Le criptovalute, sempre più numerose e sempre più di interesse a livello globale, stanno incentivando la De-Fi, la finanza decentralizzata, ma al G7 dello scorso ottobre si è parlato anche di CBDC, Central Bank Digital Currency, la possibilità di emettere criptovalute a cura delle banche centrali. Ma cosa prevede la normativa attuale?
Criptovalute: la normativa e i rischi
Le criptovalute rappresentano senza dubbio un fenomeno in continua espansione che, esaminando le ultime tendenze a livello globale, non pare destinato ad una imminente battuta d’arresto. A ciò non corrisponde tuttavia un’evoluzione anche dal punto di vista normativo.
Prendendo in considerazione l’Italia, il contesto giuridico attuale, in cui le criptovalute vengono emesse e messe in circolazione, viene anzi considerato anacronistico: l’assenza di una disciplina puntuale non viene considerata in grado di rispondere adeguatamente alle esigenze di tutela di consumatori e investitori.
Permangono infatti i rischi di perdite economiche connesse sia alle fluttuazioni di valore a cui, come si è visto, si prestano le criptovalute, ma anche ad un’eventuale cessazione delle attività dei gestori delle piattaforme di exchange o delle piattaforme su cui vengono conservati i wallet. Piattaforme che ad oggi non sono regolate e che a volte fanno venire dubbi sulle loro sedi effettive.
L’assenza di intermediari renderebbe anche difficoltoso promuovere azioni in caso di controversie, non potendo disporre di rimedi immediati. Inoltre, l’anonimato che caratterizza le criptovalute non scongiura il rischio di impieghi illeciti.
Non mancano comunque iniziative che dimostrano l’attenzione del legislatore e delle istituzioni nei confronti delle criptovalute, con interventi in settori specifici.
Tra questi, assume particolare importanza l’attenzione rivolta alle valute virtuali nell’ambito delle misure volte alla prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, che in Italia si fonda sul D. Lgs. 231/2007.
L’applicazione di obblighi antiriciclaggio anche in materia di criptovalute può essere riscontrata anche oltreoceano, come ad esempio negli Stati Uniti, che hanno inoltre disciplinato le criptovalute con misure di natura fiscale equiparandole ad un bene su cui esercitare il diritto di proprietà, da dichiarare integralmente anche a fini fiscali.
Gli Stati aperti alle criptovalute sono sicuramente molti, ma non manca chi invece assume un atteggiamento fortemente repressivo, come dimostrato dall’esperienza della Cina, che ha vietato la circolazione di criptovalute, in quanto considerate attività finanziarie illegali.
Il ruolo delle criptovalute nelle obbligazioni
Le criptovalute vengono detenute principalmente a scopo di investimento, per acquistarle e rivenderle al fine di ottenere profitti sulla base delle relative oscillazioni di valore, tanto che sono state assimilate agli strumenti finanziari, oppure come mezzo di scambio, ad esempio nell’ambito della compravendita di beni e servizi.
Si parla infatti di DeFi (Decentralized Finance) o finanza decentralizzata, quindi dell’organizzazione di servizi, simili a quelli bancari tradizionali, su infrastrutture che presuppongono l’assenza di ordinamenti – come appunto la blockchain – o che siano comunque meno centralizzate rispetto al sistema bancario come fino ad oggi conosciuto. La DeFi si regge sulle criptovalute e sulle blockchain che supportano gli smart contract.
Tuttavia, le criptovalute non devono essere confuse né con forme digitali della moneta avente corso legale in un determinato Stato, né con i mezzi di pagamento elettronici di cui ci avvaliamo normalmente, benché ne condividano il carattere dematerializzato. Da ciò discendono conseguenze anche in materia di adempimento delle obbligazioni.
Nel nostro ordinamento solo le monete aventi corso legale sono considerate per legge un valido mezzo di estinzione delle obbligazioni di natura pecuniaria: ai sensi dell’art. 1277 c.c., infatti, “i debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale”.
Il creditore, quindi, non potrebbe legittimamente rifiutare un adempimento effettuato dal debitore con moneta avente corso legale, proprio in forza dell’efficacia riconosciuta dalla legge a tale moneta, costituendo anzi illecito la condotta contraria.
Per quanto riguarda invece le criptovalute, benché le parti possano liberamente accordarsi in tal senso, in assenza di uno specifico accordo, il debitore non può in alcun modo opporsi all’eventuale rifiuto del creditore di riceverle in pagamento.
