Il 2022 passerà sicuramente agli annali come annus horribilis delle criptovalute; apertosi sotto i migliori auspici, considerando che a novembre 2021 il mercato aveva superato i 3.000 miliardi di dollari di capitalizzazione, e la regina della criptovalute, Bitcoin, valeva oltre 60.000 dollari, il mercato, a partire da maggio, con il fallimento di Luna che ha trascinato con sé decine di aziende del settore, creando un vero e proprio terremoto nel mercato, ha imboccato una spirale perversa che è culminata con il fallimento di FTX e l’arresto del suo CEO Sam Bankman-Fried.
Difficile fare previsioni per il 2023, anche se appare evidente che il settore sembra essere precipitato in una profonda crisi di fiducia e credibilità che rischia di minarlo alle fondamenta.
Il confronto tra criptoscettici e campioni della DeFi
Guardando ad esempio agli Stati Uniti, il paese finanziariamente più evoluto e dunque dove è possibile che si producano degli effetti destinati a ripercuotersi anche in altri Paesi, è probabile che nel prossimo anno si assista ad una sorta di redde rationem tra due opposti schieramenti destinati a confrontarsi sia nelle aule dei tribunali statunitensi che di fronte al Congresso.
Da un lato troviamo un esercito di criptoscettici, che include politici e regolatori di spicco, animati dall’intento di tenere a freno un settore che molti considerano caratterizzato da continue frodi e dunque estremamente pericoloso per i consumatori e a cui la catastrofica scomparsa di FTX ha fornito validi argomenti di supporto alle loro tesi.
Sul versante opposto ci sono invece i campioni della “finanza decentralizzata“, fermamente convinti che le reti di criptovalute come Bitcoin ed Ethereum, dal momento che sono accessibili a chiunque disponga di una connessione Internet e sono controllate da reti pubbliche invece che da aziende, governi o banche, siano destinate a giocare un ruolo vitale per il futuro della privacy e della libertà finanziaria. Agli occhi di questi sostenitori, ogni tentativo di regolamentazione equivale a mettere in pericolo queste libertà fondamentali.
Per i criptoscettici la crescita poco trasparente e in molti casi accompagnata dalla sostanziale mancanza di regole e controlli ha determinato la nascita di colossi finanziari, come FTX, molto fragili, con la conseguenza che nel 2023 è auspicabile l’implementazione di un nuovo quadro regolatorio, che possa correggere le storture createsi.
Il caso FTX e i rischi di un ecosistema autoreferenziale
Al contrario, i sostenitori delle criptovalute giudicano il crollo di FTX un’ulteriore prova di come un controllo centralizzato sia etremamente rischioso, ribadendo la necessità di dare vita ad un sistema finanziario basato su blockchain che sia più accessibile e privato di quello tradizionale.
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A ben vedere, nel caso FTX il tema del controllo centralizzato assume rilevanza ma ciò che ha determinato il crollo dell’exchange è stata la creazione da parte di FTX di una propria criptovaluta. Ciò che ha innescato la spirale negativa che ha avvolto FTX è stata infatti la segnalazione all’inizio di novembre di CoinDesk che la società di trading affiliata a FTX, Alameda Research, deteneva una parte significativa delle proprie risorse nella criptovaluta creata da FTX, chiamata FTT; una valuta inventata da una società consociata, non un asset indipendente come una valuta fiat o un’altra criptocurrency. La rivelazione ha innescato una serie di eventi che alla fine hanno fatto crollare il valore di FTT.
In altri termini, quello che molti paventano è che l’intero settore sembra aver costruito una sorta di “ecosistema autoreferenziale” basato sulla creazione di token ambigui sorti dal nulla e privi di valore. L’ambiguità di questi token è una delle ragioni principali per cui i regolatori si stanno ora concentrando sulla finanza decentralizzata.
Pro e contro degli exchange decentralizzati
Nel mondo della finanza decentralizzata un ruolo cruciale è rivestito dagli exchange decentralizzati (DEX), che consentono a chiunque disponga di una connessione Internet di acquistare e vendere un’ampia gamma di criptovalute, a prescindere dalla classificazione che di queste valute le autorità di regolamentazione potrebbero fare.
I sostenitori della DeFi hanno indicato FTX come l’ultima prova che ciò di cui abbiamo bisogno è un sistema finanziario alternativo, “aperto” e decentralizzato. Secondo costoro, le applicazioni DeFi verificano le transazioni utlizzando tecniche crittografiche inaccessibili e immodificabili e tutto viene registrato sulla blockchain. Non vi è la neccessità di ricorrere ad intemediari, e dunque fenomeni di corruzione sono impossibili.
