CAD

Quando il digitale fa male: l’horror story del Pubblico registro automobilistico

La digitalizzazione di un solo documento senza la reingegnerizzazione dell’intero processo produce più danni che benefici. Lo testimonia il caso del Pra. Il problema è che la digitalizzazione del processo è avvenuta solo parzialmente e sicuramente non rispettando le regole del CAD

Pubblicato il 28 Ott 2015

Alessandra Foschetti

Dottore di Ricerca in diritto dell'informatica e informatica giuridica.

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Le regole tecniche attuative del CAD del novembre scorso (Dpcm 13 novembre 2014) prescrivono alle pubbliche amministrazioni il completamento del processo di dematerializzazione entro 18 mesi: per far fronte alla scadenza del prossimo agosto 2016 sarà necessaria una revisione complessiva dei procedimenti della PA applicando, assieme ai principi cardine del CAD, quelli ordinari di semplificazione amministrativa.

Tale revisione dovrà prendere in esame l’intero ciclo documentale del singolo procedimento amministrativo, non bastando, come si è da sempre ripetuto, l’introduzione di un gestore documentale a norma. Il caso della digitalizzazione del libretto di proprietà è in tal senso emblematico.

Prima della recente riforma della Pubblica Amministrazione, per ogni veicolo italiano esistevano due documenti – certificato di proprietà e carta di circolazione o “libretto” – custoditi in due registri – Pra e Archivio veicoli – e gestiti da Aci e Motorizzazione Civile.

Per eliminare i costi della tenuta di questi due registri differenti, la riforma della Pubblica Amministrazione ha previsto che il certificato di proprietà e il libretto fossero accorpati in un documento unico, con l’eliminazione del doppione Aci-Motorizzazione.

Questo intervento di semplificazione avrebbe comportato lo svuotamento di funzioni e di risorse in capo all’Aci che si occupano della tenuta del Pra, tant’è che fu ipotizzato lo spostamento di personale dal Pra alla Motorizzazione. Per mantenere funzioni e risorse Aci Informatica sostenne la “digitalizzazione del Pra”.

Dopo appena 15 giorni dall’introduzione del Certificato di Proprietà Digitale, un articolo sul “Corriere delle Comunicazioni”[1] riporta la denuncia di Unasca Studi (Confcommercio), secondo la quale l’introduzione del certificato digitale ha comportato un aggravio burocratico, anziché uno snellimento, oltre a non ridurre i costi a carico dell’utente finale.

Dal sito di Aci si legge, invece, che “La digitalizzazione del Certificato di Proprietà è in linea con le disposizioni del Codice dell’Amministrazione Digitale (D. lgs n. 82/2005 e s.m.)”.

In realtà la denuncia di Unasca fa intendere, anche ai non addetti ai lavori, che la digitalizzazione del processo è avvenuta solo parzialmente e sicuramente non rispettando le regole del CAD, tant’è che:

– ci sono atti che vanno validati in cartaceo per consentire la corretta gestione del processo digitale (“i fogli complessivi da stampare per portare a termine il passaggio sono passati da uno, che era il certificato che non viene più consegnato, ad almeno cinque”);

– il nuovo archivio non contiene originali né documenti validati in alcun modo (“il nuovo archivio messo in piedi da ACI che traccia gli atti di vendita non ancora autenticati e ben lungi dall’essere tali”).

Quello che sorprende maggiormente – considerato il fornitore, ACI Informatica, che vanta anche l’accreditamento AgID per la gestione della PEC -– è il fatto che si sia proceduto alla digitalizzazione di un archivio così importante senza considerare l’intero processo di produzione e di conservazione a norma dei documenti.

Nella revisione, sommariamente, occorre mappare rispetto a ogni documento che interviene nel flusso:

– chi forma i documenti;

– chi li firma;

– con quale tipo di firma;

– la procedura di registrazione dei documenti;

– la modalità di invio/ricezione.

In questo caso, per esempio, l’introduzione di una firma grafometrica su tablet avrebbe consentito al richiedente di firmare un documento digitale e di non dover stampare dei documenti ulteriori. Questo avrebbe comportato la tenuta di un archivio di dati (anche di quelli biometrici del firmatario), probabilmente un adeguamento in più rispetto alle infrastrutture tecnologiche, la formazione del personale e una revisione di tutte le procedure esistenti. Si sarebbe certamene trattato di un passaggio più complesso e meno veloce, ma è da questo sforzo di revisione del processo a norma che deriva la vera digitalizzazione auspicata. Inoltre le nuove modalità di gestione potrebbero essere successivamente capitalizzate in altri processi.

Una considerazione finale: in questo caso c’è stato un tentativo di semplificazione amministrativa da parte del Governo, ma la reazione è stata quella di mantenere il potere su un processo utilizzando la parola “dematerializzazione” come panacea per tutti i mali, generando invece un processo burocraticamente ancora più complesso che ne giustifica le risorse stanziate. Speriamo che la dematerializzazione auspicata, dall’agosto 2016, non si traduca in simili risultati.

[1] Vedi pure https://www.ansa.it/canale_motori/notizie/attualita/2015/10/23/auto-unasca-con-digitale-passaggio-proprieta-piu-complesso_30e80bba-f270-4dbf-90a9-19292185c1ea.html

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