Criptoeconomy

Obbligo di iscrizione al registro OAM per gli operatori cripto: cosa è cambiato e tutte le sanzioni

I prestatori di servizi di portafoglio digitale e criptovalute sono ora obbligati a iscriversi alla sezione speciale del registro OAM, un’anagrafe nata per tutelare gli utenti e prevenire il riciclaggio di denaro: tutti gli obblighi e le sanzioni, chi si è già iscritto e perché resta difficile eliminare l’anonimato

Pubblicato il 19 Set 2022

Gianluca Albè

A&A – Albè & Associati Studio Legale

Federica Bottini

A&A – Albè & Associati Studio Legale

criptovalute sostenibili e bitcoin green

A seguito dell’entrata in vigore del Decreto MEF del 13 gennaio 2022, l’iscrizione alla sezione speciale del Registro dell’OAM – Organismo Agenti e Mediatori – è diventata obbligatoria per tutte le persone fisiche e giuridiche che prestano servizi in materia di valuta virtuale, con l’obiettivo di incrementare la trasparenza delle operazioni che coinvolgono criptovalute.

Lo scorso 15 luglio è terminato il periodo transitorio per l’iscrizione degli operatori già attivi sul territorio italiano, con sede o stabile organizzazione in Italia: il decreto MEF ha quindi dettato nuove regole per l’operatività dei prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale e dei prestatori di servizi di portafoglio digitale, tenuti ora a rendere pubblica la propria operatività sul territorio nazionale.

Registro operatori criptovalute: procedure e consigli pratici per l’iscrizione

Quali piattaforme hanno l’obbligo di iscrizione e chi si è iscritto

Ricadono nell’ambito di applicazione delle nuove disposizioni i servizi aventi ad oggetto l’offerta di criptovalute a terzi, a titolo professionale, con esclusione dell’attività di mera emissione in proprio di valute virtuali.

Precisamente, sono soggette all’obbligo di iscrizione le piattaforme che offrono:

  1. servizi funzionali all’utilizzo e allo scambio di valute virtuali e/o alla loro conversione con valute aventi corso legale o rappresentazioni digitali di valore;
  2. servizi di emissione e di offerta di valute virtuali;
  3. servizi di trasferimento e di compensazione in valute virtuali;
  4. ogni altro servizio funzionale all’acquisizione, alla negoziazione o all’intermediazione nello scambio di valute virtuali;
  5. servizi di portafoglio digitale.

Alla scadenza del termine concesso per presentare la domanda, stabilito in sessanta giorni successivi alla operatività della sezione speciale del Registro, l’iscrizione è andata a buon fine per quarantasei soggetti che, quindi, possono continuare ad esercitare la propria attività in Italia lecitamente.

Si tratta non solo di exchange italiani, ma anche di operatori attivi a livello globale con sedi destinate al mercato italiano, tra cui si collocano colossi come Binance, che hanno reagito con entusiasmo alla novità: da una efficace disciplina del fenomeno può derivare una maggiore fiducia verso le criptovalute non solo da parte degli utenti, ma anche delle stesse istituzioni.

Anonimato messo al bando e tutte le nuove misure di trasparenza

Per gli utenti non si è verificato un cambiamento significativo delle modalità di fruizione dei servizi in criptovalute, che rimangono invariate. Gli operatori intenzionati a proseguire in tale settore, invece, sono stati chiamati – e sono chiamati – ad adeguarsi.

In particolare, l’anonimato è stato messo al bando grazie all’istituzione della sezione speciale del Registro, che svolge le funzioni di una vera e propria anagrafe, rendendo i prestatori di servizi noti sin dall’esordio e sempre rintracciabili.

Infatti, il Decreto del MEF si colloca tra le misure adottate ai fini della prevenzione del riciclaggio di denaro e finanziamento del terrorismo, ossia di reati che negli ultimi anni hanno trovato terreno fertile nel mondo delle criptovalute al pari di altre attività illecite.

Sfruttando l’anonimato delle transazioni e la conseguente difficoltà di risalire non solo alla provenienza dei fondi trasferiti, ma anche all’identità dei titolari, l’ambito crypto è risultato appetibile per le organizzazioni criminali, con rischi di frodi e altre condotte criminose a danno degli investitori.

Proprio a beneficio di una maggiore trasparenza, in grado di mitigare i rischi connessi alla dubbia provenienza e destinazione dei fondi che connotano alcune transazioni, le attività sono sottoposte fin dall’origine a controlli istituzionali: le attività, ottenendo l’iscrizione nel Registro, vengono autorizzate e rimangono poi tracciate anche nel corso del relativo svolgimento.