Paradossalmente è invece proprio la mancanza di intermediari tipica dei sistemi di finanza decentralizzata che crea grossi problemi alle autorità regolamentari; in assenza di intermediari in che modo le autorità di regolamentazione possono sorvegliare lo scambio di titoli su piattaforme decentralizzate? Come è possibile assicurarsi che nel corso di questi scambi non vengano utilizzati fondi illeciti?
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Regoalmentazione dei “front-end DeFi”: necessità o colpo di grazia per il settore?
È in questo paardosso che si innesca il tema molto caldo negli Stati Uniti della necessità di procedere ad una regoalmentazione dei “front-end DeFi”‘ ovverosia delle interfacce utente basate sul Web attraverso le quali la maggior parte delle persone accede ai protocolli DeFi.
In particolare, ci si è chiesti se sia davvero necessario, come sostenuto da alcuni, che la fornitura di front-end DeFi sia riservata ad operatori dotati di licenza o autorizzazione.
I fautori della DeFi sostengono che la regolamentazione dei front-end potrebbe essere fatale per la DeFi perché avrebbe l’effetto di aggiungere proprio un ulteriore tipo di barriera all’ingresso che le blockchain avrebbero dovuto eliminare.
Al di là di come la si possa pensare, è probabile che se i regolatori acquisiranno il controllo di questo importante punto di accesso DeFi potranno esercitare una profonda influenza su come la tecnologia sottostante si evolverà in futuro.
La vicenda di Tornado Cash e i suoi effetti sul futuro della DeFi
Anche l’evoluzione del caso relativo a Tornado Cash sembra segnare un passaggio cruciale per decifrare i possibili scenari futuri della finanza decentralizzata. Vale la pena ricordare qui brevemente i fatti. Tornado Cash fornisce un servizio cosiddetto mixer che consente ai proprietari di criptovalute di proteggere il loro anonimato mescolando le tracce consequenziali di informazioni sulle singole operazioni registrate grazie alla tecnologia blockchain. Lo scorso 8 agosto, il Dipartimento del Tesoro statunitense ha proibito agli americani di utilizzare il servizio, sostenendo che Tornado Cash abbia svolto un ruolo centrale nel riciclaggio di oltre 7 miliardi di dollari.
La vicenda di Tornado Cash è strettamente legata all’operatività che caratterizza tutte le applicazioni basate su tecnologia blockchain. Quando un utente invia una criptovaluta da un account all’altro, un record della singola transazione viene inciso per sempre nella blockchain. È chiaro che in questo modo gli inquirenti possono quindi utilizzare queste informazioni pubbliche per monitorare i flussi di denaro e conoscere l’attività finanziaria di una persona o di una società.
Questa trasparenza ha dato origine alla creazione di servizi di cosiddetta “miscelazione”, che hanno lo scopo di occultare le attività finanziarie compiute utilizzando la tecnologia blockchain. Di fatto, un utente può depositare criptovaluta in un mixer, che utilizza una tecnica crittografica complessa per offuscare la traccia e la provenienza del denaro e quindi inviarlo a un indirizzo di portafoglio nuovo di zecca. Da lì, l’utente può recuperare i fondi ed eventualmente incassarli in modo anonimo.
Le polemiche dopo lintervento delle autorità Usa
Il Dipartimento Office of Foreign Assets Control del tesoro americano (“OFAC”) in particolare ha sanzionato 45 indirizzi Ethereum associati alla piattaforma, vietando di fatto agli americani di utilizzarla e decimando la base utenti di Tornado Cash. L’agenzia ha affermato di aver intrapreso l’azione perché Tornado Cash era stato utilizzato per “riciclare” miliardi di dollari, comprese centinaia di milioni sottratti da hacker sponsorizzati dallo stato nordcoreano.
Si è trattato del primo caso in assoluto in cui l’OFAC ha di fatto sanzionato uno smart contract e ciò ha scatenato una serie di polemiche. Secondo molti, infatti, oltre a il fatto che l’agenzia del Tesoro non sembra avere il potere né l’autorità per procedere all’irrogazione di tali sanzioni, è la natura degli smart contracts stessa che non consente l’applicazione di queste sanzioni; molti dei contratti sanzionati dall’OFAC infatti non possono essere modificati, bloccati o disattivati da nessuno degli sviluppatori di Tornado Cash in quanto esistono indipendentemente da ogni forma di intervento umano.
