Il recente rapporto intermedio della task force costituita dall’ONU per massimizzare lo sfruttamento della finanza digitale per i goal dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (Task Force on Digital Financing of the Sustainable Development Goals) permette di affrontare il tema della digitalizzazione dei sistemi finanziari e monetari, in queste settimane in discussione in Italia nell’ambito di definizione del Documento di Economia e Finanza (DEF), da un punto di vista di politiche generali di sviluppo.
E quindi di politiche di sistema, evitando il rischio di approcci di semplice causa-effetto su un unico percorso (ad esempio, semplificando, “obbligo all’installazione dei POS nei punti commerciali, incentivo i pagamenti con carta e quindi riduco l’evasione fiscale”).
Il Digital Financing per gli obiettivi di sostenibilità
Obiettivo della task force è definire delle raccomandazioni per i governi e per il segretariato generale dell’ONU su interventi e politiche in grado di sfruttare al meglio la digitalizzazione per accelerare e incrementare il finanziamento delle azioni dirette al perseguimento dei goal dell’Agenda 2030. Nel far questo, l’analisi della task force giocoforza si è spostata sul fronte generale del come si realizza un nuovo sistema finanziario e monetario che sia di supporto a un’evoluzione sociale sostenibile.
Di conseguenza, come si riesce a far sì che il digitale possa essere strumento di evoluzione e di inclusione e non di incremento delle disuguaglianze, sapendo che la configurazione del sistema digitale finanziario è uno degli elementi fondamentali di strutturazione del percorso di sviluppo sostenibile. Così, le scelte sul Fintech diventano determinanti, e l’individuazione accurata di opportunità e rischi diventa la condizione base per le politiche governative. Come scrive la task force, l’interesse sull’innovazione digitale è fondamentale per far sì che la popolazione diventi, anche grazie alla rivoluzione digitale, attore consapevole nel sistema finanziario, sulla base della convinzione che protagonista, nei fatti, come maggiore contributore dei governi e del sistema privato, lo è già.
Nel report, in particolare, si mettono in evidenza alcune opportunità che offre la digitalizzazione verso un’accelerazione del finanziamento dei goal dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile (SDGs):
incrementare la mobilitazione dei fondi in modo che i risparmi nazionali possano essere rivolti verso investimenti a lungo termine;
ridurre la povertà incrementando i risparmi grazie ai conti bancari digitali;
migliorare i bilanci governativi rendendo più difficile l’evasione delle tasse;
incrementare la mobilitazione internazionale per finanziare lo sviluppo a costi inferiori attraverso una migliore misurazione e gestione dei rischi e degli impatti;
migliorare l’utilizzo dei fondi incrementando le prestazioni dei finanziamenti pubblici attraverso un impatto mirato e un migliore monitoraggio, nonché rafforzando la responsabilità pubblica;
favorire le prestazioni degli investitori attenti all’impatto sociale, aumentando la qualità e riducendo i costi di tracciamento;
conseguire un maggiore allineamento dei finanziamenti privati con i SDGs attraverso una migliore e più economica valutazione dei rischi e delle opportunità di finanziamento;
migliorare l’allineamento delle azioni governative, rafforzando le politiche supportate dai dati, inclusi incentivi fiscali, normative e standard.
E per far sì che queste opportunità possano essere colte, diventa centrale un cambiamento strategico e in qualche modo “rivoluzionario”: spostare il “centro di gravità del sistema finanziario verso i cittadini”. Un cambiamento che può essere perseguito grazie alla digitalizzazione perché abilita fenomeni come la sempre maggiore disponibilità di dati e informazioni, la sempre più pervasiva disintermediazione rispetto ai soggetti principali di intermediazione (il caso di Satispay è uno degli esempi che possiamo portare a supporto di questa tendenza), la sempre maggiore possibilità di azione collettiva per un maggior controllo “della propria vita finanziaria” da parte di ciascuno .
