepire possibili migliorie.
SPID è ancora acerbo per firmare documenti, quindi temo non sia utilizzabile nel breve.
La CIE però è tutt’altro che acerba (e qui non vorrei riaprire diatribe formali sull’uso di parole come firma digitale, firma avanzata, firma). La CIE può essere usata per firmare documenti?
Si. Si usa? No o molto poco, perché? Perché per firmare esistono solo due software minori (in particolare un app e un software) poco noti che fanno entrambe le cose, mentre solo una tra le major, dispone di un software funzionante.
Del resto, avere nelle tasche degli italiani più di 15 milioni di strumenti di firma e non usarli (soprattutto ora che si possono usare davvero con CIEId, mentre prima avere un lettore era un costo richiesto al cittadino un po’ elevato e un ostacolo tecnologico piuttosto ingombrante), veramente mi sembra un nonsense.
Facciamo il salto di mindset che serve, dunque! C’era un mondo prima pandemia, e ora c’è un mondo diverso. Diverso può voler dire che mandare una persona a firmare un documento di carta in un ufficio pubblico perché abbiamo deciso di non far usare la CIE può farlo ammalare, mettere sotto pressione il sistema sanitario, far infettare altre R0=3.88 persone e farne morire qualcuna. Di cosa stiamo parlando?
Mi autentico, mi identifico, firmo e poi?
La risposta a questa domanda si articola su due livelli.
Primo: a cosa mi autentico e identifico? Questo è un problema annoso: che servizi vengono erogati davvero dalla PA in digitale? Il cittadino lo sa?
Qui andrebbe dato spazio all’egov, iniziato praticamente nel 2000 e che dopo 20 anni è ancora “alla discrezione della PA”. Comunque sia, ci sono portali polifunzionali, portali digitali, portali di egov. Spesso i comuni li hanno, i cittadini non lo sanno e non li usano, non ci sono processi nell’ente per gestire le pratiche che arrivano (o meglio ci sono: arrivata la pec -> te la giro …) e quindi il sistema è inefficiente.
Questo è un cambiamento richiesto significativo e non puntuale, e rientra nel discorso degli “annunci” e del “task”. Annunciamo che abbiamo il “nuovo portale” per i cittadini; “fatto”. “Funziona?”, “boh”. “Qualcuno controlla il numero di pratiche?” “No, però il servizio c’è, colpa dei cittadini che non lo usano”. “Sì ma perché non lo usano?” “Non lo sanno forse o forse non si fidano”.
E qui si arriva al secondo punto: se vado fisicamente in un ufficio, a meno che manchi qualche documento (50% probabilità) e qualche firma (25% probabilità) vedo tutto il processo, perché vado con un foglio e torno con quello che mi serve. Se mando un’email, un ticket, mi loggo su un portale e faccio una richiesta, poi parte una pratica di cui non conosco lo stato. Solo ad un certo punto qualcuno mi risponde qualcosa se sono fortunato dopo qualche giorno, se sono sfortunato dopo settimane. Mi è capitato a volte dopo settimane di ricevere email con scritto “La sua pratica è stata presa in carico”. E adesso che succede?
Ecco che entra in scena il grande assente: il fascicolo del cittadino, un’adorabile e seria idea, praticamente mai implementata dal grosso delle PA (personalmente ho interagito con tante PAC/PAL come cittadino, ma il fascicolo o era una cosa indecifrabile (un campo “stato” dentro una cosa che sembrava un’email copiata in un sistema di ticketing, o non c’era).
Ora che interagisco digitalmente ho bisogno di sapere a che punto è la mia pratica, soprattutto perché alcune pratiche possono fare la differenza tra la salute e la malattia, tra stare bene o stare male, tra mangiare o non mangiare, tra avere soldi o non averne.
Se la PA deve raggiungermi
Anche qui c’è una soluzione teorica: il domicilio digitale.
Cosa è il domicilio digitale? Un punto dove la PA può comunicare con il cittadino, ovvero se prima abbiamo visto come il cittadino parla con la PA (email pec spid firme CIE) ora vediamo il contrario.
Tecnologicamente ci sono diverse soluzioni: una pec, un’email, l’app IO. altro?
Manca la parte giuridica, si dice da anni. Sono convinto che la pandemia possa accelerare anche questa parte. Forza giuristi, diamo un’accelerata anche su questo.
Conclusioni
Riassumendo: non sono nato ieri, non penso si risolva tutto per l’estate e “solo perché è arrivata una pandemia” (scusate l’ironia dell’ultima frase): la PA riesce ad avere inerzia anche su quello. Del resto, c’è in campo un valore fondamentale: la salute. E non possiamo esimerci dal non pensare a noi stessi, ai nostri cari, ma anche a tutte le persone che possiamo danneggiare con comportamenti colpevolmente egoistici (lato business o personale).
Certo, dematerializzare costa. Ma è fondamentale: la sospensione del FOIA non vi dice niente? Sospendere la trasparenza perché i documenti sono in faldoni in ufficio? Non deve ricapitare alla prossima pandemia. Stiamo tutti dicendo di digitalizzare, ci sono delle bellissime iniziative (Solidarietà Digitale), ma visto che metteremo miliardi di euro per il lavoro, la salute, il sociale, perché non mettere qualche soldino anche per l’emergenza digitale? Anche perché se tutti possono fare tutto da casa, il rischio si riduce no?
Il tema non è solo tracciare gli spostamenti, ma come PA renderli non necessari. Anche perché se evito gli spostamenti come ad esempio Amministrazione Comunale perché sono digitale, aiuto i colleghi del sistema sanitario, perché evito il sovra caricamento degli ospedali.
D’altra parte, abbiamo anche visto delle novità nella PA interessanti (linee guida SPID, CIEId) e credo non si possa non accelerare i cambiamenti nella PA in questo periodo. È dovere di ognuno di noi che lavoriamo con la PA e nella PA.
E si può fare (si sono fatte cose che fino al 20 febbraio erano impensabili in pochi giorni, non vi dicono niente le ricette elettroniche?). Sì, quindi, si può fare.
Superiamo allora gli interessi specifici e passiamo agli interessi comunitari. Chiediamo all’Europa la solidarietà che è giusto ci dia, ma noi come lavoratori e cittadini ci stiamo mettendo l’intelligenza per ragionare su come la PA e il nostro lavoro (anche privato) deve cambiare in modo da ridurre le interazioni? O aspettiamo che il premier Conte risolva da solo i problemi del dipendente INPS, Poste, del barbiere, dell’estetista, del responsabile di anagrafe?
Ci sono tanti eroi in questo periodo evidenti, ma a tutti noi è chiesto eroismo.
Stare a casa è eroismo.
Lavorare in modo da digitalizzare con l’obiettivo di ridurre i contatti umani è eroismo.
Perché magari salveremo vite senza nemmeno saperlo, forse perché abbiamo digitalizzato un servizio, fatto mandare un’email, fatto fare una firma digitale e un figlio ha potuto fare un documento a una nonnina senza doverla portare a piedi in banca, in posta o in comune esponendola ad un rischio che le potrebbe costare la vita.