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Euro digitale: quali mosse per evitare il flop contro bitcoin e stablecoin



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La BCE si muove verso l’euro digitale per affrontare l’evoluzione del panorama finanziario globale e mantenere alta la competitività del sistema bancario europeo. Criptovalute e stablecoin rappresentano nuove sfide e potenziali minacce di fronte alle quali il progetto europeo deve cambiare passo

Pubblicato il 10 mag 2024

Alberto Franco

Professore a Contratto di Diritto Tributario presso l’Università di Torino, Ph.D. Of Counsel, Genta & Cappa



euro digitale2

Com’è noto, già da tempo la Banca Centrale Europea ha intrapreso un progetto per sviluppare una CBDC (ovverosia, una Central Bank Digital Currency) all’interno dell’area Euro – progetto che ha preso il nome di “euro digitale”.

Ma l’avvento delle criptovalute e la diffusione delle stablecoin pone nuove sfide e potenziali minacce. La posizione della BCE verso il settore crypto è netta: a pagare il “conto” del tracollo dei prezzi delle criptovalute saranno gli investitori finanziariamente meno informati. Per questo, l’euro digitale diventa cruciale: non solo come strumento di modernizzazione monetaria, ma anche come baluardo della sovranità finanziaria europea. Ma serve un cambio di passo. Vediamo perché.

Il progetto di euro digitale della BCE

Il progetto di euro digitale è partito il primo novembre scorso, e la BCE ha a disposizione due anni per mettere a punto le modalità di attuazione di una valuta nativamente digitale per effettuare pagamenti in tutta l’area dell’euro.

Ciò non senza problemi: “non è un mistero che il progetto debba fare i conti con i limiti di attuazione dell’infrastruttura tecnologica, tanto che si affaccia l’ipotesi che la valuta digitale di Banca centrale all’europea possa nascere senza il supporto della blockchain: la creazione da zero di una rete privata richiede tempi troppo lunghi, quelle pubbliche pongono problemi insormontabili di controllo e continuità del servizio”[1].

L’euro digitale secondo la Banca d’Italia e gli impatti sul sistema bancario

Che l’euro digitale avrà nel prossimo futuro uno sviluppo concreto è stato confermato anche dal Governatore di Banca d’Italia, Fabio Panetta, il quale ha recentemente dichiarato che “per concorrere fattivamente al progetto dell’Eurosistema sull’euro digitale, un mezzo di pagamento innovativo, sicuro, accessibile gratuitamente a tutti i cittadini” alla Banca d’Italia “si sta adottando una soluzione organizzativa che, mediante il concorso di tutte le competenze necessarie, potrà contribuire a svolgere le attività richieste in modo agile e flessibile”[2].

Peraltro, la Banca d’Italia ha recentemente pubblicato un occasional paper sull’euro digitale e sugli impatti sul sistema bancario, dal titolo “CBDC And The Banking System”[3]. In questo documento, la Banca d’Italia riconosce diversi benefici che potrebbero derivare dall’adozione di un euro digitale: secondo la Banca d’Italia, una CBDC disponibile al pubblico sarebbe complementare rispetto alle riserve delle banche centrali e alle banconote (le due forme esistenti di denaro pubblico) – con un accesso più ampio rispetto alle prime, disponibili quasi esclusivamente per le banche, e in forma digitale, a differenza delle banconote. Inoltre, una CBDC europea può contribuire a garantire l’integrità dei pagamenti digitali, promuovere l’inclusione finanziaria e agire come catalizzatore dell’innovazione nella finanza e nel commercio.

L’istituzione guidata da Panetta riconosce anche che, oltre ai vantaggi sopra menzionati, una CBDC europea presenta anche significativi rischi. Ad esempio, se una CBDC è progettata in modo inappropriato, essa potrebbe sollevare problemi di privacy, consentendo alle banche centrali di ottenere quantità senza precedenti di dati sensibili sui comportamenti degli utenti, e nondimeno potrebbe sollevare questioni di politica monetaria e stabilità finanziaria riducendo l’importo dei depositi bancari presso le banche nel sistema economico.

In realtà il sistema bancario non dovrebbe subire ripercussioni importanti dall’introduzione dell’euro digitale. Secondo Sam Theodore, esperto di banche e analista di Scope, «l’euro digitale non farà scattare alcuna fuga dai depositi delle banche. Di questo il sistema bancario europeo non deve preoccuparsi: la Bce ha già indicato che i depositi al dettaglio in euro digitale non saranno remunerati e avranno un tetto, che potrebbe essere subito 3.000 euro oppure iniziare con 1.500 euro e in un secondo momento salire a 3.000 euro.

Le banche europee hanno ben altro di cui preoccuparsi: la crescente digitalizzazione dei sistemi di pagamento, di cui l’euro digitale sarà parte, e quindi l’espansione delle piattaforme digitali aperte, la regolamentazione progressiva che impone la trasformazione digitale anche nei pagamenti»[4].

