Se gestiti nel rispetto dei diritti e delle libertà, e in modo sicuro, anche i cosiddetti “patentini vaccinali digitali” possono svolgere una funzione utile. Tuttavia, non possono e non devono diventare una scorciatoia, per molte ragioni.
Il tema del “patentino vaccinale” apre già di per sé la strada a un dibattito articolato e complesso su molti livelli. Nei termini in cui se ne discute attualmente, non è chiaro se verrà introdotto, e se sì, se verrà usato come pungolo a vaccinarsi per le categorie più esposte come medici e infermieri, oppure se diventerà uno strumento a disposizione di tutti, un “lasciapassare” che permette una maggiore libertà di movimento ai vaccinati in uno scenario di coprifuoco alle 22, di divieti negli spostamenti, ecc.
Ci sembra utile, pertanto, fare subito alcune considerazioni politiche e giuridiche, di metodo e di merito anche pensando a una possibile declinazione “digitale” della questione.
Il vaccino, terra promessa contro il covid
Con una pandemia che non accenna a rallentare, è inevitabile che il vaccino anti Covid-19 diventi la terra promessa. Ci troviamo, però, in una situazione inedita. Da un lato, i vaccini sono stati sperimentati e approvati in meno di un anno; dall’altro, non ci sono ancora le prove che, oltre a proteggere chi lo assume, ne inibiscano la contagiosità; inoltre, se ne ignorano le possibili conseguenze negative nel medio-lungo periodo. Il misto fra entusiasmo ufficiale e inconfessabili incertezze sta inducendo i decisori politici a un atteggiamento ambivalente: lo presentano come la via d’uscita, ne programmano la somministrazione, spingono una minoranza scettica ad accettarlo per senso di responsabilità, ma almeno per ora si astengono dal renderlo obbligatorio.
In realtà, in Italia, a livello normativo (legge 119/2017) è già presente una distinzione – per i minori di età da 0 a 16 anni – fra vaccinazioni obbligatorie come l’anti-poliomelitica, l’antidifterica e l’antitetanica, e vaccinazioni “fortemente raccomandate”, come l’anti-meningococco B e C e l’anti-pneumococco. Di alcune di queste vaccinazioni obbligatorie, viene poi raccomandato il richiamo agli adulti.
E qui arriviamo al punto: la messa a fuoco sul piano dei diritti, delle libertà e della protezione dei dati personali del “patentino vaccinale”.
Cos’è il patentino vaccinale
Il patentino vaccinale è un documento attestante l’avvenuta vaccinazione di una persona.
Nella seduta del 13 gennaio, il Governo ha approvato un nuovo decreto-legge con “Ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento e prevenzione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19 e di svolgimento delle elezioni per l’anno 2021”. Fra le varie previsioni, il decreto-legge istituisce una piattaforma informativa nazionale idonea ad agevolare, sulla base dei fabbisogni rilevati, le attività di distribuzione sul territorio nazionale delle dosi vaccinali, dei dispositivi e degli altri materiali di supporto alla somministrazione, e il relativo tracciamento. Intervistato sull’introduzione del patentino vaccinale, il commissario Domenico Arcuri ha dichiarato che non sarebbe una cattiva idea, e che la piattaforma lo permetterebbe.
Patentino e obbligatorietà del vaccino
Ovviamente, è doveroso che in una campagna di vaccinazione si tenga traccia di chi si è vaccinato e che, se richiesta, gliene si dia un’attestazione. Qualora reso obbligatorio per alcune categorie di lavoratori (es. personale delle RSA), però, il patentino vaccinale renderebbe indirettamente obbligatorio il vaccino stesso: infatti, è difficile che qualcuno scelga di non vaccinarsi se senza fare il vaccino non può lavorare.
Volendo scommettere sulla capacità dei vaccini di bloccare la contagiosità, si potrebbe arrivare a decidere che luoghi oggi chiusi come cinema, teatri, stadi, vengano riaperti permettendone l’accesso ai vaccinati. Una norma che prevedesse questi vantaggi mentre la campagna vaccinale è in corso, però, potrebbe generare polemiche. Oltre a discriminare coloro che non possono vaccinarsi per motivi di salute o che scelgono liberamente di non farlo, infatti, precluderebbe l’esercizio di alcune libertà a persone che – dovendo attendere il loro turno per la vaccinazione – non hanno nemmeno la possibilità di scegliere. Una norma che prevedesse ciò a campagna vaccinale conclusa sarebbe meno eclatante, ma manterrebbe delle implicazioni potenzialmente discriminatorie, esposte a una censura di illegittimità costituzionale.
Mentre l’Italia rimanderà le discussioni e decisioni sull’argomento al dopo-crisi di Governo, il Primo Ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha scritto alla Commissione che è urgente adottare un’intesa comune a livello UE su come strutturare un certificato di vaccinazione accettabile in tutti gli Stati membri.
In Germania, il ministro dell’Interno Horst Seehofer ha escluso un trattamento speciale per i vaccinati; tuttavia, è sembrato pessimista sulla possibilità di impedire alle imprese di stabilire situazioni diverse fra dipendenti vaccinati e no. Inoltre, in molti Stati dell’Unione (Belgio, Spagna, Ungheria, ecc.) si sta facendo strada un orientamento favorevole a riconoscere vantaggi a chi si vaccina, o a porre restrizioni a chi non si vaccina.
