Il Governo, con le nomine dei sottosegretari del 12 giugno 2018, è nel pieno della sua configurazione e dei suoi poteri e quindi a questo punto deve definire le strategie concrete ed operative per attuare il programma (contratto) di “governo”. Anche per quanto attiene la trasformazione digitale: l’insieme dei processi di semplificazione e digitalizzazione per un passaggio paradigmatico verso amministrazioni moderne, trasparenti, semplificate, digitali, aperte, “tipiche” della società dell’informazione.
Trasformazione digitale vs. burocrazia
La trasformazione digitale è ancora oggetto di analisi, di convegni, di seminari, di timidi tentativi di attuazione e di slogan o proclami politico-istituzionali. Le burocrazie sono ancora contrassegnate da modelli degli anni settanta: gerarchiche, chiuse, molto attente alla forma, non attente alle esigenze dei cittadini, degli utenti, delle imprese; costose, con una organizzazione del lavoro “per pratiche”; con risorse umane scarsamente formate, con molta tecnologia informatica “sui tavoli”; con molta carta da gestire, da “passare”, da fotocopiare, da archiviare; con cicli burocratici senza senso e senza direzione, senza finalità (si opera per prassi remote e per tradizione orale).
Tutto ciò che è “quasi-impossibile” se non si semplifica
Il passaggio all’amministrazione digitale (dove si formano i documenti nativamente digitali, si presentano istanze solo in modalità digitale, ecc.) è “bloccato” su di un aspetto ineliminabile: la semplificazione amministrativa. Se non si semplifica non si riesce a trasformare la burocrazia in amministrazione digitale (l’art. 15 del Codice dell’amministrazione digitale in questo è molto chiaro e netto: prima si semplifica e poi si digitalizza). Ma se non si semplifica diventa “quasi-impossibile” attuare piani di trasparenza e anticorruzione (perché si richiede una analisi vera dei rischi e questa analisi è possibile solo attraverso la conoscenza delle procedure, dei procedimenti, delle attività e la loro conseguente semplificazione). Se non si semplifica diventa “quasi-impossibile” attuare il regolamento UE 679/2016 per il trattamento dei dati personali e la loro protezione: non si conoscono i trattamenti, non si rilevano i rischi da trattamento, diventa difficile “proteggere” i dati personali come patrimonio pubblico, come valore della persona (il tentativo è quello di continuare su di una finta e solo formale protezione dei dati). Se non si semplifica diventa “quasi-impossibile” garantire il diritto di accesso e di informazione (in una babele di dati, documenti, atti formati in una modalità “mista”, analogico-digitale) e la qualità dei servizi. Se non si semplifica non cambia l’organizzazione del lavoro (che opera in una perenne “complessità” che non ha ragione di essere). Il Governo è quindi chiamato ad intervenire pesantemente sul fronte della semplificazione amministrativa: le pubbliche amministrazioni (30.000 enti tra ministeri, regioni, comuni, province, scuole, ecc.) devono semplificare tutto il possibile (non ci sono limiti giuridici e normativi): iter delle attività, modulistica, tempistica, modalità di presentazione delle istanze, ecc. Con un progetto per una burocrazia digitale a supporto dello sviluppo socioeconomico ed amministrativo del Paese.
Regole tecniche aggiornate, lineari, chiare, applicabili
Sul versante del digitale dobbiamo ancora una volta rilevare (lo facciamo da anni ormai) che è necessario un indirizzo del Governo (senza commissari straordinari, che di straordinario non hanno fatto niente!) per “normalizzare” lo sviluppo dell’amministrazione digitale: è necessario avere a disposizione un sistema di regole tecniche aggiornate, lineari, chiare, applicabili. E quindi un piano nazionale di informatica che integri semplificazione e tecnologia. Un piano che sia espressione di un’Agid che finora è stato un ente con molte “sfumature di grigio” senza un ruolo determinante. Resta sullo sfondo un Codice dell’amministrazione digitale che andrebbe semplificato e ridotto a pochi articoli (di principio): oggi è un sistema misto di norme, di prescrizioni, di regole, di pie intenzioni, ecc.
Il Governo non può che fare un patto forte con Regioni, Comuni (ANCI), Province (UPI) per definire “cosa fare” e “come” sia per i processi di semplificazione sia per i processi di digitalizzazione: non basta creare o finanziare tante “piattaforme digitali” a livello regionale e poi? Le piattaforme (lo dice il termine) sostengono qualcosa (decisioni, procedure, procedimenti, attività, atti, documenti, dati, sistemi documentali, dati aperti, ecc.): è su questo “qualcosa” che è necessario operare. Anche per dare una risposta di ammodernamento ai cittadini che vivono la propria “burocrazia quotidiana” nei comuni tutti i giorni. Piattaforme digitali per farci cosa?
A ciascuno le sue responsabilità
Il futuro dell’amministrazione pubblica (oltre 3 milioni di pubblici dipendenti; un insieme di macchine burocratiche vecchie da rinnovare, da stravolgere, da rendere produttive) è ancora legato al passato: applicare veramente e definitivamente la legge 241/90. La necessità di cambiare è strettamente legata agli alti costi della burocrazia per i cittadini, i professionisti e le imprese oltre che per lo Stato. Diversi studi e ricerche hanno registrato costi per 30 miliardi di euro per adempimenti burocratici inutili, ridondanti, che ogni anno costituiscono un blocco allo sviluppo sociale ed economico del Paese. Non si può dare la responsabilità ai dipendenti pubblici che operano in modelli organizzativi datati. Il Governo deve definire una strategia di vero cambiamento. Il Parlamento deve fare la sua parte.