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Criptovalute: quando si fermerà la caduta? Variabili e rischi

La crisi economica che la guerra profila all’orizzonte di medio termine contribuisce a rafforzare l’incertezza che attanaglia le quotazioni di bitcoin e delle criptovalute. Sarebbe auspicabile, in questa fase, introdurre una serie di attività regolatorie sulle monete cripto, al fine di ridurre la loro volatilità

Pubblicato il 18 Mag 2022

Mario Dal Co

Economista e manager, già direttore dell’Agenzia per l’innovazione

Crypto-Investing-2021-GP-2

La caduta del 54% della quotazione di bitcoin tra il valore massimo del 2021 (7 novembre) e il minimo del 2022, (ultimo dato disponibile alla data in cui scriviamo questa nota è l’8 maggio) è un crollo che induce molti commentatori a temere o a preannunciare con qualche soddisfazione, la crisi definitiva delle criptovalute.

I responsabili della politica monetaria, come Jannet Yellen presidente della Federal Reserve, premono invece per giungere alla regolazione delle valute digitali che prendono il nome di stablecoin, in quanto sono ancorate in modo diretto o indiretto alle valute ufficiali (o monete fiat).

Cosa significano il crollo dei bitcoin e il caso TerraUSD: indicazioni utili

L’attenzione delle autorità sulle stablecoin

L’attenzione delle autorità si concentra sulle stablecoin per la semplice ragione che, essendo ancorate alle monete gestite e regolate dalle banche centrali, sono in grado di interferire con l’attività di governo della base monetaria e con le politiche di stabilizzazione finanziaria delle autorità, che oggi non possono intervenire sulle stablecoin.

Le stablecoin, possono infatti svolgere funzioni simili a quelle delle monete fiat, in particolare regolare le transazioni ossia fungere da mezzo di pagamento, cosa può essere svolta dalle criptovalute basate solo sulle regole di emissione e sulle blockchain, come bitcoin. Solo con molta maggiore difficoltà. A bitcoin e alle altre criptovalute classiche rimane prevalentemente una funzione non monetaria, quella di deposito di valore, come un investimento altamente speculativo dotato di elevato rischio in ragione della loro volatilità. In questo senso si sono mosse tutte le autorità monetarie più importanti, con due obiettivi.

Il primo è di allontanare le criptovalute dalla base monetaria, in modo che le loro oscillazioni non influiscano negativamente sul governo dell’offerta di moneta e sulla stabilità finanziaria del sistema. Il secondo è di poter sottoporre i guadagni speculativi alla tassazione degli altri titoli finanziari, che non sarebbe possibile fare se si trattasse di moneta.

Una fase critica di lunga durata

Ma, se le criptovalute sono caratterizzate da una intrinseca volatilità, che le rende forme di investimento ad alto rischio, che cosa è successo negli ultimi mesi, a cavallo tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022? Quale nuovo profilo si affaccia all’orizzonte, che gli investitori non riescono ancora a delineare e che li fa assistere impotenti a oscillazioni così forti da far prevedere la fine delle criptovalute?

Oggi, il problema delle criptovalute è la lunga durata della fase di elevata volatilità che esse stanno attraversando e che è ben leggibile nella figura 1, costruita con i dati Yahoo-Finance.

Tale fase è molto probabilmente il risultato dell’uscita dalla ubriacatura determinata dalla pandemia, quando i titoli tecnologici del Nasdaq e parallelamente, ma in modo più accentuato bitcoin, sono esplosi verso l’alto a livelli mai raggiunti prima. Ricordiamo l’effetto dei lock-down sull’e-commerce, sull’intrattenimento online, sulla pubblicità on-line a scapito di quella sulla carta stampata, sul telelavoro e sulla teledidattica, tutti fenomeni che hanno portato enormi guadagni di capitale per le aziende big tech che gestiscono le grandi piattaforme internet o che forniscono i terminali con cui si accede.

