Lisbon council

PA locale, come coinvolgerla nella trasformazione digitale: lo studio

Da un rapporto del Lisbon Council sui problemi di dispiegamento e attuazione delle politiche di eGovernment in Europa, una proposta in sei punti programmatici per migliorare la collaborazione tra governi nazionali e locali. Con alcune riflessioni per un ruolo più ambizioso che possono svolgere le città europee, in rete

Pubblicato il 27 Mar 2018

Nello Iacono

Esperto processi di innovazione

digitale

Uno spunto interessante di analisi sulle politiche di sviluppo del digitale nella Pubblica Amministrazione europea è senz’altro quello offerto recentemente dall’analisi di David Osimo, del Lisbon Council, che approfondisce, in particolare, il tema del contributo necessario dei governi locali al successo delle strategie nazionali, analizzandone i problemi e indicando un possibile programma di rinnovamento dell’e-government in Europa. Analisi che si innesta con puntualità nelle riflessioni che è particolarmente utile fare in questo periodo di (speriamo breve) transizione governativa e dove il tema della governance territoriale delle politiche digitali è stato al centro dell’attenzione anche per il recente Accordo Quadro tra Regioni e Province Autonome con AgID per la Crescita e la Cittadinanza Digitale – Verso Gli Obiettivi Europa 2020.

L’Adoption Gap tra i servizi di eCommerce e quelli di eGovernment

Il punto di partenza dell’analisi di Osimo è dato dalla situazione ancora molto limitata di utilizzo dei servizi di eGovernment da parte dei cittadini, che nella media europea si attesta poco sopra il 30%, a fronte di un utilizzo dei servizi di eCommerce che ha raggiunto nel 2017 quasi il 58%, con una divaricazione abbastanza rilevante, anche se sostanzialmente invariata negli ultimi quattro anni.

Questo “adoption gap” nella situazione italiana è in rilevante aumento, a differenza della situazione europea: nel 2013 era infatti di 9 punti (19,7% eCommerce contro 10,3% eGovernment) mentre nel 2017 è raddoppiato, raggiungendo il 19% (32,2% eCommerce contro 13,3% eGovernment). In Italia, dove l’utilizzo dei servizi eGovernment è uno dei più bassi in Europa, il miglioramento dell’utilizzo dell’eCommerce procede con dinamiche che sembrano indipendenti dalle logiche di evoluzione dell’eGovernment, recuperando il terreno, anche se solo in parte dato il divario di partenza, nei confronti degli altri Paesi Europei.

Da qui l’analisi si snoda intorno alle motivazioni di questa difficoltà di incrementare il livello di utilizzo dei servizi di eGovernment in Europa, e ne vengono identificate tre principali:

  • la spinta dei governi (nazionali e locali) sul fronte della disponibilità dei servizi online più che sul loro utilizzo, e quindi una scarsa attenzione al coinvolgimento e al punto di vista dei cittadini;

  • un’attuazione ancora molto limitata dei principi “Once only” (i dati vengono forniti dai cittadini alle PA una sola volta, e non richiesti ad ogni transazione) e “Government as a Platform” (i servizi comuni e generali sono offerti da piattaforme nazionali e utilizzate dai governi locali, garantendo al cittadino servizi con omogenee modalità di interazione e stabili livelli di qualità);

  • una diffusione ancora parziale degli standard di interoperabilità a livello di infrastrutture e di dati (con una presenza di open data e API ancora non soddisfacente), rispetto alla quale senz’altro l’evoluzione dell’attuazione di eIDAS darà una spinta significativa (entro settembre 2018 è previsto che ogni Paese dichiari il proprio schema di attuazione).

I nodi della collaborazione sulla trasformazione digitale tra governo nazionale e locale

Avendo identificato la collaborazione tra livello governativo nazionale e locale come una della sfide principali (e dei requisiti essenziali) per l’attuazione delle politiche digitali europee, lo studio identifica l’Italia come uno dei Paesi in cui maggiormente questo problema si pone per la sua complessità, a causa della presenza di oltre 8000 comuni.

Non entrando qui nel dettaglio dell’analisi che viene fatta della situazione italiana (e che nel caso dell’ANPR sembra essere eccessivamente indulgente) mi sembra interessante ripercorrere i due principali nodi su cui si focalizza l’attenzione per il miglioramento della collaborazione tra il livello nazionale e quello locale in Europa:

  • le carenze nella sensibilità e nelle competenze ai diversi livelli dell’amministrazione rispetto al tema della trasformazione digitale (carenza che investe decision maker e dipendenti, anche nell’ambito del project management). Qui vengono presentati esempi di gruppi di lavoro costituiti con competenze esterne (vedi anche, recentemente, il team digitale del Commissario straordinario all’attuazione dell’Agenda Digitale) che hanno, a mio avviso, il pregio di mettere rapidamente in campo competenze nuove, e favorire processi in discontinuità, ma il difetto di essere temporanei ed essere percepiti come tali dal resto della Pubblica Amministrazione;

  • il basso livello di fiducia tra governo nazionale e locale a causa soprattutto di una scarsa stabilità delle strategie nazionali, che rendono difficile ai governi locali l’avvio di iniziative efficaci e profonde, e dall’altra parte (con evidenti correlazioni) rendono molto arduo ai fornitori di soluzioni la definizione di programmi di investimento e strategie di prodotto e di servizio che non siano di breve termine.

