I numeri ci dicono che il cashback sta riscuotendo un successo superiore alle aspettative. A oggi hanno aderito all’iniziativa quasi 8 milioni e trecentomila cittadini che hanno attivato 15 milioni di strumenti di pagamento attivati ed effettuato 414 milioni di transazioni.
Questa partecipazione di massa ha spinto moltissimo la diffusione di Spid, il sistema di identità digitale per accedere ai servizi online della pubblica amministrazione, e l’uso dell’app Io.
Cashback, cosa andrebbe cambiato?
Il gradimento delle misure per ridurre l’uso dei contanti è alto: secondo un recente studio (Community Cashless Society 2021) il 62% dei cittadini dà un giudizio positivo o estremamente positivo. Sempre secondo lo studio, il programma “Italia cashless”, di cui il cashback è lo strumento più importante, potrebbe ridurre di molto il ritardo dell’Italia nell’uso delle carte di pagamento e permettere di recuperare oltre 4 miliardi di evasione fiscale tra sommerso e IVA. Detto questo, non è tutto oro quello che luccica. Una serie di criticità sta via via emergendo e va affrontata, come chiede un ordine del giorno recentemente approvato dal Senato.
Cosa andrebbe, dunque, modificato? Il primo passo sarebbe una verifica puntuale dell’andamento del programma, numeri alla mano. Lo stanziamento è molto importante: quasi cinque miliardi di euro in due anni. Bisogna capire se è necessario spendere una cifra così elevata. I 3 miliardi previsti per il 2022 equivalgono, per fare un esempio, a metà dello stanziamento per l’assegno unico per i figli. Un altro punto chiave per valutare l’efficacia dello strumento è stimare nel modo più rigoroso possibile i reali benefici del cash back nella lotta all’evasione fiscale. Una volta analizzati i dati, andrebbero valutati alcuni correttivi. Si potrebbe intervenire, per esempio, sull’entità del premio e sulla percentuale riconosciuta. Si dovrebbe valutare se mantenere o meno il super bonus, che sta generando il fenomeno dei “furbetti” che registrano una miriade di micro transazioni per entrare nella classifica dei vincitori. L’adozione di almeno parte di queste misure permetterebbe di limitare le distorsioni e risparmiare parecchi soldi, che si potrebbero dirottare sull’emergenza economica e sociale. Una riflessione ulteriore si dovrebbe fare, a mio giudizio, anche sul rischio di regressività del cash back: permangono molti sull’utilità di far partecipare al meccanismo premiale utenti ad alto reddito che non hanno certo bisogno del cash back per abituarsi ad usare le carte di pagamento.
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Ma trovare soluzioni per questo problema potrebbe essere complesso, da un punto di vista tecnico.
La necessità di una strategia pubblica di digitalizzazione dei pagamenti
Il punto di partenza di qualunque intervento non può che essere, comunque, la condizione di forte ritardo del nostro Paese nella diffusione dei pagamenti senza contante. In media, ogni cittadino italiano usa le carte di pagamento 61 volte l’anno, contro una media europea di 168 e una punta massima di 386 transazioni in Danimarca. Viceversa, siamo ai primi posti in Europa e nel mondo per il peso dei contanti sul PIL. Questo panorama sconfortante sta cambiando, anche se ad un ritmo non soddisfacente.
La pandemia ha contribuito ad accelerare il cambiamento: durante il lockdown milioni di italiani hanno preso familiarità con l’e-commerce e con una serie di servizi online che presuppongono l’uso di carte di pagamento. Gran parte di questo cambiamento rimarrà anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria. Ciò non toglie che una strategia pubblica di digitalizzazione dei pagamenti sia necessaria.
Il programma “Italia cashless” varato dal governo Conte 2 è, da questo punto di vista, il più completo e articolato a livello europeo. Oltre al cash back, prevede un progressivo abbassamento della soglia di utilizzo del contante, la lotteria degli scontrini, la detraibilità delle sole spese fiscali tracciabili, i buoni pasto elettronici, il credito d’imposta per gli esercenti. Le potenzialità per dare una forte spinta alla modernizzazione del sistema dei pagamenti ci sono tutte.
La massimizzazione dei pagamenti cashless è uno strumento fondamentale per ridurre il peso dell’economia sommersa, recuperare evasione fiscale e risparmiare una parte importante dei 7,4 miliardi che attualmente secondo Banca d’Italia spendiamo ogni anno per la gestione del contante.
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Conclusioni
Nel quadro di possibili altri interventi o iniziative pubbliche a sostegno dei pagamenti elettronici, un punto chiave è il rapporto dei cittadini con le pubbliche amministrazioni. I progressi sono continui ma molte arretratezze devono essere ancora superate. Per fare un esempio, nove comuni su dieci hanno aderito alla piattaforma PagoPA, ma a fine 2020 il 44% non aveva ancora attivato alcun servizio di incasso sulla piattaforma. In tante, troppe realtà è tuttora impossibile usare bancomat o carta di credito per pagare multe o tasse. Bisogna accelerare. Da questo punto di vista, un aiuto fondamentale può venire dal programma Next Generation EU. L’Italia avrà a disposizione risorse importanti per la digitalizzazione dei servizi pubblici. È di fondamentale importanza spenderle e spenderle bene, aiutando la pubblica amministrazione a fare un vero e proprio salto in avanti.