nuova cortina di ferro

Perché la Russia non blocca anche Telegram: il suo ruolo nella guerra

Strumento per la democrazia o piattaforma per violenti estremisti? Telegram sta diventando un punto di riferimento nella guerra in Ucraina sfidando la censura di Putin. Perché non è stato ancora oscurato, i precedenti, cosa ruota intorno alle fake news

Pubblicato il 30 Mar 2022

Angelo Alù

studioso di processi di innovazione tecnologica e digitale

telegram - guerra in Ucraina

La “cortina di ferro digitale” del Cremlino sul conflitto in Ucraina non è sufficiente a bloccare le informazioni condivise viralmente su Telegram: sono così tante, riporta “The Wall Street Journal”, che il “Grande Firewall” russo non riesce a fermarle.

Alla narrazione ufficiale e alla strategia di propaganda comunicativa centralizzata su “l’operazione militare speciale” si sta contrapponendo infatti la condivisione di notizie che documentano in tempo reale cosa sta realmente accadendo durante l’invasione.

Una mole così ampia da non poter essere integralmente cancellata e che sfugge al monitoraggio dell’autorità russa di regolamentazione statale dei media,Roskomnadzor”, incaricata di censurare le fonti informative bollate come “disinformazione” vietata, nonché all’aggressiva supervisione del cyberspazio per disporre il blocco generale di siti di notizie e social network e filtrare i contenuti veicolati in Rete.

La morte della verità: i danni della guerra su informazione e democrazia

Guerra in Ucraina: su Telegram la sfida alla censura di Putin

Allo stato attuale, gli utenti di Telegram sarebbero in grado di visualizzare i contenuti informativi censurati dai media ufficiali e persino seguire, anche in diretta streaming, le videocomunicazioni del presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky.

Zelensky sta progressivamente monopolizzando la sfera pubblica digitale grazie a una sofisticata strategia di posizionamento sul web che gli consente di massimizzare il ranking di indicizzazione delle sue performance.

Anche se i messaggi polarizzati, divisivi e fomentatrici di odio online portano con sé, come risvolto collaterale negativo, effetti diplomaticamente poco proficui e non del tutto edificanti per il raggiungimento di un possibile accordo in sede di negoziato.

Seguendo la “scia” informativa gradualmente concentrata verso Telegram, una percentuale crescente di utenti si sta registrando su questa piattaforma di messaggistica, bypassando il circuito comunicativo ufficiale russo.

I gestori di canali in lingua russa sono tra i più popolari dell’app, e il numero di abbonati ai servizi offerti da questi canali cresce di milioni di follower anche nel giro di pochi giorni.

Un flusso che mette in discussione la “verità” raccontata dal Cremlino e rende virali, con punte di milioni di interazioni e visualizzazioni, specifiche parole chiave come “non credere alla propaganda” oppure “fermare la guerra”, topic sempre più condivisi per sfidare la censura di Putin.

Telegram è stato creato dal russo Pavel Durov (anche se ha sede a Dubai) e da subito ha rappresentato un affidabile punto di riferimento per molte persone nel Paese: la presenza di svariati account ufficiali del Governo, o filoputiniani, ha garantito a lungo una funzione di proficua amplificazione dei messaggi del Cremlino.

Oggi, la piattaforma registra la crescita esponenziale di canali indipendenti o filo-ucraini che addirittura restano attivi e disponibili anche se i corrispondenti siti web sono stati bloccati dal Cremlino.

Un paradosso che si aggiunge ai prospettati contraccolpi informativi cui sta facendo i conti Putin nella difficile gestione di un equilibrio interno all’establishment nazionale, in apparenza stabilmente conformato alle posizioni governative espresse nei relativi apparati di potere.

Per aggirare l’operazione di filtraggio russa, anche le agenzie giornalistiche occidentali stanno iniziando massivamente ad utilizzare canali Telegram per pubblicare dossier, inchieste e reportage sulla guerra in Ucraina.