Patentino vaccinale e tutela dei diritti individuali
Partiamo dal “se” l’istituzione del patentino vaccinale sia compatibile con il livello di tutela dei diritti individuali e delle libertà faticosamente conquistato. Questo, in entrambe le declinazioni: obbligo per alcune categorie e opportunità per altri. Il bilanciamento fra sicurezza collettiva e libertà individuale è pane quotidiano di qualsiasi democrazia e impone la ricerca di punti di equilibrio nel campo della salute pubblica, dell’ordine pubblico, della giustizia. Sappiamo, ormai, che in tempo di pandemia una restrizione mirata e temporanea delle libertà individuali è l’unico modo per impedire il dilagare esponenziale del virus. La posta in gioco è alta: la morte dei più fragili, l’angoscia per tutti, il collasso del sistema sanitario.
Nonostante tutte le ragioni pratiche che possono rendere sul piano del ritorno alla normalità appetibile l’introduzione del patentino vaccinale, la risposta al “se” introdurlo è connessa all’obbligatorietà o meno della vaccinazione. Se la vaccinazione viene resa obbligatoria, il patentino è un “di cui” di questo obbligo. Così come per guidare è obbligatorio sia ottenere la patente sia averla con sé se si guida, allo stesso modo in tempo di pandemia per determinate attività potrebbe diventare obbligatorio essere vaccinati, e dimostrare di esserlo quando si entra a contatto col prossimo, in spazi chiusi o in cui si sta insieme agli altri. Però come abbiamo visto sopra ci sono ragioni che sconsigliano l’imposizione di questo vaccino per legge.
Patentino sì, ma facoltativo?
In un contesto come quello attuale dove il vaccino è solo raccomandato, la valutazione sul “se” introdurre il patentino – sia sul piano dei diritti e delle libertà sia su quello della protezione dei dati personali – è connessa al “come” avviene questa introduzione. Dall’angolo visuale della Costituzione e del GDPR, l’unica risposta possibile alla domanda sulla fattibilità del patentino vaccinale è: “dipende”.
Rendere obbligatorio il patentino vaccinale in assenza di obbligatorietà del vaccino sarebbe inaccettabile, ça va sans dire, perché comporterebbe un’introduzione surrettizia dell’obbligo di vaccinazione.
Viceversa, sarebbe accettabile che – simmetricamente all’assunzione del vaccino – l’acquisizione del patentino venisse sì raccomandata a chi si è vaccinato, ma rimanesse facoltativa, ponendo cioè chi si vaccina in condizione di scegliere se dotarsi di uno strumento che renda immediatamente verificabile la sua situazione vaccinale da persone o enti con cui si interfaccia, o no. Visto che il patentino vaccinale è un’attestazione da produrre, la scelta se disporne dovrebbe essere in capo a chi ha scelto di sottoporsi a vaccinazione, forma espressiva della sua libertà di auto-determinazione informativa, secondo cui ognuno deve essere libero di decidere quanto condividere e rendere fruibili a terzi propri dati personali. La scelta di non dotarsi del patentino vaccinale da parte di chi si è vaccinato potrebbe essere legata ad una sfera personale di idealità e convinzioni, o di riserbo su qualcosa che, in quanto raccomandato ma non obbligatorio, si decide per i motivi più vari (coerenza, immagine, cautela nella condivisione di dati sanitari) di non volere rendere noto in contesti quali il lavoro, la vita associata, lo sport, ecc.
Patentino digitale, i nodi privacy
Nell’ottica della protezione e della sicurezza dei dati personali, l’altro tema cruciale è quello del supporto. Nel 2021, appare inevitabile che si pensi a un patentino vaccinale digitale, integrato con la piattaforma informativa nazionale e incorporabile in un dispositivo mobile (i-Phone, smartphone, ecc.). Proprio per questo, non si può prescindere dal “come” le cose verrebbero fatte, e il “come” dipende da varie esigenze. Giusto per fare un esempio, è probabile che la durata della copertura vaccinale sarà suscettibile di modifiche a seconda dell’esperienza. Questo potrebbe indurre a fare sì che il passaporto digitale sia soggetto a validità temporale, ed eventualmente integrato da informazioni (ricavabili in via automatizzata da chi lo consulta per consentire l’accesso a locali o servizi) sullo specifico vaccino assunto, o simili.
Una soluzione di patentino vaccinale digitale, sempre se facoltativa, sarebbe accettabile ai sensi del nostro codice privacy soltanto se qualificata a livello normativo come essenziale per l’esecuzione di un compito di interesse pubblico. In ogni caso, sarebbe qualificabile come trattamento che presenta rischi elevati. Non è difficile immaginare i flussi di dati sanitari che ne deriverebbero, e i rischi legati dall’avere incorporato in un dispositivo mobile qualcosa che ha tanta importanza sia sul piano della salute sia su quello dell’esercizio delle libertà individuali. Dunque, dovrebbe poggiare su una Valutazione d’impatto del Ministero della Salute, soggetta al parere del Garante per la protezione dei dati personali, e forse a misure organizzative e tecniche ed altri accorgimenti a garanzia degli interessati definiti dal Garante stesso, anche d’ufficio.
Il ritorno alla normalità passa per l’etica della responsabilità individuale, per il rispetto delle regole e per il presidio sul rispetto di queste regole da parte delle autorità preposte.