Sono passati oltre 10 anni dall’invenzione della blockchain, la struttura dati che sta dietro a praticamente ogni criptovaluta. Ed ancora di più, se pensiamo che la blockchain si basa su idee che risalgono agli anni ’70. E a tutt’oggi, nonostante un hype infinito, una copertura mediatica eccezionale, un vero e proprio culto sviluppatosi intorno alle criptovalute, non esiste nessuna applicazione concreta in cui tale tecnologia ha dimostrato di essere oggettivamente utile.
Innanzitutto, le criptovalute medesime. Sorvoliamo sul fatto che la maggior parte dei seguaci del culto non sanno cosa sono e come funzionano, e molto probabilmente non si sognano nemmeno lontanamente di investire i propri averi in esse (e fanno bene). Ma una riflessione pacata e basata su dati oggettivi, e non su ideologie anarcolibertarie di stampo alt-right contro “le banche” e “i governi”, è necessaria.
È chiaro che forme di “denaro digitale” sono una cosa positiva ed un ingrediente fondamentale del nostro futuro. Ma il “denaro digitale” (che non è un’idea nuova) non deve necessariamente passare per una (specie di) “valuta” alternativa. Noi prendiamo un compenso in Euro, paghiamo le tasse in Euro, e la nostra vita finanziaria si svolge in Euro, non in Bitcoin, Ethereum, Litecoin, o quant’altro. E con chi sogna un futuro senza banche centrali e senza un governo della moneta non perdo tempo a parlare.
Esistono forme per lo scambio digitale di valore? Certo. Carte di credito, ad esempio. Carte di credito contactless. Apple Pay. Android Pay. In molti paesi del terzo mondo, in cui i servizi bancari non sono facilmente disponibili alla popolazione ma la telefonia cellulare si, ha preso piede un servizio, lanciato inizialmente da Vodafone in Africa, che permette di trasferire denaro e di svolgere servizi di microfinanziamento utilizzando un telefono cellulare, M-Pesa. M-Pesa non usa la blockchain.
“Ma sono centralizzate!” E allora?
LEGGI QUALI TUTELE PER CHI INVESTE IN BITCOIN
Rischio frodi
Riflettiamo cosa ci permette la “centralizzazione” e la presenza delle odiate banche e degli odiati governi nell’utilizzo di forme di denaro digitale. Se compro qualcosa con la carta di credito (con Apple Pay, con Android Pay, etc.) ho delle garanzie. Esistono delle leggi (in particolare le cosiddette leggi KYC, Know Your Customer, norme antiriciclaggio, norme a tutela del consumatore, etc.) e se io compro un bene con la carta di credito ed il bene non corrisponde al dovuto, posso cancellare la transazione. Chi scrive una volta ricevette un SMS dalla banca che segnalava l’acquisto di un biglietto d’aereo con la propria carta di credito, acquisto mai fatto. Nel giro di 2 minuti ho bloccato la transazione e la carta di credito, senza perdere un centesimo dal mio conto. Se un negoziante viene pagato mediante una carta di credito, ha garanzia di copertura. Questo si può fare grazie al fatto che c’è una struttura centralizzata, che c’è un controllo e che non c’è alcuna forma di anonimato (anonimato e privacy sono due cose diverse, attenzione). Esistono degli standard di auditing a tutti i livelli (non danno una carta di credito a tutti, ad es.; ma anche un’organizzazione che mette su un istituto finanziario deve fornire delle garanzie), e se qualcosa va storto – cosa che ovviamente può accadere ed accade -, se qualcuno cerca di barare, ci sono meccanismi di controllo e di sanzione. Ciò conviene a tutti.
Rischio fallimento
Nel meraviglioso mondo delle criptovalute, niente di tutto questo. Quando nell’estate del 2016 l’exchange di criptovalute Bitfinex è stato hackerato perdendo 73 milioni di dollari, ha fatto un haircut del 36% su tutti gli asset depositati nella piattaforma da parte di tutti gli utenti. I conti bancari sotto i 100 mila euro come è noto sono protetti (non venite a parlarmi di azioni o obbligazioni: quelli sono dichiaratamente investimenti a rischio, e comunque largamente regolamentati): ma si sa, le banche sono cattive.