Finita quell’ubriacatura, già a fine 2021 le quotazioni del Nasdaq hanno cominciato a contrarsi, e così quelle delle big tech, con perdite consistenti. Erano cambiate le prospettive a medio termine per il settore tecnologico, anche a causa delle difficoltà di approvvigionamento dei semiconduttori, che sono la “materia prima” per lo sviluppo dei servizi on line e per la diffusione dei terminali intelligenti.

Questo primo crollo poteva rappresentare uno dei periodici aggiustamenti, sia del Nasdaq, sia di bitcoin, che spesso variano in modo correlato tra di loro, con bitcoin che amplifica le oscillazioni del Nasdaq.

Ma a febbraio è intervenuta l’aggressione della Russia all’Ucraina, che ha creato una nuova fonte di instabilità nelle aspettative degli investitori.

Variabilità e rischio

Dal grafico, che consente di confrontare l’andamento del Nasdaq (in rosso) con quello di bitcoin (in blu), è possibile trarre alcune indicazioni che invitano alla prudenza nella valutazione della fase ribassista che stiamo attraversando.

Troppe volte, infatti, nei momenti di drammatico ridimensionamento dei valori di bitcoin e delle altre criptovalute, molti osservatori si fanno trascinare in giudizi affrettati sulla crisi irreversibile delle criptovalute, salvo poi essere clamorosamente smentiti al momento della risalita, in genere rapida e apparentemente senza spiegazioni, delle quotazioni.

Nel periodo considerato possiamo leggere diverse fasi cicliche nelle quali i due indici hanno andamenti il più delle volte sfasati: la prima comprende una decina di mesi del 2017, da febbraio a dicembre, con una crescita di oltre 20 volte del valore di bitcoin, con una formidabile crescita dell’indice di bitcoin rispetto al Nasdaq che consolida solamente (!) una crescita del 150%.

La seconda fase dura per tutto il 2018 e rappresenta un aggiustamento feroce verso il basso delle quotazioni di bitcoin, che perde l’80% del valore raggiunto a fine 2017, mentre il Nasdaq nei primi mesi continua a crescere e poi cede per ritornare sostanzialmente ai valori di fine 2017.

L’indice di volatilità (la linea in nero), segnala un forte aumento della variabilità di bitcoin in questa fase in cui avviene il nuovo balzo in avanti di bitcoin che risale di quasi il 200% nel primo semestre del 2019, mentre il Nasdaq sale di un 25% circa.

La seconda metà del 2019 vede una riduzione del valore di bitcoin e una crescita del Nasdaq, bruscamente interrotta dall’esplosione della pandemia a marzo 2020. Ma già a fine 2020 le quotazioni di bitcoin sono risalite ai livelli del picco di metà 2019 per bitcoin, e li superano ampiamente per il Nasdaq, che ha già il vento in poppa dell’effetto lock down sulle quotazioni di big tech. Nei 12 mesi da ottobre 2020 a ottobre 2021 il Nasdaq aumenta del 40% mentre bitcoin entra in quella fase di formidabile instabilità in cui ancora si trova: dai 10.000 dollari di ottobre 2020 sale a 60.000 di marzo 2021, precipita a 30.000 a luglio, risale a 64.000 a novembre, precipita, come abbiamo visto a meno della metà di questo valore all’inizio di maggio 2022.

In questo violento ciclo, l’andamento di bitcoin sembra anticipare ed esasperare quello del Nasdaq, come se gli investitori in bitcoin avessero una sensibilità accentuata nella percezione dei rischi che si profilano all’orizzonte di questo ciclo così drammatico.

La regolamentazione delle criptovalute

La difficoltà nel fare previsioni deriva dalla perdurante volatilità della quotazione di bitcoin. Essa rimane estremamente elevata, mentre di solito la volatilità tende a ridursi nelle fasi in cui la quotazione imbocca un sentiero di ripresa o uno di contrazione. Ma se guardiamo all’andamento di lungo termine, vediamo che rispetto al Nasdaq, bitcoin mantiene un valore di lungo periodo nettamente superiore, anche in questo momento di forte contrazione.