La proposta del Lisbon Council

Da qui la proposta di un programma in sei punti per migliorare il coinvolgimento dei governi locali nelle politiche europee e nazionali di trasformazione digitale che può essere così riassunto:

  1. coinvolgere in modo maggiore e più sistematico i governi locali nei programmi nazionali ed europei. Questo anche nel senso indicato dalla Dichiarazione di Tallin e nella logica secondo cui un principio come quello “Once only” può essere attuato solo sulla base della stretta integrazione tra livello nazionale e locale (dal punto di vista infrastrutturale, applicativo, dei dati, di organizzazione complessiva);

  2. usare i fondi strutturali per incoraggiare l’adozione locale dell’eGovernment, vincolandoli quindi in modo stretto a programmi locali concreti in linea con i programmi e le politiche nazionali;

  3. costruire ecosistemi, prevedendo interventi che spingano i diversi stakeholder alla collaborazione, anche promuovendo e diffondendo gli open standard, ed evitando dall’altra parte interventi che riducono lo spazio di visibilità dei governi locali e restringono gli spazi di mercato dei fornitori;

  4. avere politiche e programmi consistenti, stabili nel tempo, in modo da permettere alle aziende di definire programmi di investimento di medio e lungo termine e ai governi locali di impostare percorsi di trasformazione che possano mirare, grazie alla stabilità delle scelte nazionali, al completamento del cambiamento;

  5. investire in competenze e nuovi talenti, sia per portare gli attuali “civil servant” ad un livello adeguato per le richieste che sono poste dai cittadini all’amministrazione, sia per inserire nuove competenze e nuovi talenti nell’amministrazione;

  6. misurare, monitorare e valutare, per un sistema di monitoraggio effettivamente efficace, che non sia basato pertanto su assessment e auto-assessment ma su dati resi disponibili in tempo reale e ai diversi livelli amministrativi.

Alcune riflessioni conclusive

Le analisi e le proposte del Lisbon Council sono molto interessanti, soprattutto lì dove individuano un ruolo per i governi nazionali che è di spinta e coordinamento da una parte, di supporto e di fornitore di piattaforme nazionali oltre che di facilitatore dei processi di integrazione e interconnessione europei. Sono, forse, sul versante delle esigenze dei governi locali metropolitani, anche troppo timide.

Se è vero, infatti, che il cittadino può godere della trasformazione digitale solo se la vede applicata ai servizi pubblici locali e nella vota quotidiana, allora le città dovrebbero poter avere un ruolo riconosciuto di spinta, d’avanguardia, proprio perché più vicine alle esigenze specifiche della cittadinanza. Questo può significare, a livello europeo, prevedere uno spazio più ampio per il confronto e la definizione di politiche di trasformazione digitale delle città non subordinato a quello dei governi nazionali, ma parallelo, con una correlazione dinamica che consenta di orientare le iniziative nazionali e locali in stretta sinergia, e anche con geometrie di attuazione diversa.

Stabilite le regole di interazione, le infrastrutture e le piattaforme di base, si può pensare, semplificando, a strategie che non si declinino dal livello europeo a quello nazionale a quello regionale e quindi locale, ma che valorizzino il dinamismo locale dando corpo, in modo visibile anche nelle politiche e nell’utilizzo dei fondi, alla dimensione della rete delle città, espressione tangibile della cittadinanza europea, tanto più concreta quanto più supportata dal digitale.

Da questo punto di vista, ponendo lo sguardo sull’Italia, il citato e atteso Accordo tra AgID, Regioni e Province autonome, passo importante di attuazione del Piano Triennale, se ha il merito di avviare la concretizzazione del ruolo del “Soggetto aggregatore” e di definire un ruolo importante per le società in-house ICT, ha il limite di calarsi in una logica ormai logora che dimentica il ruolo propulsivo delle città metropolitane (e qui intendo le città capoluogo) e le vede soltanto come livello subordinato al livello regionale.

Il limite principale dell’Accordo è, così, non avere sciolto il tema della governance complessiva, posizionando in un unico disegno Regioni, Province Autonome, società in-house ICT, capoluoghi di città metropolitane, capoluoghi di aree vaste, mantenendo ambiguità e punti oscuri, oltre che trascurando uno dei principali temi della crescita digitale, ben evidenziato dal Lisbon Council: la necessità di costruire ecosistemi di innovazione, con un’enfasi tutta particolare per le correlazioni necessarie a livello territoriale tra le diverse tipologie di stakeholder. Non ultima quella delle start-up e delle piccole imprese di eccellenza, oggi in gran parte penalizzate dalle logiche nazionali di procurement che dovrebbero accompagnare la trasformazione digitale delle nostre pubbliche amministrazioni.

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