Il Recovery Fund rappresenta la più grande iniezione di soldi pubblici della storia recente del nostro Paese e dovrebbe essere sostenuta da misure che garantiscano, da un lato, la tracciabilità dell’intero percorso di approvazione delle decisioni pubbliche e, dall’altro, la possibilità per tutti i soggetti, soprattutto quelli che rappresentano gli interessi diffusi, troppo spesso esclusi dal dibattito pubblico, di poter incidere sulle scelte che riguarderanno il futuro di intere generazioni.
Per fare in modo che i processi decisionali siano inclusivi e trasparenti, 14 organizzazioni della società civile guidate da The Good Lobby hanno appena lanciato la coalizione Lobbying4Change che chiede una regolamentazione del lobbying in Italia a partire proprio dalla gestione del Recovery Fund.
Le opportunità del recovery Fund e il tasso di sfiducia dei cittadini
Quest’ultimo è un’opportunità straordinaria che l’Italia non può lasciarsi scappare, eppure ci sono volute le fibrillazioni nella maggioranza di governo per aprire una discussione franca sulla trasparenza delle decisioni relative ai 209 miliardi in arrivo dall’Europa e sul coinvolgimento delle parti sociali ed economiche nell’orientare le strategie per il futuro del Paese.
Per dare un’idea della “fiducia” del Paese, secondo un recente sondaggio commissionato da La Stampa il 61,8% dei nostri concittadini teme le istituzioni non saranno in grado di gestire con efficacia i fondi in arrivo.
Ci vorrebbe ben altro che una cabina di regia o sei super manager (scelti sulla base di quale criterio? Con quali rassicurazioni che siano a prova di rischi di conflitti di interessi?) con relativo staff di dotazione da reclutare derogando a ogni buona regola di ingresso nella pubblica amministrazione.
Le perplessità della società civile
Già il Forum Diseguaglianze e diversità, il Forum PA e Movimenta hanno mostrato forti perplessità sulle scelte opache prospettate dal presidente Conte e ad avanzare di conseguenza una proposta alternativa a quella di Palazzo Chigi: l’auspicio è che il Recovery Fund possa essere la leva che da tanto tempo aspettavamo per innescare una svolta nella pubblica amministrazione attribuendole le giuste responsabilità e competenze (a partire dal piano esecutivo del piano di recupero post pandemia) anche attraverso l’ingresso di nuove figure, giovani e capaci, da cui far nascere la PA del futuro.
Anche una esponente politica solitamente cauta come la presidente del Senato Elisabetta Casellati sul Recovery Fund ha affermato che occorre “garantire trasparenza e reale partecipazione ai cittadini rispetto al processo decisionale”, criticando la prefigurazione dell’ennesima task force che a suo avviso farebbe perdere centralità al Parlamento e al ruolo che questo dovrebbe avere come cinghia di trasmissione tra società civile e istituzioni.
Si è parlato molto di trasparenza e partecipazione in merito al Recovery Fund ma né la Commissione europea né il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) che dovrebbe recepirlo in Italia sembrano dare indicazioni concrete su forme e strumenti di partecipazione e trasparenza.
Legge sul lobbying: perché votarla subito
Tra i membri della coalizione Lobbying4Change, in rappresentanza di punti di vista molto diversi (dalla difesa dell’ambiente e dell’aria ai diritti degli animali, dalla tutela dei consumatori a quella della salute), Altroconsumo ha chiesto un vero cambio di passo rispetto agli ultimi mesi di emergenza in cui si è assistito a decisioni importanti dalle quali però sono stati del tutto esclusi i consumatori. Si pensi ai vari bonus introdotti per sostenere i consumi: il fallimento dei vari “click day” è dovuto anche al mancato ascolto di una controparte fondamentale come i consumatori, che oggi sono i veri attori del mercato.
