servizi pubblici digitali

Quali competenze per una vera PA digitale: approcci, funzioni e norme da conoscere

La PA, come già hanno fatto banche e logistica, deve capire che un certificato o un progetto, non sono esercizi di competenze esclusive, ma prodotti da tracciare, pesare, misurare e organizzare. Senza adeguati strumenti e tecniche di organizzazione digitale la transizione rischia di diventare una office automation evoluta

Pubblicato il 22 Lug 2021

Luigi Oliveri

Dirigente presso Veneto Lavoro

Le competenze digitali più richieste nel 2023

Il rinnovamento della PA passa necessariamente dalle competenze digitali, che devono diventare “di base” e comuni a tutti e non un elemento distintivo di specifici profili.

Il decreto legge 80/2021 ha il pregio di aver stabilito, e contestualmente esemplificato, i profili professionali utili ai fini dell’attuazione del PNRR. Il che equivale ad aver delineato profili in realtà utili da qui al medio lungo termine.

Il futuro “sulla nuvola” della PA digitale: meccanismi e competenze per la svolta

Competenze e funzioni del “Tecnico di amministrazione”

Guardiamo a quanto negli allegati si scrive, per specificare competenze e funzioni del “Tecnico di amministrazione”:

“Specifiche e contenuti professionali:

Riconducibile, salvo quanto specificato di seguito, al codice Istat 2.5.1.1.1 – Specialisti della gestione nella Pubblica Amministrazione (Le professioni comprese in questa unità coordinano le attività degli uffici dell’amministrazione statale, formulano proposte e pareri ai dirigenti da cui dipendono funzionalmente, curano l’attuazione dei progetti, delle attività amministrative e delle procedure loro affidate, coordinando le attività del personale subordinato) e al codice Istat 2.5.2.2- Esperti legali in imprese o enti pubblici (Le professioni comprese in questa categoria affrontano, gestendo e coordinando le attività di appositi uffici, gli aspetti legali propri delle attività di organizzazioni, imprese o della stessa Amministrazione Pubblica, rappresentandole e tutelandone – eventualmente – gli interessi nelle procedure legali, nei diversi gradi dei processi penali, civili ed amministrativi; stilando documenti, contratti e altri atti legali). Attività di contenuto specialistico: attività di predisposizione di atti amministrativi conformi alla normativa vigente, curandone l’istruttoria preliminare, esecuzione di altri atti dell’amministrazione, nell’ambito dell’attività amministrativa di attuazione del PNRR”.

La previsione è estremamente utile, perché è il tassello mancante alla fondamentale programmazione dei fabbisogni, introdotta nel 2017. Molte amministrazioni si sono limitate a considerare la programmazione sul piano strettamente finanziario (il costo dei dipendenti in servizio cui aggiungere la spesa disponibile per coprire i posti considerati necessari) e sul piano strettamente numerico: quanti dipendenti assumere, in quali categorie.

Competenze, attività, risultati

Manca spesso l’elemento qualificante: la competenza richiesta, le attività che ci si attende siano svolte, i risultati generali connessi all’inquadramento.

Il d.l. 80/2021 va, finalmente, verso una vera e propria job description. Ma, non può sfuggire, alla visione di chi è consapevole dell’indispensabile salto verso un’amministrazione digitalizzata e moderna, l’assenza di indicazioni sul “come” le funzioni sono svolte e le competenze messe in atto.

Quel “come” non può che riguardare la modalità di svolgimento delle funzioni. Scontato è immaginare l’utilizzo, a quel fine, degli applicativi digitali disponibili. Ma, anche in questo caso nella descrizione delle mansioni dei profili non pare possa essere omesso un approfondimento della tipologia generale e del livello di conoscenza degli applicativi.

Meno scontato è considerare necessario, per qualsiasi dipendente, oltre alla conoscenza degli applicativi e alla capacità di uso, un approccio operativo che sia “digitale” e non più “analogico”.

Non si deve, evidentemente, pretendere attività di programmazione, di impostazione di data base e di gestione di reti: a queste e alle molte altre necessità “logistiche” penseranno le molte figure tecniche delle quali la PA deve dotarsi, abbandonando l’idea della totale esternalizzazione, sin qui seguita specie dagli enti di piccole dimensioni, auto privatisi – in conseguenza di ciò – del governo della transizione digitale.

Capacità di impostare il lavoro seguendo schemi “digitali”

Quel che occorre aspettarsi in particolare dai dipendenti da inserire in posti apicali o, comunque, strategici nelle organizzazioni, è la capacità di impostare il lavoro seguendo schemi digitali e non analogici.