La crisi economica che la guerra profila all’orizzonte di medio termine contribuisce a rafforzare l’incertezza che attanaglia le quotazioni di bitcoin e delle criptovalute, anche perché gli stati che avevano deciso di riconoscere a bitcoin lo statuto di valuta legale, come il Salvador, avevano avviato un programma di installazione di ATM dedicati alla criptovaluta, in modo da renderla più “liquida” anche per piccoli acquisti. Ma le installazioni si sono fermate a causa della perdita di valore di bitcoin, poiché nessuno lo vuole vendere a questi livelli di capitalizzazione.

Il caso stablecoin

La vicenda TerraUsd è particolarmente significativa perché ha denunciato come gli stablecoin sono stabili solo di nome ma non di fatto; soprattutto se – come TerraUsd – provano a mantenere il proprio vincolo al dollaro non come beni relai ma con lavori di ingegneria finanziaria algoritmica legati ad altre cripto.

Potrebbe andare anche peggio: se crollasse lo stablecoin Tether, il più grande al mondo.

L’offerta circolante di Tether è passata da circa 83 miliardi di dollari una settimana fa a meno di 76 miliardi di dollari martedì, secondo i dati di CoinGecko.

Una cosiddetta stablecoin dovrebbe valere sempre 1 dollaro, ma giovedì scorso il suo prezzo è sceso fino a 95 centesimi in seguito al panico per il crollo di un token rivale chiamato terraUSD.

La maggior parte delle stablecoin è sostenuta da riserve fiat, con l’idea di avere una garanzia sufficiente nel caso in cui gli utenti decidano di ritirare i propri fondi. Ma un nuovo tipo di stablecoin “algoritmici” come terraUSD (UST), cercano di basare il loro ancoraggio al dollaro su un codice.

Tether prima dichiarava che tutti i suoi token erano sostenuti 1 a 1 dai dollari depositati in banca. Tuttavia, dopo un accordo con il procuratore generale di New York, la società ha rivelato di essersi affidata a una serie di altri asset – tra cui una forma di debito a breve termine e non garantito emesso dalle aziende – per sostenere i suoi token.

La situazione ha posto nuovamente sotto i riflettori il tema delle riserve di Tether. Quando Tether ha reso nota l’ultima volta la sua ripartizione delle riserve, i contanti costituivano circa 4,2 miliardi di dollari delle sue attività. La stragrande maggioranza – 34,5 miliardi di dollari – consisteva in buoni del Tesoro non identificati con scadenza inferiore ai tre mesi, mentre 24,2 miliardi di dollari erano costituiti da carta commerciale.

Queste “attestazioni” prodotte da Tether ogni trimestre sono firmate da MHA Cayman, una società con sede alle Isole Cayman che ha solo tre dipendenti, secondo il suo profilo LinkedIn.

Tether ha affrontato ripetute richieste di revisione completa delle sue riserve. Nel luglio 2021, la società ha dichiarato alla CNBC che ne avrebbe prodotto uno nel giro di “mesi”. Non l’ha ancora fatto. Rispondendo a un utente di Twitter che ha esortato Tether a rilasciare un audit completo, Paolo Ardoino, chief technology officer della società, ha insistito sul fatto che il suo token è “pienamente supportato” e ha riscattato 7 miliardi di dollari nelle ultime 48 ore.

“Possiamo continuare se il mercato vuole, abbiamo tutta la liquidità per gestire grandi riscatti e pagare tutti 1 a 1”, ha detto.

In un altro tweet, Ardoino ha detto che Tether sta ancora lavorando a una revisione contabile. “Speriamo che le autorità di regolamentazione spingano altre società di revisione a essere più amichevoli nei confronti delle criptovalute”, ha affermato.

