Il panorama delle criptovalute è molto vasto e non si esaurisce nel Bitcoin, ma si articola in una moltitudine di crypto asset ciascuno diverso dall’altro.
Per esempio, con le stablecoin, la volatilità si attenua pur conservando caratteristiche proprie delle criptovalute, come la trasparenza e la rapidità delle transazioni.
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Si tratta infatti di crypto asset creati proprio allo scopo di mitigare le incertezze legate alla volatilità delle criptovalute che è non solo sottratta al controllo, ma in certi casi è talmente elevata da renderle inadeguate come mezzo di scambio.
Il meccanismo alla base delle stablecoin è molto diverso da quello dei Bitcoin. Vediamo.
La volatilità del Bitcoin
La volatilità è un indicatore finanziario che esprime l’ampiezza e la frequenza delle variazioni di un titolo nel tempo. Applicando questo concetto strettamente finanziario alle criptovalute, il Bitcoin è intrinsecamente volatile, tanto che a fronte delle numerose oscillazioni di valore cui è andato incontro sin dalla sua creazione, risalente al 2009, il suo andamento è stato descritto spesso assimilandolo a quello delle montagne russe.
Dalla volatilità del Bitcoin discende quindi un’opportunità di guadagno tanto quanto un rischio di subire ingenti perdite, soprattutto se non si dispone di strumenti adeguati in grado di prevederne l’andamento, che comunque mantiene sempre un certo grado di incertezza.
Le oscillazioni del Bitcoin, ossia i rialzi e ribassi di valore, infatti, non solo sono frequenti, ma anche molto repentini. L’evoluzione del Bitcoin parla da sé: in un solo decennio, partendo da un valore iniziale di 0,01 dollaro, il Bitcoin ha raggiunto cifre davvero importanti, addirittura con un picco di oltre 67.000 dollari, che sicuramente ha contributo ad incrementare la popolarità delle criptovalute a livello globale.
Se da un lato il Bitcoin è in grado di esercitare un’enorme attrattiva per gli speculatori anche grazie alla volatilità, dall’altro, si ritiene non si presti a valere da efficace mezzo di scambio e, quindi, di pagamento.
Per comprenderne i motivi, è sufficiente ricordare che la prima transazione in Bitcoin avvenuta il 22 maggio 2010, è consistita nell’acquisto di due pizze da Domino’s Pizza per 10.000 Bitcoin, del controvalore, quel giorno di 41 dollari.
Tale data è ricordata, per i più, come il “Bitcoin Pizza Day” o l’evento come le “pizze di Lazslo” dal nome del ragazzo che le acquistò nel ristorante della Florida.
Visto l’oggetto dell’operazione, questa cifra già allora poteva essere considerata importante, ma a posteriori risulta certamente folle prendendo in considerazione il valore assunto dal Bitcoin nel tempo: quelle stesse pizze sarebbero state acquistate infatti per diversi milioni di dollari.
Le stablecoin: cosa sono e quali sono le differenze con i Bitcoin
Il valore del Bitcoin dipende esclusivamente dal mercato e quindi dalla relativa domanda e offerta. Bisogna infatti pensare al Bitcoin come ad una risorsa limitata essendone disponibile un numero ben definito, per cui all’aumentare della domanda di mercato ne aumenta anche il valore, così come al diminuire della domanda diminuisce anche il suo prezzo, secondo una logica di diretta proporzionalità.
Le stablecoin sono invece token che, come ci indica il termine “stable”, sono tendenzialmente stabili e non subiscono le oscillazioni che tipicamente si registrano con il Bitcoin, non risentendo delle dinamiche di domanda e offerta presenti sul mercato.
Sono state create apposta con questa funzione e ciò risulta possibile in quanto, differentemente dai Bitcoin, le stablecoin sono ancorate ad un bene, di cui costituiscono la rappresentazione digitale, seguendone anche le variazioni.
Tali beni, almeno di regola, sono a loro volta mezzi di scambio, il cui valore è controllato da una struttura a livello centrale, per cui le oscillazioni possono certamente esistere, ma sono contenute, in quanto avvengono secondo un tasso di cambio fisso.