Pochi esempi per chiarire. La job description vista prima assegna ai tecnici amministrativi il compito di curare l’istruttoria preliminare delle procedure. In un’ottica analogica, per quanto detta istruttoria possa anche essere svolta avvalendosi di piattaforme informatiche, la gestione rischia di creare il collo di bottiglia, determinato dal “possesso” della pratica, che si trova “sulla scrivania” o “sul desktop” del singolo tecnico.

L’approccio digitale, al contrario, deve fondarsi sulla condivisione dei dati, che non debbono e non possono restare ascritti solo al trattamento di un utente. I dati, nel rispetto ovviamente delle regole del GDPR (altra competenza che dovrebbe considerarsi di base per tutti i dipendenti), debbono essere accessibili e condivisi, in modo che la digitalizzazione consenta quel reale gioco di squadra, nella distinzione dei ruoli, di cui tanto si parla e che, nei fatti, risulta difficile da gestire secondo modalità tradizionali, se non con le defatiganti “riunioni di lavoro”.

Due norme fondamentali per la gestione digitale

La guida operativa, nell’evoluzione digitale, non può che trarre spunto da due norme fondamentali, per quanto poco conosciute, se non misconosciute. Si tratta dell’articolo 9, comma 2, del dPR 62/2013 e dell’articolo 1, comma 30, della legge 190/2012.

Non sono solo regole auree per garantire la trasparenza amministrativa, quale principale strumento contro opacità, conflitto di interessi e corruzione, bensì il “metodo” digitale di gestione.

L’articolo 9, comma 2, del dPR 62/2013 dispone: “La tracciabilità dei processi decisionali adottati dai dipendenti deve essere, in tutti i casi, garantita attraverso un adeguato supporto documentale, che consenta in ogni momento la replicabilità”.

Pochissime parole, per evidenziare che le decisioni sono un processo complesso, non un arcano esercizio di potere in solitaria; che occorre un adeguato supporto documentale, capace di tracciare chi ha contribuito a crearlo e trattarlo, così da evidenziare il team, i ruoli, le responsabilità esercitate. E, soprattutto, in modo tale da permettere anche di risalire all’indietro e replicare, ripetere o controllare l’attività.

Ma, queste esigenze altro non sono che esattamente la digitalizzazione operativa; quella stessa che consente di individuare gruppi di lavoro, ruoli e, soprattutto, compiti operativi, fissati qualitativamente e quantitativamente entro tempi. Un approccio digitale è quello che permette, allora, di svolgere le funzioni verticali connesse alla specifica competenza tecnica, con quelle orizzontali di organizzazione, tali da proiettare verso la gestione per risultati che sfrutti le risorse digitali, ma senza farsi comandare dagli algoritmi, perché è il titolare della funzione che, utilizzando le piattaforme e le logiche organizzative, a costruire quegli algoritmi.

Il quadro è completato dall’articolo 1, comma 30, della legge 190/2012: “Le amministrazioni, nel rispetto della disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi di cui al capo V della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, in materia di procedimento amministrativo, hanno l’obbligo di rendere accessibili in ogni momento agli interessati, tramite strumenti di identificazione informatica di cui all’articolo 65, comma 1, del codice di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, le informazioni relative ai provvedimenti e ai procedimenti amministrativi che li riguardano, ivi comprese quelle relative allo stato della procedura, ai relativi tempi e allo specifico ufficio competente in ogni singola fase.

In poche righe, la summa delle regole per un approccio funzionale alle logiche digitali. Le “procedure” non possono che essere costruite in modo logico e lineare, così da poter essere tracciate anche dall’esterno, dai cittadini, posti nelle condizioni di verificare in ogni momento l’andamento degli iter di loro interesse.

Il che significa insistere sull’identificazione digitale degli utenti (Spid e futura piattaforma delle notifiche), evidenza dei responsabili, albero dei procedimenti, indicatori dei flussi, indicatori dei tempi, accessibilità a documenti e dati.

Conclusioni

Le banche, i vettori della corrispondenza e dei pacchi, i giganti delle vendite online, lo hanno capito da tempo.

La nuova PA deve comprendere che un ruolo tributario, come un provvedimento risposta a un’istanza, come anche un certificato o un progetto, non sono esercizi autoritativi di competenze esclusive, ma prodotti da tracciare, pesare, misurare e organizzare secondo logiche che alle competenze tecniche affianchino strumenti come cruscotti, tempistiche, scadenzari, alert, depositi condivisi.

Immaginare figure professionali prive di cognizioni in questi campi e pensare a programmi formativi che non insegnino ad utilizzare strumenti e tecniche per un’organizzazione digitale rischia di ridurre la transizione ad una office automation, evoluta, ma non al passo coi nuovi tempi.

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