Per poter eseguire lecitamente attività sul territorio, infatti, i prestatori di tali servizi – che possono essere indifferentemente persone fisiche o persone giuridiche – sono tenuti a comunicare una serie di dati relativi alla propria identità e all’attività svolta: oltre a nome e cognome o denominazione sociale, codice fiscale o partita iva, accompagnati da documenti di identificazione e visura, devono essere fornite adeguate informazioni anche in merito alla tipologia di servizio prestato e al luogo in cui lo stesso è svolto, rendendo noto l’indirizzo dei punti fisici di operatività e/o l’indirizzo web attraverso cui il servizio viene erogato.

Inoltre, vengono posti a carico degli operatori incisivi obblighi informativi con cadenza periodica, che permettono alle istituzioni di mantenere sotto controllo le attività.

Gli operatori, ogni trimestre, sono ora tenuti a comunicare al Registro i dati relativi alle operazioni effettuate sul territorio con riferimento a ciascun cliente. In particolare, devono essere comunicati non solo i dati identificativi degli stessi, ma anche dati relativi all’operatività e al numero delle operazioni poste in essere.

L’OAM ogni sei mesi trasmette una relazione al MEF sui dati raccolti, che vengono conservati per dieci anni e messi a disposizione di Autorità quali Guardia di Finanza e Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo (DNAA), istituendo un sistema di cooperazione.

Il vantaggio della misura nella prevenzione delle attività illecite così come nella tutela dell’investitore è sicuramente evidente: l’iscrizione offre un ulteriore ausilio per l’investitore nella valutazione degli indici di bontà di un progetto e di affidabilità del provider o del gestore di portafogli. Infatti, alla lettura del whitepaper messo a disposizione dai Founder, l’investitore può verificare la regolare iscrizione al Registro e, in mancanza, desistere dall’investimento o anche solo detenere un portafoglio digitale su una determinata piattaforma.

L’esercizio di attività da parte di soggetti non iscritti all’apposita sezione del Registro viene anzi considerato abusivo e passibile, quindi, di sanzioni.

Le nuove sanzioni previste dalla normativa

L’OAM collabora con diverse Autorità, tra cui come visto anche Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, Guardia di Finanza e forze di polizia, a cui fornisce su richiesta tutte le informazioni e i documenti acquisiti nell’espletamento delle proprie funzioni, al fine di agevolare l’esercizio dei compiti demandati a tali istituzioni.

L’art. 4 del Decreto del MEF ha però dotato anche lo stesso Organismo che cura la tenuta del Registro di poteri di sospensione fino a un massimo di un anno e cancellazione dalla sezione speciale, previsti dall’art. 17 bis del D.lgs. n. 141/2010, che disciplina l’attività dei soggetti che svolgono attività di cambiavalute, a cui per certi aspetti può essere assimilata l’attività degli operatori in valute virtuali.

Tali poteri, esercitati sotto la vigilanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, possono essere attivati in caso di reiterata violazione, da parte del soggetto iscritto, dell’obbligo di fornire periodicamente informazioni circa le operazioni effettuate o anche in caso di inattività protrattasi senza comprovati motivi per oltre un anno o, ancora, in caso di cessazione dell’attività dell’iscritto.

Per chi invece non è iscritto, ma ugualmente esercita attività in modo del tutto abusivo, è prevista una sanzione amministrativa di importo compreso tra € 2.065,00 ad € 10.329,00, emanata dal MEF.

Inoltre, ai sensi dell’art. 6 del Decreto del MEF, nell’ambito della cooperazione posta in essere tra i diversi soggetti coinvolti, le forze di polizia e la Guardia di Finanza che rilevino l’esercizio abusivo sul territorio italiano di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale o di servizi di portafoglio digitale, una volta accertato, possono contestare le violazioni secondo quanto previsto dalla L. n. 689/1981, quindi mediante sanzioni di tipo amministrativo.

Conclusioni

Si è comunque osservato che pur mitigando i rischi, anche con l’istituzione di una sezione speciale del Registro dedicata agli operatori in valuta virtuale, rimane non sempre agevole individuare tutti i soggetti che prestano attività in modo abusivo, specialmente se poco rintracciabili poiché, ad esempio, collocati in luoghi offshore.

Le transazioni in criptovalute, infatti, pur rimanendo tracciate all’interno della blockchain, sono molto rapide e offrono per natura garanzie di anonimato, per cui può risultare molto difficoltoso individuarne la destinazione delle risorse e identificare soggetti non censiti che comunque svolgono attività abusivamente.

Analogamente, le sanzioni pecuniarie potrebbero risultare poco incisive a fronte del business generato da affari illeciti, mentre una maggiore efficacia deterrente può essere ottenuta ricorrendo a sanzioni che inibiscano l’esercizio delle attività.

In particolare, vengono considerate applicabili anche sanzioni che dispongono il sequestro o la confisca e, se si tratta di siti internet, l’oscuramento degli stessi.

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