Nell’ambito della macrocategoria delle stablecoin, si possono però individuare diverse tipologie di asset. Più nel dettaglio, le stablecoin possono essere classificate come segue:
- stablecoin ancorate a valuta fiat;
- stablecoin ancorate a critpovalute;
- stablecoin algoritmiche.
Stablecoin ancorate a valuta fiat
Innanzitutto, la valuta fiat altro non è che una valuta a corso legale. Ancorare la criptovaluta ad una moneta ufficiale significa garantirne alla prima la stabilità di valore nel tempo, poiché la seconda è controllata dalle banche centrali. In particolare, ogni token creato è garantito da una moneta in valuta ufficiale, tipicamente il dollaro, che viene depositato, rappresentando così la garanzia collaterale di valore del token. Per citare un esempio, una delle stablecoin più utilizzate è Theter (USDT), che ancorata al dollaro, mantiene un rapporto che si attesta ad 1:1.
La valuta fiat può essere sostituita anche da altri asset, tra cui si collocano materie prime e metalli preziosi. Il funzionamento in tali casi è analogo a quello esaminato poc’anzi, in quanto i token emessi vengono collegati ad una quantità determinata dello specifico asset, conservato e controllato periodicamente. Per esempio, Digix Gold Token (DGX) è una stablecoin ancorata all’oro.
Stablecoin ancorate a valute digitali
Come visto, astrattamente, alla base delle stablecoin possono essere posti i beni più vari, purché sia assicurata la stabilità di valore. Ci sono così progetti di stablecoin ancorate a criptovalute, in cui non vi sono beni fisici a fungere da garanzia dei token emessi, bensì altre criptovalute, che assumono quindi la funzione di collaterali. In questi casi, dal momento che le criptovalute sono per natura volatili, le stablecoin sono garantite da una riserva di criptovalute in numero superiore a quello dei token emessi, così da far fronte ad eventuali oscillazioni di valore.
Stablecoin algoritmiche
Le stablecoin appena esaminate si fondano su un sistema che assicura la stabilità e sicurezza come quello tipicamente fornito dalle banche centrali, verso il quale è necessario nutrire fiducia. Una delle maggiori criticità connesse a questo modello è rappresentato dalla assenza di trasparenza da cui possono derivare abusi.
Con le stablecoin algoritmiche il sistema diventa invece decentralizzato e non “collateralizzato” in quanto non sono presenti coperture: alla base non vi è un bene né “reale” né “virtuale”, sotto il controllo di un soggetto o un ente, ma un algoritmo che opera in automatico servendosi di smart contract. Con questo meccanismo viene fissato un valore di riferimento, che di regola è rappresentato dal dollaro, con la conseguenza che se il prezzo della stablecoin cresce e supera il valore soglia, grazie all’algoritmo, verranno emessi automaticamente nuovi token.
Sebbene l’obiettivo sia il medesimo delle stablecoin tradizionali, ossia mantenere la stabilità di prezzo rispetto ad una valuta ufficiale, per quelle algoritmiche la stabilità è appunto controllata da algoritmi che si fondano a loro volta su incentivi di mercato.
Per comprenderne il funzionamento si può prendere in considerazione TerraUSD (UST), una stablecoin algoritmica che opera su Ethereum con l’obiettivo di conservare un valore pari ad un dollaro, ma senza che ci sia una corrispondente riserva depositata a garanzia.
Per mantenere il prezzo si serve invece di un secondo token definito “di governance” – Terra (LUNA) – in modo tale che lo scambio tra questi due token possa bilanciare il prezzo e mantenerlo stabile.
Si è osservato che le stablecoin algoritmiche si prestino ad utilizzi in ambito De-Fi, ma attenuino le garanzie di stabilità per cui a ben vedere sono state pensati originariamente questi token. Infatti, le maggiori critiche evidenziano la fragilità di un sistema fortemente legato agli interessi personali dei trader, in uno stato di costante vulnerabilità che potrebbe nuovamente aprire le porte alla volatilità.
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