Maggiore trasparenza e maggiore inclusività delle decisioni pubbliche sono obiettivi raggiungibili con l’approvazione della legge sul lobbying, attualmente all’esame della Commissione Affari costituzionali della Camera. Votarla prima dell’arrivo delle risorse del Recovery Fund aiuterebbe a ridurre il rischio che i fondi pubblici previsti per “disegnare” un nuovo futuro –verde, digitale e sostenibile – finiscano per avvantaggiare solo gli interessi di parte o di quei soggetti privilegiati nelle relazioni con il potere.
Con l’adozione degli strumenti di trasparenza previsti dalla proposta di legge, sarebbe invece finalmente concessa ai cittadini e alle organizzazioni della società civile la possibilità di comprendere appieno le ragioni che spingono i politici ad assumere determinate scelte, rendendo pubblici gli attori intervenuti nel processo di formazione delle decisioni e i loro contributi al dibattito. Altresì potrebbe essere raggiunto un maggior equilibrio nell’accesso alle stanze del potere, mettendo in campo le buone pratiche di partecipazione degli stakeholder, utili a permettere a quei soggetti più colpiti dall’emergenza e alla rete di organizzazioni del terzo settore, che tanto ha contribuito nella tenuta sociale del Sistema Paese in questo periodo, di poter partecipare e rispondere in maniera efficace alle sfide a cui l’Europa ha voluto dare risposta con la massiccia iniezione di fondi pubblici del Recovery Fund.
Va aggiunto che al fine di assicurare un utilizzo strategico e sostenibile dei fondi in arrivo da Bruxelles è necessario non solo potenziare i percorsi di partecipazione ma anche garantire piena trasparenza su entità e tempi dell’erogazione, sui beneficiari, sul tipo di progetti finanziati. Negli ultimi anni vi sono stati esempi di rendicontazione e monitoraggio trasparente di fondi pubblici da parte della società civile, come per i terremoti nel centro Italia (2016 e 2017), o da parte di enti pubblici, come per il terremoto in Emilia-Romagna (2012).
Ma interventi isolati non costituiscono un vero cambio di passo. Il ministero dello Sviluppo economico dovrebbe pubblicare tutte le misure di sostegno a progetti e aziende in virtù del PNRR sul portale del Registro Nazionale degli Aiuti di Stato, che dovrebbe contenere dati in formato aperto, navigabile e scaricabile, per consentire a tutti di lavorare con i dati pubblicati e monitorare l’erogazione dei fondi.
La mancata convocazione del Forum italiano dell’Open Government Partnership
Un’occasione sprecata è stata la mancata convocazione del Forum italiano dell’Open Government Partnership nei mesi di emergenza e in queste fasi embrionali di nascita del Recovery Fund nazionale. Voluto nel 2011 da Barack Obama per rispondere alla crescente sfiducia dei cittadini verso i governi, l’OGP si propone di offrire strumenti di partecipazione e trasparenza che dovrebbero scaturire da un processo di co-creazione che coinvolga pariteticamente pubbliche amministrazioni e società civile. Il Forum italiano, che conta più di cento attori, potrebbe essere il naturale strumento di dialogo tra governo e stakeholder nel definire percorsi di partecipazione, standard in materia di trasparenza, di open data e digitale applicato al governo aperto. Fino a oggi la ministra Dadone non sembra aver compreso le potenzialità della piattaforma di confronto tra i soggetti pubblici e quelli della società civile. L’auspicio è che nel 2021, quando l’Italia diventerà la co-chair a livello mondiale dell’Open Government Partnership, il nostro governo si avvalga del Forum in maniera più strategica, considerandolo uno degli strumenti di confronto costante con la società civile in vista dell’arrivo dei fondi garantiti da Bruxelles. Tanto più che il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza prevede anche il lancio di una piattaforma di open-government per il controllo pubblico alla cui elaborazione potrebbe contribuire l’intelligenza collettiva del Forum che si alimenta da una parte delle buone pratiche messe in campo da altri Stati membri dell’OGP e dall’altra delle tante esperienze virtuose a livello locale. La società civile è pronta a raccogliere la sfida e a farsi coinvolgere ma ora serve che il governo e le istituzioni smettano di parlare di partecipazione e inizino a metterla davvero in pratica.