È stato fatto rilevare che sebbene l’OFAC abbia il potere legale di sanzionare persone e determinate entità straniere, non può vietare agli americani di utilizzare uno strumento come Tornado Cash.
Sulla scorta di queste argomentazioni, Coin Center ha intentato una causa contro il Dipartimento del Tesoro volta a revocare le sanzioni, lamentando la violazione di evidenti e fondamentali diritti quale quello alla privacy. Nel proprio ricorso Coin Center, oltre a sostenere che l’OFAC non ha l’autorità per vietare gli strumenti software, lamenta dunque anche la violazione di diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. Una causa simile contro il Tesoro è stata promossa anche da Coinbase, altro popolare exchange di criptovalute statunitense.
Le implicazioni di un eventuale intervento normativo
L’intero universo degli operatori in criptovalute sta monitorando con attenzione l’evolversi della saga di Tornado Cash, perché qualunque sia l’esito è certo che è destinato a plasmare il futuro della finanza decentralizzata.
Secondo molti, è evidente come uno sviluppatore non possa essere trattato alla stregua di un intermediario finanziario solo per aver sviluppato un codice e averlo reso disponibile al pubblico su Internet. In altri termini, quale è il preciso momento in cui un’applicazione finanziaria cessa di essere tale e si trasforma nell’offerta di un servizio finanziario? Come è facile intuire, si tratta sostanzialmente della stessa domanda al centro del conflitto sull’opportunità di regolamentare i servizi di front-end tipici della finanza decentralizzata.
Volendo estremizzare, si potrebbe sostenere che in entrambi i casi è in gioco la libertà di utilizzare un servizio basato su tecnologia blockchain senza dover chiedere il permesso al governo.
Conclusioni
In conclusione, a 2023 appena iniziato, è innegabile dover riconoscere che la finanza decentralizzata resti ancora una nicchia di mercato con ampi margini di crescita. Presentata dai più come alternativa alla finanza tradizionale, registra oggigiorno volumi e capitalizzazione ancora limitati. Tuttavia è innegabile come la DeFi offra delle soluzioni concrete per creare un ambiente finanziario aperto a tutti, trasparente e immutabile, che non richiede alcun rapporto di fiducia con terze parti, intermediari e autorità. Tra i vantaggi maggiori già oggi evidenti il fatto che l’utilizzo della tecnologia blockchian e degli smart contract abbia consentito di riprodurre i principali prodotti e servizi della finanza tradizionale in maniera decentralizzata e l’interoperabilità dei protocolli, che ha permesso lo sviluppo di strumenti innovativi e personalizzabili a seconda delle esigenze degli utenti.
Queste novità hanno avuto un impatto notevole nel mondo della finanza, soprattutto nel contesto di un periodo storico che a partire dalla crisi del 2008 ha visto crescere la sfiducia verso banche e intermediari finanziari. Il bisogno da parte degli investitori e dei risparmiatori di beneficiare di rendimenti più elevati, prestiti istantanei e transazioni più veloci ha trovato una risposta concreta in un ambiente accessibile e trasparente come la DeFi.
A fronte dei vantaggi e delle grandi potenzialità espresse dalla DeFi finora, esistono e non possono essere sottovalutati anche determinati rischi finanziari e non finanziari. I principali rischi finanziari sono gli stessi della finanza tradizionale, con particolare attenzione all’alta volatilità tipica del mondo cripto e alla pericolosità di eventuali crisi di liquidità, i cui effetti negativi possono essere più accentuati nella DeFi rispetto alla finanza tradizionale. A livello operativo, l’interoperabilità, intesa come possibilità per gli utenti di interagire con diversi protocolli per accedere ad un servizio o un prodotto finanziario su misura, potrebbe risultare nella creazione di prodotti complessi costruiti su una catena di token relativi a diverse piattaforme, creando delle interdipendenze che possono originare, in caso di fallimento, un rischio sistemico per le piattaforme coinvolte.
Di certo il futuro della finanza decentralizzata dipenderà molto dall’approccio normativo che i legislatori dei vari Paesi adotteranno. Sul tema, come sopra dimostrato, il dibattito è ancora molto aperto: se è indiscutibile che una regolamentazione sia necessaria, altrettanto vero è che una regolamentazione molto restrittiva potrebbe risultare eccessivamente penalizzante e limitante per la DeFi. Ma anche trovare gli strumenti giuridici più adatti per identificare una regolamentazione più flessibile ma comunque in grado di tutelare gli utenti e portare maggiore serenità nel panorama DeFi, contribuendo positivamente alla sua espansione, non sarà affatto scontato o facile.