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Pensione gestione separata, come funziona: fattori discriminatori e soluzioni



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Come funziona e si calcola la pensione gestione separata: ripercorriamone la storia per capire gli aspetti che portano a discriminazione nel contesto contributivo italiano

Pubblicato il 8 mar 2024

Nicola Testa

Presidente U.NA.P.P.A. Unione Nazionale Professionisti Pratiche Amministrative



riforma pensioni 2022

Pensione gestione separata: ci sono fattori di discriminazione. Il tema previdenziale indubbiamente è quello che costantemente viene dibattuto dal legislatore che ciclicamente ci propina qualche riforma. Tuttavia è un tema importante che non si può più sottovalutare da molti punti di vista: sostenibilità in primis, aspettativa di vita che per fortuna si sposta sempre più in avanti e rapporto tra lavoratori attivi e pensionati che necessità di essere riequilibrato.

Ma non possiamo dimenticare forse il più importante: equità che deve essere rinsaldata.

Come funziona la pensione in Italia

Il sistema pensionistico, pubblico o privato che sia, si caratterizza per prestazioni e contributi definiti:

  • I primi, detti anche a ripartizione o retributivi sono caratterizzati dal fatto che le prestazioni erogate sono in genere indipendenti dai contributi versati nel corso della vita lavorativa e sono calcolate in relazione a parametri prestabiliti, per esempio 80-90% dell’ultimo stipendio uno, quest’ultimo, degli elementi più importanti del dissesto delle casse previdenziali. Il rapporto fra l’importo dell’ultimo stipendio e quello della prima pensione si chiama tasso di sostituzione. Per essere sostenibile nel lungo periodo un tale sistema deve avere o rendimenti elevati per i contributi versati, una popolazione crescente e/o un aumento della produttività, in modo che una accresciuta massa salariale delle generazioni successive generi tasse e contributi sufficienti a pagare le pensioni di quelle precedenti.
  • I secondi sono definiti anche a capitalizzazione o contributivi e le prestazioni sono strettamente collegate ai contributi versati nel corso della vita lavorativa opportunamente rivalutati a un tasso stabilito dal promotore del piano pensione. In genere, in un piano privato, quando matura il diritto a ricevere la pensione, il beneficiario può scegliere se ricevere il capitale più interessi, che insieme costituiscono il montante, o se convertire il montante in rendita vitalizia applicando un coefficiente di conversione calcolato in base alla aspettativa di vita del beneficiario e al tasso di interesse minimo garantito dallo sponsor del piano di pensione per l’uso del capitale. Ciò non può avvenire nel sistema pubblico.

La previdenza ha un elemento che nessuno può prevedere con certezza, il “tempo” e per questo, un sistema previdenziale deve essere non solo saldo e sostenibile, ma anche equo perché la democrazia basa le sue certezze, tra le tante precondizioni, sull’uguaglianza e non si capisce perché, come vedremo, questa uguaglianza si cerca in tutto ma non nella previdenza che ha invece una sacca enorme di discriminazione.

Tra l’altro serve trovare un nuovo assestamento di questo importante pilastro del nostro sistema sociale, perché dobbiamo rinsaldare un patto tra generazioni che rischia di saltare su questo elemento. Da sempre i nostri padri hanno tentato di lasciare ai propri figli qualcosa di meglio di cosa avevano ricevuto, ecco, sulla previdenza, rischiamo invece di non rispettare questa quasi tacita condizione che le generazioni hanno saputo gestire.

Pensioni, le varie modifiche con discriminazione

Senza andare indietro nella storia ricorderemo tra i tanti ritocchi la “Fornero” che ha messo in difficoltà tantissime persone modificando aspettative e progetti perché chiamati a porre rimedio a una situazione grave per il Paese; per arrivare alle ultime release 100, 102, 103 che in taluni casi hanno pensato più all’oggi e all’appuntamento elettorale che alla sostenibilità e miglioramento del sistema.

Pensioni gestione separata

Tra queste abbiamo avuto “scaloni” di Maroni e prima “riforma Dini” che introduce nel 1995, con la legge 8 agosto nr. 335, la Gestione Separata. E qui che inizia una storia di “ordinaria discriminazione”, così dobbiamo definire questa nuova (non più tale) gestione che introduce di fatto un principio di diversità tra lavoratori.