Andatelo a dire – che le banche sono cattive – a chi aveva degli asset su MtGox, che alla sua epoca d’oro gestiva il 70% di tutte le transazioni in Bitcoin: 850 mila bitcoin scomparsi nel nulla e la bancarotta.
O parliamo di Bitconnect, la piattaforma dai guadagni facili mediante Bitcoin come l’ha chiamata La Stampa. Qualche recente screenshot dal Reddit di Bitconnect vi dà l’idea di cosa è successo qualche settimana fa.
Consumi eccessivi
E sopra tutto questo, ricordiamo che se si dovesse utilizzare la blockchain per gestire, ad es., le transazioni di Visa, sarebbero necessarie migliaia di centrali nucleari solo per alimentare i server da utilizzare per il mining, transazioni che invece che prendere qualche secondo ad essere validate prenderebbero dei giorni (questa è la situazione attuale: certo ci può essere un miglioramento tecnologico, ma recuperare svariati ordini di grandezza in termini di efficienza non è compito da poco). Per non parlare delle commissioni. (E no, la Lightning Network è solo un’idea, non c’è nulla di concreto).
Pericoli da smart contract
Mi riesce difficile parlare della utilità di cose come gli smart contracts. Scritti in software, codificati sulla blockchain di Ethereum, che si realizzano automaticamente e senza possibilità di discussione essendo codice. Bene, queste vere e proprie doomsday machines del mondo degli affari, hanno una ragione d’essere per qualcun altro che non sia uno degli Stranamore della criptofinanza? Beh, il codice può avere dei bug, ovviamente. E la legge di Murphy ci dice che ciò che può accadere, accade. E infatti. Ma mentre un contratto normale lo puoi discutere in tribunale, uno smart contract è, appunto, una doomsday machine e accade ineluttabilmente. Ai sostenitori di tale forma di contratto suggerisco di rivedere il noto film di Kubrick con il grande Peter Sellers -_Ovvero:_come_ho_imparato_a_non_preoccuparmi_e_ad_amare_la_bomba .
Dati falsi
Sono davvero non falsificabili i dati contenuti in una blockchain? E se qualcuno ci mette dei dati falsi? Se restiamo nel recinto delle cose “virtuali”, forse, ma la blockchain ad un certo punto entra in contatto col mondo reale. E l’informazione introdotta erroneamente la devo necessariamente tenere a vita? Devo tenere traccia perpetua di ogni eventuale modifica? Che ne è della promessa di decentralizzazione se l’intero ecosistema delle criptovalute è ricentralizzato presso un numero limitato di exchanges su cui non si effettua alcun auditing e la cui unica garanzia di liquidità è la parola dei gestori, e presso un piccolo numero di organizzazioni dedicate al mining, attività sempre più costosa in termini di risorse di calcolo e quindi anche energetiche? Un po’ di riflessione critica sarebbe davvero necessaria.
P. S. – Non sono entrato, per svariate ragioni, in alcune questioni molto importanti. Ad esempio, se e come qualcuno interviene, o sta intervenendo, sulla valutazione del Bitcoin iniettando (pseudo-)contante nella forma di criptovalute pegged. Se tali criptovalute pegged ad una valuta tradizionale – che allora serve! – siano o non siano un pericolo mortale per l’intero ecosistema. Se la ricchezza in Bitcoin – ed altre criptovalute – sia reale: se sia possibile, cioè, to cash out, incassare il contante e goderselo piuttosto che continuare a Hold (come dice uno dei meme della subcultura delle criptovalute), cioè a conservare gli asset in attesa della caduta delle banche centrali e dei governi: va bene, qui siamo entrati nel delirio.