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Le banche e fintech, ecco le sfide ai tempi della Psd2

La direttiva PSD2 pone le premesse per l’affermazione di un nuovo modo di fare banca attraverso la creazione di piattaforme multiservizi, sviluppate e gestite da banche, società non finanziarie o da entrambe. Vediamo che potrebbe succedere e come si stanno posizionando le banche italiane

Pubblicato il 30 Gen 2018

Mariagrazia Miele

Servizio Coord. e Rapporti con l’esterno, Dip. di Vigilanza Bancaria e Finanziaria, Banca d’Italia

Alessandro Scognamiglio

Servizio Coord. e Rapporti con l’esterno, Dip. di Vigilanza Bancaria e Finanziaria, Banca d’Italia

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La rivoluzione tecnologica dell’industria finanziaria è – almeno in Italia – ancora in fase d’avvio: contano un modello di distribuzione dei prodotti e di erogazione dei servizi finanziari ancora imperniato sugli sportelli, l’onda lunga della crisi finanziaria, che ha assorbito risorse altrimenti destinabili all’innovazione, un quadro regolamentare per necessità modellato sulle imprese preesistenti.

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Gli investimenti Fintech

Attualmente le banche italiane stanno adottando un comportamento del tipo wait and see: si guardano intorno in attesa della opportunità giusta per cominciare seriamente ad investire; è quanto emerso dalla recente indagine campionaria della Banca d’Italia, che ha sì censito circa trecento progetti di investimento Fintech, ma quasi tutti caratterizzati da una scala modesta.

La stessa indagine ha delineato un mondo a due velocità, un vero e proprio digital divide tra i principali gruppi bancari, ai quali fa capo oltre la metà dei progetti, e i restanti intermediari; i primi più consapevoli dei secondi delle possibilità offerte da Fintech e dunque maggiormente pronti a rivedere il proprio modello imprenditoriale. Investendo prevalentemente nello sviluppo di tecnologie e strumenti per la conclusione di contratti e operazioni a distanza (circa il 25% degli investimenti censiti), le banche maggiori si preparano ad alleggerire la propria rete distributiva e ad accrescere il peso dei servizi digitali da offrire alla clientela: si tratta, per lo più, di progetti per la gestione dell’identità elettronica ed il riconoscimento a distanza del cliente, necessari per sottoscrivere in remoto il contratto associato a un qualunque servizio bancario e finanziario.

Quale sarà la precisa traiettoria di riconfigurazione dell’industria finanziaria non è facile dirlo, ma è certo che gli snodi cruciali saranno rappresentati da un lato dalla riduzione dei costi anche attraverso l’alleggerimento degli sportelli e dall’altro dagli investimenti necessari per integrare le nuove tecnologie con i sistemi informatici preesistenti (i cosiddetti sistemi legacy). Le banche italiane, pur disponendo di un vantaggio competitivo in termini di approfondita conoscenza della clientela, dovranno adeguarsi al cambiamento per intercettare la domanda di servizi finanziari innovativi e reggere la concorrenza dei nuovi soggetti innovatori, tra cui probabilmente i giganti della tecnologia informatica e dei social media.

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LE REGOLE PER I PAGAMENTI PSD2

La regolamentazione assumerà un ruolo cruciale: già adesso la PSD2 ha impresso una forte accelerazione ai processi di trasformazione e di adozione delle innovazioni nel sistema dei pagamenti, prevedendo, inter alia, la nascita di nuovi soggetti come i TPP (Third Party Payment Services Provider), che avranno la possibilità di accedere ai conti correnti bancari. Ricorrendo alle API (Application Program Interface) i TPP saranno in grado di offrire servizi informativi sui conti e nuovi servizi di pagamento slegati dalle carte; mettendo in diretta connessione i merchant con i conti correnti dei clienti offriranno servizi in potenza più efficienti e a costi più bassi rispetto alle tradizionali modalità di pagamento (carte, bonifici, ecc.). L’erosione dei margini reddituali in questo settore potrebbe però non essere così rapida, consentendo agli intermediari tradizionali di riorganizzarsi per tempo: nelle economie emergenti, prive di un preesistente e sofisticato sistema di pagamenti, il passaggio dal contante al digitale è stato rapido; nelle economie più avanzate la transizione dalle carte (e dal contante) verso l’on line potrebbe essere rallentata dagli switching costs, soprattutto se i benefici non dovessero apparire così evidenti alla clientela, anche in termini di maggiore sicurezza delle transazioni effettuate attraverso dispositivi mobili.