La destabilizzazione dei token che hanno l’unico scopo di mantenere un prezzo stabile ha messo in agitazione le autorità di regolamentazione su entrambi i lati dell’Atlantico. La scorsa settimana, il Segretario del Tesoro statunitense Janet Yellen ha messo in guardia dai rischi per la stabilità finanziaria se le criptovalute saranno lasciate crescere senza alcuna regolamentazione e ha esortato i legislatori ad approvare una regolamentazione del settore entro la fine del 2022.

In Europa, il governatore della Banca di Francia, Francois Villeroy de Galhau, ha dichiarato che le recenti turbolenze nei mercati delle criptovalute dovrebbero essere considerate un “campanello d’allarme” per le autorità di regolamentazione globali. Villeroy ha affermato che le criptovalute, se non regolamentate, potrebbero sconvolgere il sistema finanziario, in particolare le monete stabili, che, ha aggiunto, sono state definite “in modo un po’ sbagliato”.

Nel frattempo, il membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea Fabio Panetta ha affermato che le monete stabili come tether sono “vulnerabili alle corse”, riferendosi alle “corse agli sportelli” in cui i clienti fuggono in massa da un istituto finanziario. L’Unione Europea sta pianificando di porre le stablecoin sotto una stretta sorveglianza normativa con nuove regole note come Markets in Crypto-assets Regulation, o MiCA in breve.

Frances Coppola, economista indipendente, ha spiegato che sono gli scambi di criptovalute – e non gli investitori al dettaglio – a sottrarre miliardi di dollari a Tether nelle transazioni all’ingrosso. Per riscattare i tether in dollari su Tether, i clienti devono effettuare un prelievo minimo di 100.000 dollari, secondo il sito web della società.

“I suoi clienti sono in realtà le borse”, ha detto Coppola. “Poi le borse vendono i token ai trader, ai dilettanti e ai piccoli investitori”.

Tether è una parte cruciale del mercato delle criptovalute, in quanto facilita scambi per miliardi di dollari ogni giorno. Gli investitori spesso parcheggiano i loro contanti con il token nei momenti di maggiore volatilità delle criptovalute.

Monsur Hussain, responsabile della ricerca sulle istituzioni finanziarie di Fitch Ratings, ha affermato che Tether avrebbe “poche difficoltà” a vendere le sue partecipazioni in Tesoro.

Ma la fonte di tali partecipazioni non è chiara. In una recente intervista al Financial Times, il capo della tecnologia di Tether si è rifiutato di fornire dettagli sulle sue partecipazioni in Tesoro, affermando che la società non “vuole rivelare la sua salsa segreta” con cui riesce a garantire l’ancoraggio. L’ansia che circonda Tether sembra aver aumentato la domanda di token rivali come USDC di Circle e BUSD di Binance, i cui rispettivi valori di mercato sono aumentati di circa l’8% e il 4% nell’ultima settimana. Secondo gli esperti, ciò è dovuto al fatto che questi token sono considerati “più sicuri” di tether.

Conclusioni

L’incertezza sull’andamento delle quotazioni e sulla stabilità del sistema finanziario internazionale, stravolto dalle sanzioni contro la Russia, sta ponendo in secondo piano gli impegni delle maggiori banche centrali in direzione della creazione delle monete nazionali digitali. La Cina, meno implicata nelle sanzioni di quanto non siano i paesi occidentali, può trarre vantaggio da questa stasi, anche perché la sua sperimentazione della moneta digitale è quella in fase più avanzata.

È auspicabile che questa fase di incertezza venga utilizzata in chiave positiva per introdurre una serie di attività regolatorie sulle monete cripto, al fine di ridurre la loro volatilità con obblighi più simili a quelli delle banche; con più garanzie e trasparenza.

Il probabile impatto immediato sarebbe con ogni probabilità negativo sulla quotazione, ma probabilmente non sarebbe molto ampio, stante la tendenza già fortemente ribassista in atto. L’effetto a medio lungo termine potrebbe invece essere positivo, se non sulla quotazione corrente, almeno sulla volatilità, contribuendo ad un ritorno a condizioni meno incerte del mercato delle criptovalute.

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