Un aspetto interessante di quest’analisi è la considerazione che, più che un decremento dei depositi, le banche europee dovranno fronteggiare la concorrenza dei pagamenti effettuati tramite crypto e stablecoin, basate principalmente sui dollari Usa e che continueranno ad espandersi senza l’euro digitale.

Forse è sulla base di quest’ultima considerazione che si può valutare il “clima” complessivo che la Banca Centrale Europea sembra avere nei confronti del mondo crypto in generale, e di Bitcoin in particolare – clima certo non favorevole, anzi.

La dura posizione della BCE nei confronti del settore crypto e di Bitcoin

Già nel novembre 2022, con un articolo intitolato Bitcoin’s Last Stand (cioè, L’ultima resistenza di Bitcoin), due esponenti di primo piano della BCE avevano criticato la criptovaluta di Satoshi Nakamoto con toni durissimi, affermando che l’allora (apparente) stabilizzazione del prezzo di Bitcoin intorno ai 20.000 fosse probabilmente da interpretarsi come un “ultimo sussulto indotto artificialmente prima della strada verso l’irrilevanza”[5].

È facile dimostrare come ad oggi la situazione sia totalmente diversa rispetto a quella di fine 2022, e ben distante da quella che avevano immaginato i due esponenti della BCE nel loro articolo; ciò nonostante, con un articolo intitolato “ETF approval for bitcoin – the naked emperor’s new clothes” (ovverosia, Approvazione dell’ETF per bitcoin: i nuovi vestiti dell’imperatore nudo) del 22 febbraio scorso, i due autori del precedente articolo del 2022 muovono critiche ancora più nette, affermando in sostanza che Bitcoin vale zero e chi pagherà il “conto” del tracollo dei prezzi delle criptovalute saranno gli investitori finanziariamente meno informati.

È chiaro che in questa prospettiva la BCE sarebbe portata ad osteggiare Bitcoin non tanto come mezzo di pagamento, bensì per la funzione che ha sempre di più assunto negli ultimi anni, ovverosia di “riserva di valore”, di “digital gold”. La concorrenza per quanto concerne le funzioni di pagamento è invece più legata alle stablecoin. Occorre quindi delineare brevemente le caratteristiche principali di questi criptoasset.

Le stablecoin: nozioni generali

In generale, le stablecoin sono dei token “ancorati” al valore di altri asset, come ad esempio i dollari USA o l’oro. Possono sostanzialmente essere di due tipi:

  • Unbacked (o Algorithm-based) stablecoin, ovverosia stablecoin che mirano a mantenere la parità con un asset attraverso un algoritmo (le stablecoin di tipo algoritmico, appunto);
  • Asset linked stablecoin, ovverosia collegate ad un asset specifico e da queste “garantite”.

Nell’ambito del Regolamento MiCA, inoltre, possiamo classificare le stablecoin in due macro-tipologie di criptoasset, a seconda delle loro caratteristiche:

  • gli “e-money token”, un tipo di cripto-attività che mira a mantenere un valore stabile facendo riferimento al valore di una valuta ufficiale;
  • gli “asset-referenced token”, un tipo di cripto-attività che non è un token di moneta elettronica e che mira a mantenere un valore stabile facendo riferimento a un altro valore o diritto o a una combinazione dei due, comprese una o più valute ufficiali.

Le stablecoin hanno visto negli anni una grande crescita, sia per quanto concerne il loro numero (sono numerosi i progetti in campo, anche da parte di importanti istituzioni finanziarie) sia per quanto concerne la loro capitalizzazione: si consideri, ad esempio, che recentemente la stablecoin USDT (Tether) ha recentemente raggiunto una capitalizzazione di mercato di 100 miliardi di dollari, mentre la seconda stablecoin per capitalizzazione, ovverosia USDC, attualmente ha una capitalizzazione pari a 71 miliardi[6].

È chiaro quindi come le stablecoin (che ad oggi hanno, come sopra esposto, una esplicita regolamentazione europea da parte del MiCA, e quindi un implicito “riconoscimento”) possano preoccupare non poco la Banca Centrale Europea.

Infatti, dato che il dollaro statunitense è (o dovrebbe essere) la valuta di riserva globale, le stablecoin si orientano verso l’essere ancorate su di esso, ma esistono anche altre categorie. Vi sono ad esempio stablecoin ancorate ad asset del mondo reale, come l’oro, per mantenere livelli di prezzo stabili (come il caso del token PAXG di Paxos), e anche stablecoin ancorate all’Euro, ma è chiaro come il “mondo” delle stablecoin faccia in gran parte riferimento al dollaro: al 10 febbraio scorso, le tre grandi stablecoin denominate in dollari con collaterale fiat (USDT, USDC e BUSD) rappresentavano quasi il 12% della capitalizzazione di mercato delle criptovalute e il 91,58% dell’intera offerta di stablecoin[7].

La BCE e i rischi legati alle stablecoin basate sul dollaro

Ma perché, in dettaglio, le stablecoin ancorate al dollaro dovrebbero in qualche modo mettere in discussione la posizione della BCE nel sistema dei pagamenti?