Banche e Fintech: collaborazione o competizione?

Nei fatti la direttiva PSD2 pone le premesse per l’affermazione di un nuovo modo di fare banca attraverso la creazione di piattaforme multiservizi, sviluppate e gestite da banche, società non finanziarie o da entrambe; le strade potenzialmente percorribili sono molteplici in funzione del ruolo che le piattaforme assumeranno nel business bancario: da distributrici di prodotti e servizi finanziari, nell’ipotesi più conservativa, a terminal di vere e proprie funzioni esternalizzate dalle banche, quali l’erogazione dei prestiti, nelle ipotesi più suggestive.

In prima istanza, le banche potrebbero ritenere più conveniente monetizzare il patrimonio informativo della clientela, limitandosi a garantire l’accesso ai conti della clientela fornendo le proprie API. In alternativa a questa scelta minimalista e in linea con le tendenze in atto, potrebbero sfruttare l’impulso normativo, trasformandosi in piattaforme di commercializzazione di servizi finanziari propri e di altri intermediari: le banche-piattaforma rivestirebbero un ruolo ancora preminente, specializzandosi nell’offerta di servizi core da offrire, anche in modalità integrata, con quelli di altri fornitori (ad esempio money transfers, società di assicurazioni, ecc.).

Ma non è escluso che siano le cosiddette GAFA digital companies (Google, Amazon, Facebook, Apple) a sviluppare piattaforme proprietarie attraverso cui veicolare i servizi degli intermediari, con questi ultimi che si limiterebbero ad aderire soprattutto se di piccole dimensioni. Infine potrebbe imporsi un modello basato su piattaforme aperte, nel quale le banche continuano a commercializzare prodotti e servizi finanziari propri eventualmente realizzati da sviluppatori esterni, messi in condizione di accedere alle API delle stesse banche.

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Prestiti, prestiti, prestiti

Anche l’attività di prestito è investita da cambiamenti profondi e potenzialmente capaci di abbattere le asimmetrie informative tra prestatori e prenditori ed i connessi costi di screening e di monitoring. Le innovazioni non mancano, spaziando dallo sfruttamento di nuove tipologie di informazioni (tratte dai social, dal “mobile”, dai flussi di pagamento), alle metodologie di accertamento del merito creditizio fondate su algoritmi di machine learning, per giungere alla completa automazione dell’iter valutativo e deliberativo di un fido. Queste innovazioni possono combinarsi e innervarsi in una piattaforma, riproponendo il leit motiv dell’accesso alle piattaforme e del tipo di relazioni (cooperazione vs collaborazione) che si instaureranno tra gli intermediari e le imprese non finanziarie. Queste ultime, in considerazione degli elevati costi di provvista, potrebbero muovere una blanda concorrenza, circoscrivendo il proprio raggio d’azione all’erogazione di prestiti in crowdfunding per una clientela di nicchia; oppure acquisire una licenza bancaria – con l’obiettivo di contenere i costi della provvista attraverso la raccolta di depositi a vista – e concorrere con le banche su un ampio spettro di prodotti e servizi; oppure infine sviluppare forme di cooperazione nelle quali l’attività di prestito venga “esternalizzata” dalle banche alle piattaforme, permettendo alle banche di raggiungere nuove e più ampie fette di clientela.