Già nella sua genesi terminologia “separata” indica qualcosa di diverso, da trattare diversamente, fuori dallo standard, insomma da considerare diversa, eppure anche allora parlavamo di lavoratori. Questo polmone previdenziale, che molto probabilmente oggi paga anche le pensioni di altri con le proprie risorse, proprio perché separata, può essere gestita diversamente. E infatti così è!

Gestione separata, cos’è

La gestione separata nasce come forma di previdenza obbligatoria per uniformare quel sistema dei contratti di lavoro “atipici” (parasubordinati vari), dove spesso, possiamo e dobbiamo dirlo, si annida anche l’abuso e a tal proposito, il ragionamento che oggi facciamo in favore di chi la partita Iva l’ha scelta è certamente diverso per chi invece la partita Iva l’ha subita per obbligo.

L’articolo 2 comma da 25 a 33, della citata legge 335 del 1995, introduce l’obbligo a partire dal primo gennaio 1996 di iscrizione per talune professioni in questa apposita gestione: lavoratori che esercitano la professione in modo abituale, anche se non esclusiva, titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa sia come rapporto tipico che atipico (amministratori di azienda, incaricati di vendita a domicilio, dal 2004 associati in partecipazione, etc.). La legge istitutiva prevede che l’onere contributivo sia sostenuto in parte dal professionista 1/3 e in parte dal committente 2/3, per chi può utilizzare questa modalità. Per i lavoratori autonomi titolari di partita Iva invece, prevista la possibilità di applicare una rivalsa in misura fissa del 4% in fattura.

Con la riforma del mercato del lavoro (Legge Fornero, in vigore dal 18 luglio 2012), ai fini dell’onere contributivo viene stabilità:

  • nel caso di collaborazione senza partita Iva l’onere contributivo è sostenuto per 2/3 dal committente e per 1/3 dal lavoratore, ma chi è obbligato materialmente al versamento dei contributi Inps è soltanto il committente;
  • nel caso di collaborazione con partita Iva ai fini del versamento dei contributi alla gestione separata Inps risponde esclusivamente il lavoratore.

È una gestione differenziata, sia per le percentuali da pagare in base al reddito prodotto, sia per i ristorni che a fine carriera riceverò. Le aliquote attuali possono andare dal 25 al 35% a cui oggi si aggiunge la ISCRO (Indennità Straordinari di Continuità lavorativa) cioè una cassa integrazione, banalmente definita, che interviene in determinate situazioni, quasi impossibili da verificarsi, ma che ha una funzione nobile, aiutare nel momento di difficoltà anche il lavoratore autonomo. In termini di principio decisione condivisibile, anche noi come categoria l’abbiamo fatto, in quanto introduce nell’ordinamento una decisione storica, equiparare anche il lavoratore autonomo a qualsiasi altro lavoratore a cui va dato aiuto nel momento di difficoltà.

Perché la gestione separata è discriminatoria

Ebbene vediamo cosa ne pensate di un sistema che prevede tali differenze:

  • Artigiani pagano dal 23,25 al 25% con un minimale di € 4.427,00 su 18.415,00€ di reddito annuo, con un massimale di 91.680,00€ oltre il quale non si paga più.
  • Commercianti pagano dal 23,73 al 25,48 con un minimale di € 5.515,00 su 18.415,00€ di reddito e poi aliquote a scalare oltre il minimale, con un massimale di 91.680,00€ oltre il quale non si paga più.
  • Gestione Separata si paga dal 25 a 35% a cui si aggiunge la ISCRO del 0,35% suddivisa tra chi è iscritto in altra cassa previdenziale e chi invece non iscritto, con un massimale di 119.650,00€, non ha minimale

A prima vista possiamo notare come siano diverse le % e il fatto che due gestioni hanno un minimale e la G.S. no, poi vedremo questo cosa comporta. Poi abbiamo poi un massimale diverso in cui la G.S. distanzia le altre due di parecchie migliaia di euro e non si capisce il perché, salvo presunzioni, ad esempio che un autonomo guadagna sicuramente di più, in ogni caso avremmo una discriminazione.