La stessa Banca d’Italia, nel documento sopra citato, rileva che la proliferazione dei cripto-asset potrebbe rappresentare una sfida importante per le banche centrali. Infatti, vi potrebbe essere una perdita di sovranità nel settore pagamenti se le stablecoin legate alle valute estere guadagnassero ulteriori quote di mercato. Il ruolo della moneta della banca centrale potrebbe essere messo in discussione al punto da non fungere più da “ancoraggio” efficace per il sistema di pagamento.

Queste sfide, secondo la Banca d’Italia, hanno portato le banche centrali e la politica a considerarne tre tipi di risposta[8].

Il primo è normativo, ovvero portare novità soggetti operanti nell’ambiente della finanza decentralizzata all’interno del perimetro di vigilanza.

Il secondo è facilitare lo sviluppo di iniziative private che sostengano innovazione e autonomia all’interno dei confini nazionali.

Infine, l’ultima risposta è diventare innovatori e fornire CBDC che possono essere utilizzati per i pagamenti – l’Euro digitale, appunto.

Da quanto appena esposto si comprende quindi bene la preoccupazione della BCE di poter diminuire il suo “raggio d’azione” nel sistema dei pagamenti digitali, tenendo altresì presente che ad oggi nessuna grande piattaforma digitale di pagamento (si pensi ad Apple, Amazon e PayPal) è europea, e quindi già ad oggi la competitività del sistema bancario europeo su scala globale deve fare i conti con questa circostanza.

Di conseguenza, il progetto relativo all’Euro digitale dovrebbe porsi come obiettivo di fronteggiare, almeno in parte, il rischio di una riduzione della centralità della BCE nel sistema dei pagamenti europeo, con una forma di moneta molto simile ad una stablecoin dal punto di vista degli utenti, ma in realtà profondamente diversa in termini di funzionamento e di (non) decentralizzazione, e indubbiamente molto più simile ad una “moneta elettronica” che ad un criptoasset.

La necessità di un “cambio di passo” da parte della BCE

Per far sì che il progetto dell’euro digitale abbia successo, occorrerà tuttavia che la Banca Centrale trovi il giusto equilibrio tra regolamentazione, tutela dei dati personali degli utenti e libertà di utilizzo, poiché con ogni probabilità un digital euro che si accompagni a vincoli e a restrizioni eccessive non avrebbe una grande diffusione (considerando anche che, come illustrato in precedenti contributi su Agenda Digitale, i precedenti delle CBDC, ed in specie dello yuan digitale, non sono del tutto incoraggianti, seppur per motivi differenti).

Solo in questo modo il progetto dell’euro digitale potrebbe essere in effetti una risposta adeguata – risposta ad oggi invero non così esauriente, perché, se come sembra il limite verrà fissato a 3.000 euro per “deposito digitale” senza alcuna possibilità di remunerazione, è facile immaginare che le criptovalute utilizzate finora siano ben lungi da essere abbandonate in favore dell’Euro digitale.

Certo è che, se intende effettivamente realizzare questo obiettivo, la BCE dovrà necessariamente adottare un approccio diverso al mondo crypto, anche evitando i periodici attacchi che ad esso vengono indirizzati dal suo stesso blog – attacchi che paiono in realtà una sorta di tentativo di “autodifesa” della posizione espressa a fine 2022, assumendo posizioni ancora più dure per giustificare il fatto di essere stati sconfessati nella realtà, e che purtroppo fanno dubitare della capacità della Banca Centrale di confrontarsi su questi temi senza preclusioni e posizioni preconcette.

È quindi piuttosto evidente che, per avere un euro digitale che sia effettivamente in grado di realizzare gli obiettivi che le istituzioni europee si sono prefissati, serve un deciso cambio di passo da parte della Banca Centrale Europea, pena una diffusione molto limitata – se non un vero e proprio flop – del progetto di una CBDC europea.

Note


[1] P. Soldavini, Prove di stablecoin in attesa dell’euro digitale, Il Sole 24 Ore, 12 marzo 2024

[2] Euro digitale, Panetta: Bankitalia prepara competenze e flessibilità, Askanews, 28 marzo 2024

[3] Simone Auer, Nicola Branzoli, Giuseppe Ferrero, Antonio Ilari, Francesco Palazzo, Edoardo Rainone, CBDC and the Banking System, Banca d’Italia – Questioni di Economia e Finanza, febbraio 2024

[4] I. Bufacchi, Euro digitale, nessuna fuga dai depositi, Il Sole 24 Ore, 5 marzo 2024

[5] Banca Centrale Europea, the ECB Blog, Bitcoin’s Last Stand, 30 novembre 2022

[6] J. Coghlan, La stablecoin USDT di Tether raggiunge un market cap di $100 miliardi, Cointelegraph, 4 marzo 2024

[7] Unstablecoins: depegging, corsa agli sportelli e altri rischi incombenti, Cointelegraph, 21 marzo 2023

[8] Cfr. Simone Auer, Nicola Branzoli, Giuseppe Ferrero, Antonio Ilari, Francesco Palazzo, Edoardo Rainone, CBDC and the Banking System, Banca d’Italia – Questioni di Economia e Finanza, febbraio 2024, 14

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