L’attuale situazione politica ed economica impone al nuovo governo di assumere con grande urgenza importanti decisioni per il Paese, decisioni che devono certamente riguardare aspetti urgenti ed immediati ma che non possono non considerare azioni strategiche di medio-lungo termine.
Una tra le più importanti azioni di medio e lungo termine è certamente legata allo sviluppo del digitale, come “asset” strategico di sviluppo economico e sociale per il Paese. In questo dominio è del tutto evidente che non siamo all’anno zero, come peraltro dimostra l’ottimo impianto del recente piano triennale sull’ICT nella PA predisposto da AgID. Numerose e importanti per il Paese sono infatti le progettualità “in progress”, come la Piattaforma Digitale Nazionale dei Dati (PDND), la Carta d’Identità Elettronica (CIE), il Sistema Pubblico di Identita Digitale (SPID), il Progetto IO – Cittadinanza digitale e PagoPA, che si stanno gestendo a livello nazionale e delle singole regioni.
I numeri del digitale in Italia
Sarebbe però un grave errore limitare l’attenzione sul digitale alle attività, pur urgenti e indispensabili, legate al dominio della PA. Nel 2018 il mercato del digitale in Italia è infatti cresciuto in maniera considerevole sia in termini di servizi (+5,1%) che di Soluzioni Software (+7,7%), sia per quanto riguarda i Dispositivi e i Sistemi (+2,6%) che i Contenuti Digitali (+7,7%), e lo stesso trend è previsto per il 2019 (fonte: Anitec-Assinform). Nonostante la difficile congiuntura economica il digitale continua quindi a consolidare, anno dopo anno, risultati positivi. Ma è proprio per questo che questo settore merita un’attenzione specifica. Il digitale può rappresentare infatti uno dei settori cruciali per il cambiamento del Paese solo se avremo la capacità di interpretare con rapidità ed efficacia i nuovi bisogni e le sfide tecnologiche che si andranno definendo nei prossimi anni.
Serve quindi attivare politiche per l’innovazione digitale che siano in grado di rafforzare l’intero settore dell’ICT in Italia, riducendo i fattori che ne stanno limitando lo sviluppo. In tal senso vale la pena evidenziare che a differenza di altri settori produttivi, lo sviluppo del digitale dipende pressoché esclusivamente dall’esistenza di un ecosistema adeguato sul territorio, in grado di richiamare imprese e investitori e formare e attrarre talenti.
Le “Zone per l’Economa Digitale”
Una politica di discontinuità dunque, che sappia avere una nuova visione specialmente per quei territori che scontano notevoli criticità di sviluppo sociale ed economico, e che potrebbero diventare “Zone per l’Economa Digitale” nelle quali attivare politiche di innovazione fortemente orientate alla crescita digitale. E’ il caso ad esempio delle regioni meridionali che potrebbero, proprio attraverso il digitale, diventare vere e proprie “piattaforme digitali” e assumere un ruolo leader nel contesto mediterraneo.
Del resto vale la pena ricordare che la Silicon Valley, che oramai rappresenta nell’immaginario collettivo il luogo dove hanno avuto inizio e si sono sviluppate le tecnologie ed i sistemi digitali, era un piccolo territorio a vocazione prevalentemente agricola il cui straordinario sviluppo, a partire dagli anni ’70, è derivato perlopiù da due differenti fattori, come ben descritto dalla storica Leslie Berlin nel recente volume “Troublemakers: Silicon Valley’s Coming of Age”: la presenza della Stanford University con il suo “Office of Technology Licensing” a supporto dello sviluppo di brevetti e la capacità di attirare giovani talenti da paesi diversi.
Per lo sviluppo di “Zone per l’Economa Digitale” non sarebbero quindi necessari grandi investimenti ma solo il coraggio di attivare politiche davvero innovative.
I passi necessari
Il primo passo è certamente legato alla garanzia di una fiscalità agevolata e una burocrazia semplificata per l’insediamento e lo sviluppo delle imprese digitali. Questo aspetto è estremamente importante in quanto, nonostante gli importanti contributi che alcune regioni italiane – anche meridionali – mettono a disposizione di aziende interessate ad investire nelle tecnologie digitali sul loro territorio, la fiscalità opprimente e una burocrazia lenta e complicata rappresentano un freno non marginale per molti imprenditori.
Il secondo aspetto è certamente legato al ruolo delle università che, esattamente come in Silicon Valley, devono poter giocare un ruolo centrale nel processo di sviluppo dei territori, specialmente sui temi legati alle moderne tecnologie. E’ indispensabile infatti che si instauri tra aziende e università quella dinamica “win-win” in cui le aziende possano sostenere le attività accademiche legate sia alla formazione di esperti e talenti da acquisire che per promuovere ricerche applicate di altissimo livello e sviluppare soluzioni innovative per le aziende stesse. Questo ovviamente impone di limitare i vincoli stringenti a cui attualmente le Università sono sottoposte e che non consentono loro di avviare con le imprese quel percorso virtuoso che in altre nazioni è invece possibile.
La capacità di accogliere talenti da tutte le parti del mondo, sapendoli integrare nel tessuto territoriale prima ancora che aziendale, è un terzo imprescindibile aspetto. Ancora oggi oltre il 60% delle persone che lavorano in ambito high-tech in Silicon Valley non sono nati in USA e provengono soprattutto dai paesi Asiatici e dall’Europa. La scienza e la tecnologia sono naturalmente inclusive è la capacità di attrarre talenti al di là dei loro paesi di provenienza è essenziale per disporre di quel potenziale umano e di conoscenza indispensabile per rendere un territorio un riferimento internazionale.
Si tratta insomma per il nostro Paese di avere la lungimiranza necessaria per puntare con decisione sul digitale quale settore strategico imprescindibile per il nostro Paese. Il richiamo spesso esagerato e quasi sempre strumentale della politica degli ultimi anni alle tecnologie informatiche più innovative, come l’Intelligenza Artificiale, la Blockchain o i Big Data – solo per fare qualche esempio – rischia di rivelarsi un’altra scommessa persa per il Paese senza una seria e coraggiosa politica di sviluppo.