La dannazione del socio amministratore

Tutte e tre sono gestioni, commercio, artigiano, gestione separata, sono casse nelle quali versano lavoratori autonomi. Alcuni di essi, in talune situazioni, si organizzano in forma di impresa con società di capitali, pensiamo al nostro tessuto imprenditoriale e subito riscontreremo che molte sono piccole e micro. Per il nostro modello di prelievo previdenziale questo modello organizzativo è un’aggravante, in tale caso infatti, se sei un socio di una piccola azienda e partecipi all’attività produttiva, dovrai pagare oltre che la gestione separata sul tuo compenso, anche la cassa di riferimento artigiani o commercianti, e dovrai pagare il minimale a prescindere dal risultato della tua impresa.

La doppia contribuzione

Questa situazione viene definita obbligo di “doppia contribuzione”. Cioè per fare un esempio se io sono socio di una impresa e lavoro operativamente come amministratore pagherò:

  • la percentuale sul mio compenso, con la mia gestione separata, ma in tale caso sarò agevolato, verserò con l’aliquota di riferimento della seconda cassa, ad esempio commerciante;
  • poi pagherò sempre della gestione commercianti quanto previsto per quella cassa, il relativo minimale e l’IVS in esubero fino al raggiungimento del massimale su cui viene calcolata, cioè i 91.680,00€.

Tenendo presente che se la società in cui lavoro avrà una perdita, pagherò ugualmente il minimale; se avrà degli utili che distribuirò, su quelli pagherò una tassazione autonoma.

Insomma facilmente pagherò più di altre situazioni in cui sono riuscito a mascherare questa mia esposizione come socio, magari intestando le mie quote a una bella società fiduciaria.

Tra l’altro viviamo il paradosso che orami decine di sentenze hanno stabilito che tale prelievo non è corretto e in alcuni casi considerato illegittimo. Purtroppo a far valere questo diritto, puoi arrivare sempre e solo con una sentenza, cioè ricorrendo all’autorità giudiziaria, cosa non sempre semplice per tutti oltre che onerosa. Pertanto si rimane stretti nella morsa del “pagare perché è troppo complesso contrastare le presunzioni dell’Istituto (Inps)”.

Anno di anzianità gestione separata

Ma non finisce qui la discriminazione. Un ulteriore fattore, in particolare per i giovani che entreranno nel mondo delle professioni nel futuro, che probabilmente potranno avere carriere discontinue, salti tra le varie gestioni per i vari lavori che faranno durante la vita lavorativa. Ebbene, per la sola gestione separata l’anno di anzianità non matura con i mesi che lavori, ma con quanto versi, cioè ti verrà riconosciuto solo al raggiungimento del minimale di 18 mila euro di reddito. Pertanto se saremo sfortunati, dovremo attingere a mesi dell’annualità successiva per poter accreditare le “settimane lavorative” necessarie e cioè fino al raggiungimento della soglia di reddito.

La mia pensione quale sarà?

Un ultimo passaggio che non possiamo dimenticare, ancora più importante, dato dal fatto che per le varie pensioni vi sono differenti modalità di ricalcolo, cioè il metodo con il quale sarà calcolato quanto avremo maturato con il nostro montante. Montante che è quell’importo che, come piccole formichine, avremo versato in questo nostro salvadanaio nel corso dei decenni di attività. Avremo due modelli, uno ai fini della pensione dove si collocano tutte le casse previdenziali, e l’altro della rendita finanziaria in cui si inserisce la G.S. dove il ricalcolo è molto penalizzante per quest’ultima. Abbiamo coefficienti di trasformazione differenti, minori, e questo è un ulteriore beffa verso il lavoratore autonomo della gestione separata.

A parità di versamento, due lavoratori saranno considerati meritevoli in modo diverso. Cioè i 100 euro versati da un commerciante, non sono uguali ai 100 euro versati da un professionista, nel nostro caso quelli che afferiscono alla Legge 4/2013, ma in generale tutti i lavoratori autonomi.