Il ricorso a criptovalute nell’ambito delle transazioni mantiene dunque una base esclusivamente volontaria, benché, di regola, lecita.
Criptovalute: cosa sono e come si usano
La circolazione delle criptovalute è in netta crescita e il valore dei Bitcoin, la criptovaluta creata da Satoshi Nakamoto tra il 2008 e il 2009, ha superato la soglia dei sessantamila dollari, risultando ora molto appetibili per gli investitori più istituzionali.
Lo scorso settembre El Salvador è divenuto il primo paese ad adottare i Bitcoin come valuta legale e, nei primi giorni di ottobre, sulla Borsa di New York sono comparsi due exchange-traded fund (Etf) sempre su Bitcoin (ProShares Bitcoin Strategy Etf e il Valkyrie Bitcoin Strategy Etf). Da questa parte dell’oceano, la vicina Svizzera sta valutando la possibilità di inserire la criptovaluta in Costituzione.
Le criptovalute, secondo la definizione più comune, sono valute esclusivamente virtuali che costituiscono una rappresentazione digitale di valore e che di regola operano attraverso la tecnologia blockchain, ossia quella “catena di blocchi” che assicura l’immutabilità dei dati immagazzinati al suo interno, nonché automaticità nelle transazioni, che possono pertanto avvenire in totale assenza di intermediari, anche a vantaggio di una maggiore celerità delle stesse.
Il termine, dato dalla combinazione delle parole “cripto” e “valuta” individua quindi una valuta “nascosta”, in quanto intellegibile unicamente attraverso un codice informatico, che si serve appunto della crittografia.
Le criptovalute vengono di regola emesse da soggetti privati in modo decentralizzato e, per tale motivo, non vengono sottoposte – ad oggi – al controllo di autorità centrali o comunque di autorità pubbliche, che ne potrebbero garantire la stabilità di valore nel tempo. Esse sono invece soggette ad oscillazioni di valore influenzate dal mercato, nonché dall’incontro della relativa domanda e offerta.
Infatti, non sempre vengono detenute come mezzo di scambio, bensì a scopo di investimento.
Ad ogni modo, trattandosi di valute non “reali” ma virtuali, che non hanno un corrispondente formato cartaceo, una volta acquistate attraverso apposite piattaforme di scambio, cd. exchange, vengono mantenute e scambiate attraverso portafogli digitali, chiamati anche wallet.
Central Bank Digital Currency: cosa sono e cosa comportano
L’esigenza di adottare regole uniformi tra i diversi Stati è stata avvertita al fine di garantire una maggiore trasparenza e certezza di tutela.
A livello europeo è infatti stata presentata una proposta di regolamento che si pone l’obiettivo di disciplinare con medesime regole tra gli Stati membri tutte le cripto-attività non soggette alla disciplina dei servizi finanziari, ossia il Regolamento “Markets in Crypto-Assets” (MiCa).
Parallelamente alla disciplina delle criptovalute attualmente in circolazione, le istituzioni si sono anche interrogate in merito all’opportunità di emettere criptovalute in modo centralizzato, superando quindi il carattere decentralizzato che contraddistingue quelle finora emesse.
Si parla in questo caso di CBDC (Central Bank Digital Currency): il tema è stato affrontato al G7 di Washington nell’ottobre 2021. Nel corso del summit sono stati fissati tredici principi che le autorità centrali dovranno tenere debitamente in considerazione in caso di emissione di valute digitali a livello centrale.
Si tratta in particolare di valori eterogenei, tra cui si collocano la stabilità monetaria, la concorrenza, la mitigazione del rischio di impiego delle criptovalute per scopi illeciti, l’inclusione finanziaria, ma anche la sostenibilità ambientale e lo sviluppo internazionale.
Dall’emissione di criptovalute da parte di banche centrali, discenderebbe il riconoscimento delle stesse come moneta avente corso legale, con la conseguenza che potrebbero validamente essere impiegate nell’ambito dello scambio di beni e servizi, anche prescindendo da uno specifico accordo delle parti sul punto, come per l’Italia dispone l’art. 1277 c.c.. Inoltre, dipendendo da un’autorità centrale, risulterebbero mitigati i rischi legati alle oscillazioni di valore.
Il contesto giuridico è quindi sicuramente destinato a mutare seguendo l’evoluzione digitale che ormai caratterizza molteplici settori.