Sviluppi del Fintech
Le prospettive che si aprono grazie agli sviluppi del Fintech sono notevoli. L’utilizzo dei dati su precipitazioni o siccità ha portato a innovazioni globali nella finanza in generale e in campi specifici, come quello delle assicurazioni agricole. I dati a disposizione stanno aumentando di dimensioni e portata con la proliferazione dei dispositivi IoT (Internet-of-things), rendendo probabile un incremento di usi e correlazioni tra dati collegati a più SDGs, così che sia possibile verificare qualsiasi cosa, dall’uso di energia domestica e dalla gestione dei rifiuti alle presenze degli studenti nelle scuole. La combinazione di smartphone, pagamenti digitali, analisi dei dati e IoT può essere ulteriormente sfruttata per creare ed espandere l’infrastruttura pay-as-you-go, nonché l’accesso a servizi di base, assicurazioni e finanziamenti di piccole attività. Le soluzioni sanitarie ed educative possono essere fornite da e verso località remote grazie ai progressi sul fronte della sicurezza e del basso costo del pagamento per tali servizi.
Il Fintech può anche essere usato per “modellare” il comportamento dei cittadini, utilizzando metodi premiali basati sull’economia comportamentale. Un esempio indicato nel rapporto è quello di Ant Forest, diventata la più grande innovazione fintech verde in Cina, forse nel mondo, volta a ridurre le emissioni di carbonio, promuovendo il rimboschimento e promuovendo gli sforzi di riduzione della povertà. Attraverso un’interfaccia interattiva integrata in Alipay, la piattaforma di mobile banking dell’azienda, gli utenti ottengono “punti verdi” optando per “comportamenti ecologici” che evitano le emissioni di carbonio. Gli utenti piantano e nutrono un albero virtuale con punti verdi guadagnati, che Ant Financial a sua volta pianta nella vita reale. Negli ultimi tre anni in cui l’app è stata online, ha raggiunto 500 milioni di utenti.
Cambiamento e inclusione
Il cambiamento si basa sulla condizione essenziale dell’inclusione dei cittadini in questo processo di digitalizzazione. Perché al momento questo non è vero, non tutti possono usufruire delle opportunità del digitale, e partecipare a questa sfida. E anche per coloro che hanno accesso al digitale è necessaria una consapevolezza e un’adeguata formazione digitale e finanziaria per far sì che si possano fronteggiare i rischi ed evitare le negative conseguenze che comunque la digitalizzazione può portare con sé se non indirizzata adeguatamente e accortamente verso il bene sociale, lo sviluppo sostenibile. E questa è una sfida fondamentale per i governi.
D’altra parte, sottolinea il rapporto, “nonostante significativi progressi nell’area dell’inclusione finanziaria, oltre 1 miliardo e 700 milioni di persone (che accedono a Internet, ndr) rimangono al di fuori del circuito bancario, con altri 4 miliardi di persone che sono offline e impossibilitati a partecipare all’economia digitale”.
Questi dati non ci sorprendono, se valutiamo la situazione italiana. Secondo i dati 2018 del Digital Economy and Society Index (DESI), infatti, i numeri sono altrettanto preoccupanti: rispetto alla fascia di popolazione italiana tra 16 e 74 anni (circa 45 milioni di persone) il 18,6% dichiara di non essere mai andato su Internet e solo il 74,2% dichiara di essere andato su Internet almeno una volta negli ultimi tre mesi. Di fatto un quarto della popolazione italiana è offline, oltre 11 milioni di persone nella fascia di età considerata. E tra chi è online, secondo i dati riferiti al 2016, tra l’altro, il 36,3% non possiede le competenze digitali di base necessarie per esercitare i diritti di cittadinanza digitale.
Non sorprende, così, che utilizzi l’online banking in Italia soltanto il 45,6% della popolazione che va su Internet almeno una volta ogni 3 mesi (33,8% della popolazione totale). Circa 30 milioni di persone sono fuori dal sistema bancario online e in generale dall’economia digitale.