E il surplus dei clienti?

Fintech offre enormi opportunità di profitto a chi saprà per tempo coniugare le tendenze del mercato con l’adozione tempestiva di nuove tecnologie; al tempo stesso promette significativi benefici per i consumatori nel loro duplice ruolo di debitori e di risparmiatori-investitori: l’abbattimento dei tempi e dei costi connessi alle operazioni di pagamento, la riduzione dei tempi di erogazione dei prestiti e verosimilmente un minore razionamento del credito, un menù virtualmente illimitato e trasparente di opzioni dal quale scegliere il prodotto di investimento più adatto e alle migliori condizioni possibili. Senza dubbio nei processi in corso e nello spirito delle regolamentazioni che li hanno assecondati sono connaturate simili opportunità; c’è tuttavia da chiedersi se, alla luce di alcune tendenze già chiaramente in atto, esse possano pienamente esplicarsi. Senza avere pretese di generalità, qualche semplice esempio può lasciare intendere i rischi che potrebbero correre i consumatori.

Alcuni algoritmi impiegati nelle moderne piattaforme di vendita e distribuzione di beni e servizi non finanziari tendono ad attribuire minore evidenza alle offerte commerciali dei venditori indipendenti rispetto a quelle dei venditori affiliati, mediamente meno vantaggiose; ne consegue un ampliamento della forbice tra il prezzo dei prodotti raccomandati e quello dei prodotti più economici, che fa sì che i clienti spendano molto più di quanto potrebbero. La trasposizione di algoritmi analoghi in un mercato come quello delle attività finanziarie produrrebbe conseguenze opposte a quelle attese; occorrerebbe almeno che le logiche sottostanti, se non addirittura omologate, venissero rese trasparenti e comprensibili.

Queste preoccupazioni potrebbero anche essere derubricate qualora le spinte concorrenziali assicurassero una pluralità di piattaforme finanziarie in competizione tra loro. Tuttavia, analogamente a quanto osservato in altre industrie, non è escluso che anche nei mercati dei servizi finanziari si avviino processi di concentrazione; dunque la tutela della clientela impone di esaminare il complesso dei rapporti economici e giuridici che verosimilmente si svilupperanno tra piattaforme e intermediari, discriminando, per quanto possibile con esattezza, le due rispettive sfere d’azione.

Indirizzi futuri

Se questi sono i possibili scenari, il rischio per gli intermediari di rimanere indietro può non essere remoto, anche considerando alcune azioni già intraprese. Ad esempio per le banche di minori dimensioni, la prevista creazione dei gruppi bancari cooperativi, dotati di poteri di coordinamento, risorse patrimoniali e una scala superiori a quelli dei singoli componenti e maggiormente compatibili con la complessità degli investimenti in gioco, costituisce una condizione necessaria per destinare maggiori risorse in Fintech. Tale condizione potrebbe però non essere sufficiente; come pure le scelte di riposizionamento delle banche maggiori, caratterizzate da una miscela di disinvestimenti dai canali distributivi tradizionali e investimenti nei servizi digitali.

Ciò che assume rilievo per le banche è infatti una strategia che inquadri il ruolo delle imprese Fintech e delle piattaforme: i consumatori tendono ad effettuare ricerche presso lo stesso motore di ricerca, ad acquistare beni e servizi presso lo stesso distributore on line, a stringere amicizie attraverso il medesimo social media. Comunque la si veda è vistoso il processo di consolidamento in atto nelle piattaforme di qualunque segmento merceologico; in prospettiva, anche nel settore finanziario, sarà cruciale sviluppare piattaforme – in competizione o in sostituzione degli sportelli – che assicurino la distribuzione dei servizi finanziari o quantomeno riuscire a guadagnarne l’accesso in condizioni non vessatorie.

Nota: le opinioni espresse nell’articolo non riflettono quelle dell’istituzione di appartenenza, ma soltanto quelle degli autori

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