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Quale e-democrazia? La trasparenza non basta

Un’analisi corale a cura di studenti universitari, sul rapporto tra democrazia reale e digitale. Una maggiore trasparenza può condurre ad una maggiore responsabilità del Governo verso i cittadini. Ma senza influenzare il funzionamento interno degli organi di potere, cambiamenti politici di lungo corso saranno improbabili

Pubblicato il 21 Nov 2014

Nicola Strizzolo

docente associato Sociologia Università di Teramo

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Abbiamo chiesto ai nostri studenti (tutti già con una laurea triennale) una riflessione congiunta sul rapporto tra democrazia digitale e democrazia reale.

Quello che è uscito, sintetizzato e collegato nella lavagna (fig. 1) riportata nell’immagine, è che oltre alla differenza tra la Democrazia digitale quella Reale bisogna tenere conto anche, come riferimento, di quella che concettualmente è una Democrazia ideale, diversa da entrambe.

La democrazia digitale – qui ci si riferisce a quanto emerso nel forum in classe, secondo gli studenti -:

–          è nutrita da un acceso dibattito che offre occasione di ascolto di quelle che sono le esigenze delle persone;

–          c’è pur sempre il rischio di un monolitismo discorsivo, ovvero del coagularsi della comunicazione su determinate credenze e opinioni, chi la pensa diversamente o viene espulso o emarginato emigra altrove;

–          è necessaria una giusta consapevolezza per l’utilizzo del mezzo;

–          ovviamente è una questione di chi può accedere al mezzo ma anche di chi regola l’accesso e la ricerca di certe informazioni nel mezzo (gli abbiamo chiamati Gatekepeer digitali).

La democrazia digitale si avvicinerebbe a quella ideale lì dove potrebbe garantire a tutti l’acceso al sapere e la libertà delle informazioni.

La democrazia può diventare reale nelle piccole comunità consensuali (dove esiste un grado di uniformità a livello locale).

Ma senza un cambiamento diffuso sulla mentalità del web e una maturità dei tempi ogni sforzo verso una democrazia digitale sarà vano come il caso dell’Islanda, dove i migliori propositi hanno portato all’ipotesi di riformulazione della Costituzione, attraverso un sistema di crowdsourcing democratico che però si è impanato nei meccanismi della vecchia politica interna al parlamento.

Quelle riportate non sono affermazioni che provengono di prima mano dalla letteratura scientifica, ma dall’esperienza diretta nel web, dagli studi e dalle loro letture. Qualcuno degli studenti magistrali, oltre che laureato, ha un’esperienza come giornalista, un altro come giovane conduttore televisivo e tutti, nonostante il differente percorso intrapreso, concordano sulla diffusa mancanza di una maturità digitale.

Tenuto conto dell’orientamento del corso di laurea (Comunicazione integrata per le imprese e le organizzazioni) e dell’insegnamento (Comunicazione mobile e dei nuovi media), in aggiunta hanno viaggiato nel mondo sia per studio che per lavoro (c’è pure un’atleta professionista) ed è perciò che loro visione potrebbe essere decisamente completa in quanto unisce due elementi cardine: il globale ed il digitale.

Poi come consuetudine oltre il dibattito, ci siamo confrontati con la letteratura e con le ultime ricerche internazionali sull’argomento.

Significativi i punti di contatto e le similitudini con ciò che è emerso dalla disamina realizzata con gli studenti.

Anche le posizioni più neutre (Zakaria 2011) riconoscono il ruolo dei social network (Facebook) nelle recenti rivoluzione nordafricane – benché additino come semplicistiche le tesi a supporto di questa causa – e ritengono abbiano svolto un ruolo importante nell’informare, educare e connettere le persone nelle aree coinvolte. In proposito alle più moderne tecnologie: «sono molti i network nei quali tutti sono connessi ma nessuno è in una posizione di controllo [sopra gli altri]. Questo è male per chi cerca di sopprimere l’informazione» (Zakaria 2011 in Rhue, Sundararajan 2014).

Ma è anche vero che gli stessi strumenti digitali per liberare l’informazione permettono di creare sofisticati sistemi di controllo all’interno di una rete condivisa:

l’accesso digitale è cresciuto in maniera esponenziale nell’ultimo decennio e nello stesso periodo c’è stata una lieve riduzione nella media mondiale delle libertà civili.

Il flusso di dati, che di fatto attraversa tutti i continenti e tutti i Paesi, ha comunque permesso alle persone di acquisire informazioni sul loro governo, mezzo questo per aumentare così la trasparenza e la responsabilità.

Partecipare digitalmente ci permette di conoscere e monitorare i movimenti dei nostri politici, inserendoci di fatto in un processo democratico di portata notevole che consente di tenere teso il filo tra la fase del dialogo ed il momento decisionale. Opportunità quindi di grande rilievo offerta dalla tecnologia che però può anche scontrarsi con l’incapacità – o il disinteresse – dei cittadini nell’utilizzare questi mezzi a loro disposizione come sottolinea l’On. Paolo Coppola, fresco di nomina dal Ministro Madia per i lavori concernenti l’agenda digitale italiana.

