I ritardi sulla PA senza carta suggeriscono la necessità di attuare un cambio di passo sulla dematerializzazione, magari prevedendo un diverso calendario per le amministrazione centrali e gli enti locali (sull’esempio di quanto già avventuo con la fatturazione elettronica), e poi proseguire con un’attenta attività di monitoraggio e implementazione. Abbiamo già affrontato (qui) il tema della scadenza originaria (12 agosto 2016) entro la quale la Pubblica Amministrazione doveva effettuare lo switch off dalla carta al digitale. Poi è intervenuto in fretta e furia una richiesta di rinvio, che abbiamo commentato (qui), con la quale la Commissione Affari Costituzionali nel suo parare ha proposto al Governo una richiesta di sospensione degli obblighi relativi alle regole tecniche in materia di formazione, trasmissione, copia, duplicazione, riproduzione e validazione temporale dei documenti informatici, motivandola con la necessità di riscrivere le regole tecniche per le Pubbliche Amministrazioni per gestire esclusivamente e nativamente i documenti in digitale, a seguito dalla approvazione e pubblicazione del nuovo CAD. Purtroppo ad oggi non risulta che ci sia qualcuno al lavoro per aggiornare queste regole, e la scadenza indicata del 14 gennaio scorso è già passata e rischia di diventare un sine die…
Ancora una volta si è minata la credibilità di realizzare un’Agenda Digitale che scricchiola in continuazione, nonostante ci siano casi di eccellenza anche negli enti locali. Continuando su questa strada di rischia di allontanare l’obiettivo di avere una Pubblica Amministrazione più moderna, efficace ed efficiente con servizi che vengono richiesti, gestiti ed erogati completamente in digitale. E questo è un vero peccato perché, come è stato dimostrato con l’introduzione dalla fattura elettronica verso la PA, la Pubblica Amministrazione è un fattore abilitante importantissimo del sistema paese, anche per il settore privato oltre che per i cittadini!
Peraltro proprio su questa testata recentemente si è messa in dubbio la validità della proroga, in quanto sono pienamente in vigore le regole per la tenuta del protocollo informatico, e non solo per il “nucleo minimo”. Il nuovo CAD, codice dell’amministrazione digitale, è in vigore ed è una norma di rango superiore, e in tale normativa non ci sono riferimenti a rinvii o entrata in vigore posticipata, ancorchè molti commi del testo parlino delle regole tecniche (quasi 50!). Infine anche le regole relative alla conservazione digitale a norma sono pienamente efficaci ed in vigore e, nonostante alcune voci contrarie, sono chiare in ogni loro aspetto.
Allora cosa si potrebbe fare? Modificare questa situazione di stallo, attuando un deciso cambio di passo!
Bisognerebbe subito avviare i lavori del tavolo tecnico che aggiorni le regole, seguendo due indicazioni fondamentali:
1) strutturare un diverso calendario di decorrenza dell’obbligo, che tenga conto delle reali situazioni in cui la Pubblica Amministrazione si trova, specie i piccoli enti locali. Quindi partire subito con le PA centrali (Ministeri, Inps, Inail, Regioni….) e dopo un anno gli altri enti locali,
2) tenere conto delle normative europee, che hanno completato o stanno completando il loro iter di formazione (attualmente molto avanzato) e che avranno impatti rilevanti, basti pensare al Regolamento europeo 910/2014 cosidetto “eIDAS”.
Il primo punto del lavoro da fare è quello di far partire subito l’obbligo di gestire esclusivamente e nativamente i documenti in digitale per le grandi Pubbliche Amministrazioni, che sono già strutturate a livello tecnico e che hanno già avviato un percorso interno di formazione che ha portato il proprio personale ad essere pronto per gestire questo passaggio dalla carta al digitale. La loro evoluzione è partita da tempo, hanno avuto modo di pianificare gli investimenti, scegliere i fornitori, sviluppare i processi digitali e quelli analogici (anche ripensandoli) ed infine formare le proprie strutture operative.