D’altra parte, secondo le statistiche della Banca d’Italia, nel 2018 le carte di pagamento (credito e debito) superano i 70 milioni di unità e gli utenti privati di online banking sono circa 46 milioni, con una divaricazione notevolissima tra chi è dentro (e possiede più carte e più conti digitali) e chi è fuori dal sistema.
E poiché, come si sottolinea nel rapporto, “la tecnologia è un diritto di base, non un lusso”, ecco che il basso livello di accesso da parte delle donne diventa ulteriore evidenza di disuguaglianza e discriminazione oltre che di povertà sociale, per cui Phumzile Mlambo-Ngcuka, componente della task force e direttrice esecutiva di UN Women può affermare: “dobbiamo intervenire sul cronico sottoinvestimento in donne e ragazze e pervenire a un loro pari accesso alla tecnologia come norma”. Qui la chiave, per la politica e per il mondo imprenditoriale, è farsi carico di un problema di disuguaglianza che mina le fondamenta sociali di uno sviluppo sostenibile, per cui è necessario “andare oltre una politica di ‘neutralità di genere’ verso una che promuove attivamente la digitalizzazione come strumento per raggiungere la parità di genere”.
L’esclusione di rilevanti fasce di popolazione, d’altra parte, diventa ostacolo e barriera alla possibilità di ottenere investimenti per i SDGs in modo significativo e continuativo, e cioè con modalità collettive e diffuse, con coinvolgimento della popolazione.
Che fare
La task force non individua risposte, ma aree di approfondimento dell’analisi. Elementi e spunti utili per intervenire sono però presenti nel rapporto in modo evidente.
Soprattutto, un grande merito è nella chiarezza dell’analisi del contesto. Andando oltre una rischiosa mitologia della tecnologia e delle sue potenzialità, il problema reale della rivoluzione del sistema finanziario e monetario è nella sua regolazione e nella percezione dei cittadini: molti cittadini (e molti politici) pensano che gli istituti finanziari abbiano profitti oltre ogni ragionevole livello, dominati principalmente da intermediari grandi, potenti e inavvicinabili, e che la correlata finanziarizzazione dell’economia globale abbia aggravato la disuguaglianza e l’esclusione.
In una logica di Agenda 2030, il potenziale della digitalizzazione (nel finanziamento degli SDGs, ma non solo) deve dispiegarsi verso l’obiettivo di consentire di dare potere ai cittadini nel prendere le decisioni finanziarie che incidono sulla loro vita.
Tra gli esempi riportati nel rapporto è quello della Sierra Leone, che ha collaborato con le organizzazioni no profit Kiva, UNCDF e UNDP per creare un’identità finanziaria digitale per i suoi 7 milioni di cittadini. Collegata al sistema di identificazione nazionale, consente ai cittadini di costruire e controllare l’uso della propria identità finanziaria, dando al singolo il controllo su quando tali informazioni sono condivise con un’altra istituzione.
Saper utilizzare le tecnologie significa anche poter beneficiare delle innovazioni del Fintech, disponendo di una gamma più ampia di scelte in settori quali l’assicurazione domestica, l’acqua, i servizi igienico-sanitari, la gestione dei rifiuti, le forniture agroalimentari e la mobilità urbana.
Ma senz’altro uno degli elementi dirompenti di maggior impatto è quello della disintermediazione, poiché il digital financing consente ai cittadini di bypassare del tutto gli istituti finanziari, come dimostrato dalla crescita del crowdfunding a livello internazionale a oltre 35 miliardi di dollari all’anno, con un sistema che consente alle persone di scegliere direttamente in chi si investe o a chi si presta denaro.