Nel recente intervento al Friuli Future Forum in una conferenza intitolata “Democrazia digitale et/aut democrazia tradizionale”, Paolo Coppola (PD) sottolinea infatti come le iniziative atte al coinvolgimento della popolazione in Italia rimangano sostanzialmente inutilizzate dai più. Il politico, per calare la vicenda nei panni del concreto, cita il sistema “OpenPolis” con il quale seguire le attività del governo italiano. La piattaforma conosciuta da un numero ristretto di votanti viene adoperata da un numero ancora inferiore rispetto a questi, segnale d’un coinvolgimento lontano dalle aspettative.

Per utilizzare i nuovi mezzi a nostra disposizione in primis ciò che ci deve sostenere, è il senso di responsabilità. Elemento essenziale su tutti fronti: sia dal lato del singolo cittadino che con corretto senso civico si anima d’interesse nei confronti della cosa pubblica, sia dal canto delle istituzioni le quali hanno il dovere di amministrare nella massima correttezza.

«Una maggiore trasparenza può condurre ad una più grande responsabilità del governo verso i cittadini, amplificando la trasparenza dei meccanismi esistenti, ma senza influenzare il funzionamento interno degli organi di governo, cambiamenti politici di lungo corso saranno improbabili» (Rhue, Sundararajan 2014 42).

Questo di fatto, oltre che nelle raccomandazione degli studenti, è anche il quadro che emerge, sia per quanto riguarda l’Islanda e sia la Finlandia, nelle inchieste di Chiusi (2014): decisioni prese dalla gente nel web attraverso procedure che estenderebbero la possibilità di ascolto a tutti i cittadini connessi, sono state vanificate dalle discussioni parlamentari.

Non vanno nemmeno sottovalutate le abilità dei blogger nell’influenzare l’agenda politica di un Paese e rendere più emergenti certe questioni rispetto ad altre.

Di fatto il binomio controllo e libertà sono le due facce della moneta digitale ed il flusso delle informazioni può essere così a vantaggio tanto dei governi quanto dei cittadini: se i governi utilizzano le comunicazioni dei cittadini per tenerli sotto controllo, diminuiscono le propensioni di questi ultimi ad esprimere liberamente online le loro opinioni; se invece i cittadini monitorano grazie al web i loro leader, le libertà civili possono aumentare.

A fronte di molte rivolte, supportate dai social media, che sono state documentate sono corrisposte contromosse dei governi che hanno bloccato le comunicazioni: ad esempio il governo birmano chiuse Internet per due settimane nel 2007 per soffocare la Rivoluzione Zafferano; l’Egitto nel gennaio del 2011 bloccò in ordine prima Twitter, poi Facebook, l’accesso alla rete Blackberry e alla fine tutti i servizi Internet.

Se il blocco è servito a smorzare la comunicazione e l’organizzazione dei dimostranti, al mondo comunque sono arrivate le immagini delle rivolte e ancora di più, ciò che conta, quello delle repressioni: video, audio, immagini, storie di violazioni dei diritti umani, localizzati con precisione a livello geografico, hanno permesso alla comunità internazionale di sapere che cosa stava succedendo, di esprime un giudizio, di raccogliere fondi, di spingere governi o aziende a delle scelte. I principali investimenti internazionali avvengono verso i paesi più evoluti per le libertà civili e la diffusione più libera della comunicazione digitale e sono conseguentemente penalizzati i paesi meno liberi.

Sembrerebbero infine esistere delle correlazioni positive tra accesso mobile, banda larga e libertà civili (Rhue, Sundararajan 2014).

La banda larga offre una più ampia gamma di contenuti (audio, video e immagini) che la tradizionale rete fissa e nel tempo potrà offrire un livello maggiore di trasparenza dell’informazione ad un Paese: può aumentare così il controllo dei cittadini sull’operato del governo e anche un comodo accesso a Internet, se pubblicamente distribuito, aumenta anche la percezione di libertà dei cittadini.

La riflessione conclusiva si concentra sulla percezione della democrazia, diretta o digitale. Essa, se partecipativa, garantisce certamente il senso di libertà ma a condizione che però poggi pur sempre su basi solide di trasparenza e competenza dei soggetti coinvolti.

Fig. 1: 3 democrazie: Reale, Digitale e Ideale.

Special thanks to the class: Luana Arcodia, Martina Baldazzi, Lorenzo Biaggi, Laura  Bonassin, Silvia Cappelletto, Alexandra Falzari, Matteo Grillo, Francesco La Marra Maria, Rossella Mannello, Marta Prokuda, Roberta Puppin, Irene Quaglia, Beatrice Terzariol, Daniele Tomat, Maria Tritto, Albert Voncina.

Riferimenti

Fabio Chiusi (2014), “Critica della democrazia digitale – La politica 2.0 alla prova dei fatti”

Joachim Åström, Martin Karlsson, Jonas Linde, Ali Pirannejad (2014), Understanding the rise of e-participation in non-democracies: Domestic and international factors, Government Information Quarterly 29 (2012) 142–150

Zakaria, F., 2011. Why there’s no turning back in the Middle East. Time Magazine 177 (6), Retrieved 05.07.11 from http://www.time.com/time/world/ article/0,8599,2049804,00.html

Lauren Rhue, Arun Sundararajan (2014), Digital access, political networks and the diffusion of democracy, Social Networks 36 (2014) 40– 53

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