E quest’ultima attività è stata molto importante perché quando si parte con una revisione di un processo organizzativo, specie cosi profondo ed incisivo, essa deve essere condotta tenendo conto sia della componente tecnologica sia di quella umanistica, incentivando e supportando l’evoluzione delle persone (e non solo delle macchine). Per fare un esempio attuale, la fattura è stato un elemento importante per l’avvio della digitalizzazione nelle Pubbliche Amministrazioni, ma non può e non deve essere l’unico tassello del mosaico, bisogna proseguire per permettere di realizzare tutti i benefici che la gestione digitale porta (basti pensare all’integrazione tra fatturazione e pagamenti). Deve essere affrontata e risolta, una volta per tutte, la revisione dei processi amministrativi per far si che la loro digitalizzazione possa essere avviata e conclusa.
Dopo un tempo ragionevole (un anno) dall’avvio del predetto obbligo per le grandi Pubbliche Amministrazioni, dovranno partire tutti gli altri enti locali utilizzando le soluzioni e le esperienze maturate da chi è già partito. Ovviamente è logico ipotizzare che questa successiva trasformazione venga accompagnata delle stesse grandi PA che potrebbero avere anche il ruolo di fornitori delle soluzioni informatiche e delle procedure per tutti gli altri enti locali.
Giova anche ricordare che il DPCM del 21 marzo 2013 fa riferimento alla normativa precedente al nuovo CAD, ed in particolare all’articolo 40 che dispone per le Pubbliche Amministrazioni “l’obbligo di formare gli originali dei propri documenti con mezzi informatici”.
E proprio in giorni scorsi un articolo, di Andrea Lisi e Francesca Cafiero su questa testata, sottolineava come il predetto decreto non intervenga sulla formazione dei documenti, occupandosi esclusivamente di individuare le modalità di conservazione di determinate tipologie documentali, che sono quindi eccezionali rispetto alla generalità dei documenti che hanno un rilievo pubblicistico, ed infatti il l’articolo 22, comma 5 del CAD parla di “particolari tipologie”.
Inoltre lo stesso articolo evidenzia la mancanza del fondamento giuridico del rinvio stante la cogenza dell’articolo 40 del CAD. E proprio da qui si può finire questa riflessione con un suggerimento: va ripensato immediatamente l’approccio che il legislatore (ma non solo) ha verso la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione.
E per farlo è fondamentale indichi il modo da cui partire nella prima fase della digitalizzazione: la rilevazione della reale situazione digitale in cui ogni Pubblica Amministrazione si trova, indipendentemente dalla sua dimensione quantitativa e qualitativa. Solo dopo questa analisi si avranno a disposizione gli elementi di base per scegliere correttamente cosa e come fare.
Passo successivo sarebbe quello di attuare un programma di monitoraggio dell’implementazione del digitale in Italia, che porterebbe ad avere questi vantaggi:
– sviluppo di un percorso personalizzato per ogni Pubblica Amministrazione che è autonoma nelle scelte, ma non nell’obiettivo da raggiungere,
– diretta responsabilità dell’ente pubblico, che sarà chiamato a fornire degli aggiornamenti periodici per permettere
– un’attività di monitoraggio e vigilanza da parte dell’Agenzia per l’Italia Digitale, che avrà la possibilità di intervenire nel caso in cui non sia rispettato il piano di sviluppo o sia rilevato un ritardo nella sua attuazione.
Un lavoro di tutti per avere i dati precisi di produttività, qualità e valore in aree e attività differenti delle singole Pubbliche Amministrazioni che poi possono essere messi in relazione ai dati ed alla performance di altri enti omologhi e comparabili. Se si vuole realmente migliorare la propria Pubblica Amministrazione ed i relativi servizi erogati, bisogna anche mettersi in discussione. Bisogna trovare, attraverso il confronto, gli stimoli e le idee per migliorare, e prendendoli come riferimento, aumentare i propri risultati (in termini organizzativi ed economici). In sostanza fai da te, ma confrontati e prendi come riferimento chi è più efficace.