Guerra in Ucraina: perché Telegram non è stato finora bloccato in Russia

Non si tratta di una novità: già in passato la piattaforma Telegram è entrata in rotta di collisione con il regime di Putin, dimostrando un’inclinazione poco propensa al compromesso collaborativo pro-regime quando ha rifiutato di rimuovere, su ordine delle competenti autorità, i contenuti generati da alcuni account automatizzati che pubblicavano informazioni sui soldati russi catturati o uccisi.

Affrontando a viso aperto la censura russa, Telegram ha rivendicato la propria contrarietà a qualsivoglia censura politica o limitazione dei diritti umani, anche a costo di essere condannata al pagamento di ingenti multe per la violazione dei divieti prescritti.

Ad oggi non ha però mai subito, stranamente, come ritorsione, la “purga” integrale volta al blocco generale della piattaforma, comunque tecnicamente difficile da realizzare.

L’app è utilizzata da oltre 40 milioni di persone: è probabile che il governo russo sia “costretto” a tollerare la condotta anticonformista “sui generis” di Telegram per evitare una reazione popolare.

Una condotta tesa ad evitare il rischio maggiore di indurre indirettamente gli utenti a utilizzare reti private e estensioni di browser anticensura, in grado di aggirare più facilmente il blocco nazionale online.

Peraltro, l’eventuale “blackout” di Telegram, disposto da Putin, potrebbe anche rivelarsi un pericoloso e controproducente boomerang: l’oscuramento della piattaforma determinerebbe anche l’interruzione del flusso comunicativo pro-Cremlino.

Un flusso veicolato all’interno di canali sempre più seguiti dai seguaci di Putin, ove prolifera un’ampia percentuale di suoi sostenitori che organizzano performanti campagne propagandistiche di mobilitazione in grado di massimizzarne l’impatto comunicativo online.

Guerra in Ucraina: le ambiguità di Telegram bifronte

Enfatizzare l’esistenza di un ampio pluralismo informativo all’interno di Telegram, secondo la visione libertaria della piattaforma che consente agli utenti di veicolare i propri contenuti grazie alla crittografia a tutela di privacy e sicurezza, potrebbe però risultare errato e comunque fuorviante.

Nonostante il perfezionamento degli strumenti di moderazione dei contenuti illeciti e/o dannosi, e l’ottemperanza delle sanzioni UE che impediscono di visualizzare i canali Telegram associati ai media statali russi “vicini” a Putin, il rischio di disinformazione, oggi ancora più insidioso, resta infatti elevato.

Telegram già in passato ha manifestato l’ambiguo volto “double face”, come una sorta di “Giano Bifronte”, di “strumento per la democrazia” e “veicolo di contenuti propagandistici estremisti”.

Da una parte, come servizio di supporto per i movimenti di resistenza operanti, ad esempio, in Iran e Bielorussia, dall’altra grazie alla disponibilità di server distribuiti e difficilmente controllabili dai governi. In entrambi i casi, ha favorito la condivisione di informazioni non censurabili protette da sistemi di comunicazione crittografata, come ha evidenziato un recente approfondimento pubblicato sul “New York Times”.

L’articolo rileva una progressiva migrazione di gruppi eversivi proprio verso Telegram, luogo di cospirazione online ove proliferano contenuti razzisti e insurrezionalisti violenti.

In Ucraina è stata riscontrata da tempo l’esistenza di numerosi canali Telegram di disinformazione politica per destabilizzare le dinamiche istituzionali del Paese ma il fenomeno è così esteso da indurre l’FBI ad allertare le forze di polizia di tutto il mondo per il rischio di possibili attacchi armati da parte di gruppi estremisti e razzisti.

La diffusione esponenziale della disinformazione ha già raggiunto online un livello patologico di insostenibile tossicità comunicativa.

In questo scenario, potrebbe ulteriormente essere trainata, anche indirettamente, dalle caratteristiche del sistema di messaggistica crittografica di Telegram, un mezzo potenzialmente ideale per la viralizzazione di contenuti propagandistici violenti veicolati da gruppi estremisti, mediante lo scambio di comunicazioni segrete, difficilmente identificabili e in grado di propagarsi con facilità nell’ambiente digitale, senza nessuna possibilità di controllo integrale sulle informazioni.

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