Come se non bastassero i disastri che sono stati fatti nei decenni passati, là dove abbiamo avuto anche concessioni di pensione a lavoratori che hanno beneficiato di enormi regalie da parte della collettività, con pensionamenti dopo pochi anni di attività; dopo aver eluso nei decenni il pagamento dovuto in forza di un sistema di controllo che potremo definire più blando dato anche dalla capacità tecnologica a disposizione all’epoca; oltre a varie distribuzioni di pensioni che negli anni sono state più o meno messe in campo, e in ultimo, grazie anche a un vantaggio che il metodo “retributivo” ha generosamente elargito; ebbene, dopo tutto ciò, siamo riusciti a costruire un molosso che si chiama Gestione Separata che differenzia e discrimina senza alcuna logica. Si, abbiamo fatto tutto da soli!

Pensioni, possibili soluzioni

Oggi dobbiamo porre l’attenzione su questo tema e immediatamente lavorare per risolvere questo stato di cose che non è più tollerabile. A tal proposito speriamo che la nuova “commissione bicamerale parlamentare di controllo sull’attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale” lavori alla risoluzione di questo e altri problemi che sulla previdenza insistono.

In un sistema che vuole essere chiamato “equo” non possiamo più tollerare differenze tra lavoratori che hanno tutti pari dignità e parità di diritto di poter godere della propria serenità a fine carriera.

Cosa serve

  • riorganizzare le aliquote uniformandole e abbattendo tutte le attuali differenze di percentuali di prelievo
  • rendere i calcoli per le pensioni uniformi per tutte le casse
  • annualità lavorative da riconoscere anche al mancato raggiungimento dei 18mila euro di reddito
  • eliminare la doppia imposizione o fare ordine
  • riorganizzare la gestione separata creando gruppi chiaramente identificabili ai fini di una migliore analisi, anche in funzione dell’attività legislativa.

Certo oggi siamo in un sistema “contributivo” anche se non del tutto puro, cioè un sistema di accumulo, dove per principio ogni lavoratore percepirà in base a ciò che ha versato, ma proprio per questo oggi non possiamo più tollerare che ci siano categorie che afferiscono alle casse pubbliche dell’INPS, cioè della collettività, che versano in modo diverso e ricevere in modo altrettanto diverso in base a principi che non sono più condivisibili e forse nemmeno sostenibili. Ammesso che fino a oggi queste differenziazioni potessero avere una logica diversa dal “favore e/o agevolazione” a questa e l’altra categoria, è arrivato il momento di eliminarle e rendere giustizia al mondo del lavoro autonomo nella sua interezza.

I dati

La gestione separata è un contenitore in cui oggi confluiscono milioni di lavoratori autonomi che, con i loro versamenti, concorrono a sostenerla e oggi è anche florida in quanto, essendo di recente costituzione (1996) ha pochi pensionati. Ma dovremo iniziare a chiederci cosa avverrà quando le pensioni inizieranno ad essere molte, sia in termini di sostenibilità, pertanto vorremmo essere certi che quello che abbiamo versato qui, li si ritrovi e con il giusto riconoscimento per chi ha contribuito a rendere forte e stabile questo pilastro.

L’undicesimo rapporto Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali che presenta un saldo attivo di 8.477 milioni, erano 7.700 nel 2021, e indica come presenti 1.542.000,00 iscritti, di questi 434.862 professionisti abituali esclusi ordini professionali perché hanno casse autonome e 995.623,00 di rapporti coordinati continuativi, dove ad esempio confluiscono gli amministratori di aziende soggetti alla doppia contribuzione.

Conclusione

Serve urgentemente che la politica abbia il coraggio di fare giustizia eliminando tutti i privilegi e le differenze che fin qui sono state tollerate, anche se per legge. Serve che il sistema si candidi a diventare equo e giusto per garantire alle future generazioni che non dovranno preoccuparsi durante il proprio percorso lavorativo, perché qualunque cosa faranno, ovunque lavorino, in qualunque settore saranno occupati, avranno parità di versamento e trattamento pensionistico. Serve ridare fiducia a un sistema che oggi l’ha persa e pensare che la previdenza è un patrimonio universale che dobbiamo tutelare ma per farlo il concetto di giustizia deve essere applicato, oltre che promosso.

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