In assenza di adeguata regolamentazione, il digital financing può portare però anche a una falsa disintermediazione: effettiva nei confronti del sistema bancario, ma non rispetto ai rischi di concentrazione. Esempi evidenti sono le aziende Big Tech, che stanno diventando le principali fornitrici di servizi finanziari, con sempre maggiori difficoltà da parte della politica nel garantire che le aziende che utilizzano dati personali e algoritmi siano trasparenti e chiare su come stanno prendendo le decisioni e come possono essere ritenute responsabili dei risultati.
D’altra parte, la disponibilità di dati sempre più accurati e di dettaglio, soprattutto lì dove diventano dati pubblici, consente ai cittadini di influenzare il comportamento aziendale attraverso azioni dei consumatori, dei dipendenti e degli azionisti.
Riflessioni e auspici sul dibattito in Italia
In un contesto così complesso e articolato, il dibattito che si è sviluppato in Italia rispetto all’incentivazione all’uso delle carte di pagamento come via per la riduzione dell’evasione fiscale appare limitativo per diverse ragioni (pur se mosso da obiettivi certamente da condividere), tra le quali:
la tracciabilità dei flussi si ottiene grazie all’utilizzo del digitale. Le carte di pagamento sono soltanto uno dei canali, e ci si attende un’evoluzione significativa in prospettiva per l’online banking, agganciato anche a micro-transazioni via smartphone tra privati. In questo senso l’impostazione legata a lettori fisici come i POS e alle carte appare limitata se non già obsoleta;
la Pubblica Amministrazione deve fare la sua parte. Bisogna operare per raggiungere rapidamente la diffusione totale di PagoPa nei servizi di tutte le amministrazioni pubbliche, facendo leva sulle capacità della nuova società in-house e accompagnando le amministrazioni in un percorso a tappe forzate e con una governance efficace. Questa è una condizione necessaria, anche se non sufficiente (il tema della sicurezza in rete per i cittadini, anche dal punto di vista della percezione, è fondamentale), per realizzare la trasformazione digitale del Paese facendo leva anche sulla riconfigurazione del sistema finanziario;
un approccio al tema della riduzione del contante e alla transizione verso un uso pervasivo e quasi totalizzante dei pagamenti digitali non può che inquadrarsi nella riconfigurazione del sistema finanziario e monetario, sapendo che si tratta di una vera e propria rivoluzione in atto, dove il tema dei nuovi assetti e del rapporto tra intermediatori e intermediati è cruciale e del tutto politico, anche perché in presenza di una tendenza all’accentramento da parte di chi detiene un potere legato al possesso di informazioni e dati (le Big Tech). Un tema in cui il ruolo della proprietà dei dati è pertanto fondamentale, così come il “conflitto sociale” tra intermediatori e intermediati è anche il conflitto tra sistemi chiusi e aperti, tra centralismo e decentralismo, come scrive Stefano Quintarelli. Le nuove tecnologie possono abilitare “a consentire che gli utenti diventino padroni dei propri dati, non alla mercè di feudatari tecnologici. È un dibattito con differenze profonde tra chi propugna sistemi e ambienti chiusi e chi si batte perché siano interoperanti, aperti alla maggiore concorrenza e contendibilità possibile”.
L’auspicio è che il nuovo governo prenda in carico come rilevante e, anzi, centrale questo tema. Partendo dalla convinzione che qualsiasi azione politica che vada nella direzione di favorire l’utilizzo del digitale per trarne benefici sociali non può che considerare elemento essenziale la massima inclusione della popolazione e quindi lo sviluppo di competenze digitali e funzionali adeguate (tra cui quelle finanziarie), in un quadro efficace di interventi sulla sicurezza in rete. Competenze, non solo conoscenze, e quindi anche comportamenti e prassi conseguenti. Lo stato di partenza dell’uso della finanza digitale in Italia è tale per cui sono da evitare forzature normative isolate, e l’auspicio è che il nuovo governo e il Parlamento possano presto elaborare una strategia di sistema e un conseguente piano di azioni. Non intervenire è molto rischioso.